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Pena concordata: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1192/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati contro una sentenza di appello che applicava una pena concordata. La Corte ha stabilito che, analogamente al patteggiamento, non è possibile contestare la misura della pena pattuita tra le parti, a meno che questa non sia ‘contra legem’, cioè illegale. Poiché nel caso di specie la sanzione rientrava nei limiti edittali, i ricorsi sono stati respinti.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena concordata in Appello: Quando Non Puoi Impugnare la Sentenza

L’istituto della pena concordata in appello, disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per definire il processo in modo più rapido. Tuttavia, quali sono i limiti all’impugnazione di una sentenza che ratifica tale accordo? Con la recente ordinanza n. 1192 del 2024, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale, dichiarando inammissibile un ricorso che mirava a contestare proprio la misura della pena pattuita.

I Fatti del Caso: Un Ricorso Contro la Scelta Sanzionatoria

Quattro imputati proponevano ricorso in Cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello di Brescia. La sentenza di secondo grado aveva recepito un accordo tra le parti sulla pena da applicare. Nel loro ricorso, gli imputati lamentavano un’erronea applicazione degli articoli 133 e 133-bis del codice penale, che regolano i criteri di commisurazione della pena da parte del giudice. In sostanza, contestavano la congruità della sanzione che loro stessi avevano concordato.

La Decisione della Cassazione: Il Limite al Diritto di Impugnazione sulla pena concordata

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, adottando una procedura semplificata e senza formalità. La decisione si basa su un principio cardine: quando le parti indicano precisamente al giudice la pena da applicare e quest’ultimo condivide e ratifica tale scelta, non è più possibile contestarla in sede di legittimità. L’accordo sulla pena, una volta raggiunto e formalizzato, preclude una successiva rinegoziazione o contestazione della sua congruità.

Le Motivazioni: Il Principio del Pacta Sunt Servanda nel Processo Penale

Il ragionamento della Corte si fonda su un’analogia con l’istituto del patteggiamento, come chiarito da una storica sentenza delle Sezioni Unite (la n. 5838 del 2014, nota come sentenza Citarella). Anche in quel contesto, si era stabilito che la censura relativa alla determinazione della pena non può essere dedotta in sede di legittimità, poiché frutto di un accordo tra le parti.

L’unica eccezione a questa regola ferrea è l’ipotesi in cui la pena concordata risulti contra legem, ovvero illegale. Ciò si verifica, ad esempio, se la pena applicata eccede il massimo edittale previsto dalla legge per quel reato, o è di una specie diversa da quella consentita. Nel caso di specie, questa ipotesi era da escludere. Il reato contestato (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990) è punito con una pena fino a quattro anni, e la sanzione inflitta agli imputati rientrava pienamente in questi limiti. Pertanto, essendo la pena legale, l’accordo tra le parti era valido e la sentenza non era impugnabile su quel punto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

L’ordinanza ribadisce un principio di coerenza e auto-responsabilità delle parti processuali. Chi sceglie la via della pena concordata in appello accetta consapevolmente la sanzione come definita nell’accordo, rinunciando implicitamente a contestarne l’adeguatezza in un momento successivo. Questa decisione consolida la stabilità degli accordi processuali e ne rafforza l’efficacia deflattiva. Per gli imputati e i loro difensori, ciò significa che la scelta di accedere al concordato deve essere attentamente ponderata, poiché, una volta siglato l’accordo e ratificato dal giudice, le porte per un ripensamento sulla misura della pena sono, di fatto, chiuse, salvo il raro caso di illegalità della sanzione.

È possibile impugnare una sentenza che applica una pena concordata in appello?
Di regola no. Il ricorso che contesta la determinazione di una pena concordata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. è inammissibile, perché proposto per un motivo non consentito dalla legge quando le parti hanno specificamente pattuito la sanzione.

Esiste un’eccezione a questa regola di inammissibilità?
Sì, l’unica eccezione prevista è l’ipotesi in cui la pena concordata sia ‘contra legem’, cioè illegale perché, ad esempio, non rispetta i limiti minimi o massimi previsti dalla legge per quel reato.

Cosa succede se un ricorso contro una pena concordata viene comunque presentato e dichiarato inammissibile?
I ricorrenti vengono condannati al pagamento delle spese processuali e di una somma, ritenuta equa dal giudice, in favore della Cassa delle ammende. Nel caso esaminato, tale somma è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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