Pena Concordata in Appello: Impossibile Impugnarla in Cassazione
L’istituto della pena concordata in appello, previsto dall’art. 599 bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente alle parti di trovare un accordo sulla definizione del processo nel secondo grado di giudizio. Ma cosa accade se, dopo aver raggiunto tale accordo, l’imputato decide di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando proprio l’entità della pena concordata? Con la sentenza n. 47638 del 2024, la Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: il patto processuale, una volta siglato e recepito dal giudice, non può essere unilateralmente sconfessato.
I Fatti del Caso
Nel caso di specie, un imputato aveva presentato ricorso dinanzi alla Corte di appello. In quella sede, la difesa e la pubblica accusa raggiungevano un accordo per una pena concordata in appello. L’intesa prevedeva la rinuncia a tre dei motivi di appello originariamente proposti, concentrando la richiesta sull’accoglimento di due motivi residui relativi alla concessione delle attenuanti generiche e alla conseguente rideterminazione della pena. La Corte di appello accoglieva la richiesta congiunta, riformando la pena come concordato e confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Sorprendentemente, l’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione avverso tale decisione, deducendo vizi di motivazione proprio in ordine all’entità della pena inflitta, sostenendo che gli elementi della condotta avrebbero potuto giustificare una sanzione più mite.
La Disciplina della Pena Concordata in Appello
L’articolo 599 bis del codice di procedura penale stabilisce che le parti possono ‘concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi’. Se l’accordo comporta una nuova determinazione della pena, le parti devono indicare al giudice anche la sanzione sulla quale sono d’accordo. Questo meccanismo si fonda su una logica negoziale: l’imputato rinuncia a contestare alcuni aspetti della sentenza in cambio di un trattamento sanzionatorio certo e, presumibilmente, più favorevole.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la sua decisione su argomentazioni tanto procedurali quanto sostanziali, che rafforzano la natura vincolante dell’accordo processuale.
In primo luogo, il ricorso è stato ritenuto generico, poiché si limitava a un rinvio a motivi non meglio specificati, senza indicare in modo chiaro e decisivo le questioni da sottoporre al vaglio di legittimità. Tuttavia, il punto cruciale della decisione risiede altrove.
La Corte ha evidenziato che la pena era stata oggetto di un concordato tra le parti, regolarmente accolto dal giudice di secondo grado. In un simile scenario, non vi è spazio per una doglianza sulla motivazione relativa all’entità della pena. L’accordo stesso funge da ‘motivazione’, in quanto frutto della libera volontà delle parti. L’effetto devolutivo dell’appello viene limitato dalle parti stesse ai soli motivi non oggetto di rinuncia. Di conseguenza, il giudice che accoglie la richiesta non è tenuto a motivare ulteriormente sulla congruità di una pena che le parti stesse hanno definito equa.
Richiamando un importante precedente delle Sezioni Unite (sent. n. 19415/2023), la Cassazione ha ribadito che la cognizione del giudice, in caso di concordato, è circoscritta. Il principio che governa la materia è quello del pacta sunt servanda (i patti devono essere osservati), traslato nell’ambito processuale. L’accordo non può essere ‘unilateralmente abbandonato attraverso la riproposizione, con il ricorso per cassazione, di questioni che con lo stesso concordato siano state rinunciate’.
La Corte ha, infine, operato una distinzione fondamentale: un conto è impugnare una sentenza per omessa declaratoria di una causa di estinzione del reato (come la prescrizione) maturata prima della pronuncia, questione che sfugge alla disponibilità delle parti; un altro è contestare l’esito di un patto liberamente sottoscritto, come l’entità della pena.
Le Conclusioni
La sentenza in esame consolida un orientamento ormai granitico: la pena concordata in appello costituisce un patto processuale vincolante che, una volta recepito dal giudice, non è suscettibile di essere rimesso in discussione in sede di legittimità per motivi attinenti al merito della pena stessa. L’imputato che sceglie la via del concordato accetta consapevolmente di barattare la rinuncia a determinate contestazioni con la certezza di una pena predeterminata. Permettere un ripensamento in Cassazione svuoterebbe di significato l’istituto, trasformandolo in una mera tattica dilatoria. La decisione riafferma la serietà degli accordi processuali e la responsabilità delle parti nelle scelte difensive.
È possibile impugnare in Cassazione una pena che è stata concordata tra le parti in appello?
No, la Corte di Cassazione stabilisce che il ricorso è inammissibile. L’accordo sull’entità della pena, una volta accolto dal giudice d’appello, non può essere unilateralmente messo in discussione dall’imputato in un successivo grado di giudizio.
Perché il ricorso contro una pena concordata in appello viene dichiarato inammissibile?
Perché l’accordo processuale si basa sul principio ‘pacta sunt servanda’ (i patti devono essere osservati). La cognizione del giudice viene limitata dalle parti ai soli punti non oggetto di rinuncia. Contestare l’entità della pena concordata contraddice l’accordo stesso e la volontà espressa dalle parti.
Se un imputato rinuncia ad alcuni motivi di appello per ottenere una pena concordata, può poi riproporli in Cassazione?
No, la rinuncia ai motivi di appello è definitiva nell’ambito di quell’accordo. Le questioni che sono state oggetto di rinuncia escono dall’ambito di valutazione del giudice e non possono essere riproposte con il ricorso per cassazione.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 47638 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 47638 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal COGNOME NOME nato a Catania il 30/04/1994; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la sentenza del 26/02/2024 della Corte di appello di Catania; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Catania si pronunziava su una richiesta di pena concordata ex art. 599 bis cod. proc. pen. avanzata nell’interesse di NOME COGNOME con rinunzia ai motivi sub 1) 2) e 3), laddove gli ulteriori 2 motivi, relativi alle attenuanti generiche e al rideterminazione della pena, evidentemente convergevano nella predetta richiesta di pena concordata tra le parti, comprensiva della applicazione delle predette attenuanti, accolta dalla Corte, che nel resto confermava la sentenza impugnata.
Avverso la predetta ordinanza COGNOME mediante il proprio difensore ha proposto, con un solo motivo, ricorso per cassazione.
COGNOME Deduce vizi di motivazione in ordine alla entità della pena inflitta, in presenza di motivazione carente circa la valutazione dei motivi di gravame in
tema di pena. Gli elementi caratterizzanti la condotta dell’imputato potevano indurre, si sostiene, ad applicare una pena più mite.
4. COGNOME Il ricorso è inammissibile. Sia per il generico rinvio a motivi di gravame non specificati, sebbene sia noto che in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione, da parte del giudice dell’appello, dei motivi articolati con l’atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare i contenuto dell’impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di rico contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3 – , n. 8065 del 21/09/2018 (dep. 25/02/2019 ) Rv. 275853 – 02). Sia perché la pena è stata oggetto di concordato ex art. 599 bis cod. proc. pen., accolto; ed al riguardo è eloquente il primo comma dell’art. citato, secondo il quale “le parti possono dichiarare di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiest l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena o la sostituzione della pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo”.
In altri termini, in caso di rinunzia ai motivi e di contestuale richiesta accoglimento relativa ai soli motivi sulla pena – come tale espressamente indicata, per legge, dalle parti – non emergono doglianze su cui i giudici sono chiamati a motivare ove accolgano la concorde proposta delle parti così formulata. Va sottolineato come le Sezioni unite di questa Corte (cfr. in motivazione, Sez. U – n. 19415 del 27/10/2022 (dep. 08/05/2023 ) Rv. 284481 – 01) abbiano evidenziato che il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen. né sull’insussistenza di ipotesi di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle pr perché si deve rapportare l’obbligo della motivazione all’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione in quanto, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (vds. tra le altre, Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522). Si tratta di una perdurante e generalizzante precomprensione del fenomeno processuale in esame, di volta in volta emergente nelle decisioni di legittimità, che echeggia l’antica regola pacta sunt servanda secondo la specifica declinazione processuale per la quale il concordato processuale non può essere
unilateralmente abbandonato attraverso la riproposizione, con il ricorso per cassazione, di questioni che con lo stesso concordato siano state rinunciate. E a tanto non osta il principio con cui le medesime Sezioni Unite prima citate hanno precisato che, nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello, è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza. Trattandosi di tematica ben distinta, come illustrato con la predetta decisione, da quella qui in esame, certamente riconducibile nell’ambito degli argomenti affidati alla libera devoluzione o meno delle parti, diversamente dalla prescrizione.
GLYPH Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere l spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2024.