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Pena concordata: il ricorso è inammissibile

Un imputato ricorre in Cassazione lamentando che la pena concordata in appello viola il divieto di reformatio in peius. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, specificando che il giudice può solo verificare la legalità della pena concordata, non modificarne la misura liberamente pattuita tra le parti.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Concordata in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Con la sentenza n. 2601 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla natura e i limiti dell’istituto della pena concordata in appello, noto anche come ‘patteggiamento in appello’. La decisione chiarisce in modo definitivo che, una volta raggiunto un accordo tra le parti e ratificato dal giudice, la misura della sanzione non può più essere messa in discussione davanti alla Suprema Corte, salvo ipotesi di manifesta illegalità.

Il Fatto: la contestazione della pena concordata in appello

Il caso trae origine da una sentenza della Corte di Appello di Napoli che, accogliendo la proposta di concordato formulata dalle parti ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale, aveva rideterminato la pena inflitta a un imputato in sei anni di reclusione e una multa.

Nonostante l’accordo, la difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione. Il motivo del contendere era specifico: si lamentava la violazione del divieto di reformatio in peius, ovvero il principio che impedisce al giudice di peggiorare la situazione dell’imputato in caso di suo esclusivo appello.

I Motivi del Ricorso: Violazione del Divieto di Reformatio in Peius

Nello specifico, la difesa sosteneva che la Corte d’Appello, nel ratificare l’accordo, avesse applicato un aumento per la recidiva (un anno di reclusione) superiore a quello stabilito dal giudice di primo grado (sei mesi di reclusione). Secondo il ricorrente, tale operazione avrebbe violato l’art. 597 del codice di procedura penale, peggiorando di fatto la sua posizione rispetto alla sentenza precedente, nonostante fosse stato lui stesso, tramite il suo difensore, a proporre e accettare l’accordo.

La Decisione della Cassazione sulla Pena Concordata

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: il controllo del giudice sulla pena concordata è limitato alla sua legalità, non alla sua congruità o opportunità.

L’accordo processuale ex art. 599-bis c.p.p. è un vero e proprio ‘negozio processuale’ liberamente stipulato tra accusa e difesa. Il giudice d’appello ha solo due possibilità: accogliere la richiesta così com’è o rigettarla. Non può in alcun modo modificare i termini dell’accordo. Di conseguenza, una volta che l’accordo viene consacrato nella sentenza, non può essere unilateralmente contestato da una delle parti che lo ha sottoscritto, salvo che la pena finale sia illegale (ad esempio, perché supera i limiti massimi previsti dalla legge per quel reato).

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che la questione sollevata dal ricorrente non attiene a un’illegalità della pena. L’aumento applicato per la recidiva reiterata e specifica, pari a un sesto della pena base, rientrava pienamente nei parametri stabiliti dall’articolo 63, comma quarto, del codice penale. L’elemento cruciale, sottolineato dalla Cassazione, è che tale aumento era frutto di un ‘espresso accordo tra le parti’. Pertanto, non si può parlare di una decisione unilaterale e peggiorativa del giudice, ma della ratifica di una volontà congiunta. La natura consensuale dell’accordo sulla pena concordata preclude la possibilità di invocare il divieto di reformatio in peius, poiché la pena finale non è un’imposizione autoritativa, ma il risultato di una libera pattuizione processuale.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento fondamentale per la difesa tecnica: la scelta di accedere a una pena concordata in appello è strategica e definitiva. Una volta che l’accordo è stato proposto e accettato dalla controparte, e successivamente ratificato dal giudice, lo spazio per un’impugnazione in Cassazione si restringe drasticamente. È possibile contestare solo eventuali profili di illegalità della pena (es. violazione dei minimi o massimi edittali), ma non la sua misura o la sua composizione interna, in quanto frutto di una libera negoziazione processuale. L’imputato che accetta il ‘patteggiamento in appello’ rinuncia implicitamente a contestare la congruità della sanzione pattuita.

È possibile ricorrere in Cassazione contro la misura di una pena concordata in appello?
No, la sentenza stabilisce che tale ricorso è inammissibile. La Corte chiarisce che il concordato è un accordo processuale liberamente stipulato. Una volta ratificato dal giudice, non può essere contestato nel merito della sua misura, a meno che la pena non sia palesemente illegale.

Qual è il ruolo della Corte d’Appello di fronte a una richiesta di pena concordata?
Il controllo della Corte d’Appello è limitato alla verifica della legalità della pena pattuita. Il giudice non può valutare la congruità o l’adeguatezza della sanzione, ma solo accertare che essa rispetti i limiti di legge. Può solo accogliere o rigettare in toto la proposta di accordo.

Il principio del divieto di ‘reformatio in peius’ si applica alla pena concordata in appello?
Secondo la logica della sentenza, tale principio non è violato se la pena finale, pur essendo calcolata diversamente rispetto al primo grado, è il risultato di un accordo volontario tra accusa e difesa. La pena non è un’imposizione peggiorativa del giudice, ma l’esito di un patto processuale accettato dall’imputato stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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