Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37885 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37885 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Torre del Greco il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 3/12/2024 emessa dalla Corte di appello di Napoli visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello confermava la condanna dell’imputato per il reato di peculato, commesso mediante l’appropriazione di somme di denaro ricevute in qualità di titolare di una ricevitoria per il gioco de RAGIONE_SOCIALE, riconoscendo la diminuente di cui all’art. 89 cod. pen. e, per l’effett rideterminando la pena in anni uno, mesi due e giorni sette di reclusione.
Nell’interesse del ricorrente sono stati formulati quattro motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, si deduce vizio di motivazione e violazione di legge, proponendo questioni che, invero, risultano eterogenee tra di loro.
La difesa del ricorrente contesta, in primo luogo, la qualificazione della condotta accertata come peculato, richiamando la normativa che disciplina il gioco del RAGIONE_SOCIALE al fine di evidenziare come l’intera gestione di tale attività è demandata ad un soggetto privato -la RAGIONE_SOCIALE -che, in virtù di apposita concessione statale, provvede alla raccolta delle scommesse e al successivo riversamento delle somme accreditate dai singoli ricevitori alla Tesoreria provinciale di Roma.
Il singolo ricevitore, pertanto, agirebbe nell’ambito della sfera privatistica provvedendo a riversare alla RAGIONE_SOCIALE le somme riscosse, senza che da tale condotta emerga in alcun modo l’esercizio della qualifica pubblicistica richiesta dal reato di cui all’art. 314 cod. pen.
Ne consegue che l’imputato avrebbe intrattenuto un rapporto di natura contrattuale, con la sola RAGIONE_SOCIALE, tant’è che in favore di tale società er prestate le fideiussioni a garanzia del riversamento delle giocate.
La difesa eccepiva anche la nullità della sentenza per l’omesso esame di una memoria difensiva, lamentando altresì l’omessa rinnovazione dell’istruttoria.
2.2. Con il secondo e terzo motivo, si censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la consumazione del reato di peculato, senza procedere all’accertamento del momento in cui sarebbe intervenuta l’appropriazione del denaro, dovendosi escludere che il mero ritardato pagamento possa di per sé integrare l’elemento costitutivo del reato de quo.
Sostiene il ricorrente che, in subordine, la condotta poteva al più integrare la meno grave ipotesi del peculato d’uso.
Infine, si assume che il reato doveva essere escluso essendo stato causato da un’ipotesi di caso fortuito, posto che l’imputato avrebbe omesso di versare le somme dovute in quanto spinto al loro reimpiego dalla dipendenza dal gioco.
2.3. Con il terzo motivo, si censura il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., con conseguente riduzione della pena accessoria, di cui si invoca la riduzione anche in considerazione del riconoscimento delle attenuanti generiche e non potendosi procedere alla perequazione automatica cui all’art. 37 cod. pen.
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è incentrato sull’esclusione della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo all’imputato, sul presupposto che la mera attività di ricezione delle giocate non comporta alcun profilo pubblicistico.
L’impostazione difensiva, pertanto, è volta a sostenere che, sulla base della normativa di settore, l’esercente che riceve le giocate non ha alcun rapporto diretto con l’amministrazione e il denaro che percepisce non ha connotazione pubblicistica alcuna. Sussisterebbe esclusivamente un rapporto di tipo contrattuale tra l’esercente e la società RAGIONE_SOCIALE del gioco del RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Tale prospettazione non si confronta con la consolidata giurisprudenza di questa Corte che, con plurime pronunce, è ferma nell’affermare che commette il reato di peculato il concessionario titolare dell’attività di raccolta delle giocate RAGIONE_SOCIALE che ometta il versamento all’RAGIONE_SOCIALE delle somme riscosse per le giocate, atteso che il denaro incassato dall’agente – che riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio – è, sin d momento della sua riscossione, di pertinenza della P.A., ed il reato si consuma allo spirare del termine fissato dalla legge o dal contratto di concessione (Sez.6, n. 46954 del 21/5/2015, COGNOME, Rv. 265275; Sez.6, n. 4937 del 30/4/2019, dep.2020, Defraia, Rv. 278116).
Obietta la difesa che il ricevitore delle giocate non versa il denaro direttamente all’amministrazione, posto che il conferimento avveniva in favore della società RAGIONE_SOCIALE, cui era affidato in concessione la gestione del gioco del RAGIONE_SOCIALE.
Si tratta di un’obiezione che non coglie nel segno, posto che la società RAGIONE_SOCIALE, proprio perché agisce in virtù di un rapporto concessorio traslativo del potere di gestire un’attività di scommessa, altrimenti non consentita, svolge una funzione di tipo pubblicistico. Vi è, pertanto, una sostanziale equivalenza tra la società RAGIONE_SOCIALE e l’ente pubblico cui, in ultima analisi, confluiscono le somme oggetto delle giocate (depurate delle vincite e dei corrispettivi dovuti ai soggetti intermedi).
Del resto, che la natura privata della società RAGIONE_SOCIALE non alteri la struttura pubblicistica del rapporto, è desumibile dal principio affermato dal massimo consesso con riguarda alla fattispecie similare dell’appropriazione del Prelievo unico erariale (relativo alla gestione degli apparecchi da intrattenimento con giocate in denaro).
In quel caso, si è affermato che integra il delitto di peculato la condotta del gestore o dell’esercente degli apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, sesto settimo comma, TULPS, che si impossessi dei proventi del gioco, anche per la
parte destinata al pagamento del Prelievo Erariale Unico (PREU), non versandoli al concessionario competente, in quanto il denaro incassato appartiene alla pubblica amministrazione sin dal momento della sua riscossione (Sez.U, n. 6087 del 24/9/2020, dep.2021, Rubbo, Rv. 280573).
Una fattispecie sostanzialmente assimilabile si verifica anche in relazione al gioco del RAGIONE_SOCIALE, lì dove vi è una società privata cui è affidata, sulla base di un concessione traslativa, il potere di gestire il gioco. Al contempo, i singoli ricevit che materialmente provvedono a riscuotere le giocate e pagare i premi, contribuiscono direttamente allo svolgimento del servizio pubblico e, quindi, rispondono di peculato nel caso di appropriazione delle somme.
Tale conclusione, peraltro, trova ulteriore conferma nel fatto che non solo la società incaricata della gestione del RAGIONE_SOCIALE è titolare di concessione per lo svolgimento della suddetta attività, ma anche i singoli ricevitori devono essere espressamente autorizzati alla raccolta delle giocate in forza di concessione, il che denota ulteriormente il trasferimento al privato di una funzione altrimenti riservata all’ente pubblico.
2.2. Le ulteriori doglianze sollevate con il primo motivo di ricorso sono manifestamente infondate, stante l’assoluta genericità della tesi secondo cui la Corte di appello avrebbe omesso di valutare una non meglio specificata memoria difensiva, difettando anche qualsivoglia indicazione circa l’incidenza che tale omesso esame avrebbe comportato rispetto alla decisione finale.
Parimenti generica è la eccepita mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, non essendo adeguatamente specificato il contenuto della prova da acquisire, il che impedisce in radice di apprezzarne la rilevanza rispetto al quadro complessivo.
Risulta infondato il motivo concernete l’accertamento dell’avvenuta definitiva interversione del possesso del denaro, non essendo sufficiente far riferimento al mero ritardo nel riversamento delle giocate, né al mancato adempimento a seguito delle intimazioni ricevute dall’imputato.
In linea generale, deve richiamarsi il condivisibile principio secondo cui, in tema di peculato per ritardato versamento, da parte del concessionario del servizio di ricevitoria del RAGIONE_SOCIALE, delle giocate riscosse per conto dell’RAGIONE_SOCIALE, il reato non si perfeziona allo spirare del termine indicato nell’intimazione che l’amministrazione è tenuta ad inviare all’agente, ma allorquando emerga senza dubbio, dalle caratteristiche del fatto, che si è realizzata l’interversione del titolo del possesso, ovvero che il concessionario ha agito “uti dominus” (Sez.6, n. 33468 del 14/6/2023, Viola, Rv. 285092).
La Corte di appello, dando corretta applicazione al richiamato principio, ha non solo sottolineato l’omesso versamento del denaro nonostante l’intimazione rivolta dall’ente pubblico, ma ha anche stigmatizzato come le somme oggetto di appropriazione erano state pacificamente impiegate dall’imputato in scommesse (così pg. 5).
Orbene, l’impiego delle somme destinate all’ente pubblico in un’attività strettamente privatistica, qual è l’impiego in giochi implicanti la scommessa di denaro, è sicuramente indicativa della volontà di utilizzare il denaro uti dominus.
3.1. Le considerazioni sopra svolte consentono agevolmente di escludere la possibilità di derubricare la condotta nell’ipotesi del peculato d’uso, soprattutto i considerazione della consolidata giurisprudenza secondo cui il peculato d’uso è configurabile solo in relazione a cose di specie e non al denaro, menzionato in modo alternativo solo nel primo comma dell’art. 314 cod. pen., in quanto la sua natura fungibile non consente – dopo l’uso – la restituzione della stessa cosa, ma solo del tantundem, irrilevante ai fini dell’integrazione dell’ipotesi attenuata (Sez.6, n. 49474 del 4/12/2015, Stanca, Rv. 266242).
3.2. Parimenti infondata è la tesi secondo cui la condotta sarebbe derivata da una causa di forza maggiore, individuata nella ludopatia dalla quale l’imputato è risultato affetto.
Premesso che tale prospettazione non risulta compiutamente proposta in sede di appello, deve in ogni caso rilevarsi la manifesta infondatezza della stessa, non potendosi ricondurre nella nozione di forza maggiore una scelta volontaria e consapevole da parte dell’imputato.
Deve dichiararsi la manifesta infondatezza anche del quarto motivo di ricorso, con il quale si censura l’omesso riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., nonché l’eccessività del trattamento sanzionatorio anche con riguardo alla pena accessoria di cui all’art. 317-bis cod. pen.
Premesso che la questione non risulta specificamente dedotta in appello, per mera completezza si osserva come la condotta realizzata, considerati gli importi delle somme oggetto di appropriazione, non poteva in alcun modo dar luogo al riconoscimento dell’invocata attenuante.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Il Consigliere estensore
Così deciso il 14 ottobre 2025
Il Presidente