Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10068 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10068 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME NOMECOGNOME nato ad Ancona il 11/06/1978 avverso la sentenza emessa in data 16/04/2024 dalla Corte di appello di Ancona; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata; lette le repliche e le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice dell’udienza preliminare di Ancona, con decreto emesso in data 13 luglio 2021, ha disposto il rinvio a giudizio di NOME COGNOME per il delitto di peculato, in quanto, nella qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, incaricata di pubblico servizio qual concessionaria del servizio di riscossione del canone di gestione dei loculi
cimiteriali da riversare al Comune Monte di San Vito, si sarebbe appropriato della somma di euro 66.570,00, relativa alla riscossione di tale canone, non versato nelle casse del Comune; fatto commesso in Monte San Vito, sino al gennaio 2019.
Il Tribunale di Ancona, con sentenza emessa in data 22 settembre 2022, ha dichiarato l’imputato responsabile del reato a lui ascritto e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di due anni e undici mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Con la pronuncia impugnata la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza di primo grado, condannando l’imputato appellante al pagamento delle spese processuali.
L’avvocato NOME COGNOME difensore di Allegrezza, ha impugnato questa sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo due motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo il difensore ha censurato la falsa applicazione dell’art. 314 cod. pen. e degli artt. 1321 e 1372 cod. civ, in quanto il reato di peculato non sarebbe configurabile per difetto dell’altruità delle somme oggetto di appropriazione.
Il difensore rileva che i giudici di merito hanno ritenuto integrato il delitto peculato contestato, in quanto hanno affermato l’originaria spettanza al Comune di Monte San Vito delle somme oggetto di appropriazione in ragione della natura demaniale dei beni cimiteriali.
Questa interpretazione, tuttavia, sarebbe illegittima, in quanto i giudici di merito avrebbero indebitamente pretermesso l’interpretazione della convenzione sottoscritta dall’imputato con il Comune.
Il ricorrente ha, infatti, stipulato con il Comune di Monte San Vito una concessione c.d. traslativa per la realizzazione dell’ampliamento del colombario del cimitero civico.
Posto, tuttavia, che il Comune non aveva la disponibilità economica per finanziare l’opera, l’art. 2 della convenzione, rubricato “corrispettivo”, ha previsto che la remunerazione della concessione fosse costituita dai proventi della gestione del servizio di concessione dei loculi, al netto del canone da versare al Comune, determinato dall’art. 4 della medesima convenzione.
Ad avviso del difensore, dunque, non vi sarebbe stata alcuna delega all’incasso di denaro pubblico conferita dal Comune alla società di Allegrezza per la gestione della concessione dei loculi.
Il canone versato da t i privati costituirebbe, infatti, il corrispettivo dell costruzione del colombario, anticipato integralmente dalla società concessionaria, senza alcuna specifica previsione dell’incasso in nome e per conto del comune.
Il mancato versamento di queste somme, dunque, non integrerebbe il delitto di peculato, ma solo un mero inadempimento contrattuale, peraltro sfociato in un contenzioso civile.
Il Comune, peraltro, avrebbe compensato parte del credito vantato nei confronti della società del ricorrente con altre somme dovute alla stessa e se si fosse trattato di danaro pubblico, come ritenuto dalla Corte di appello, la compensazione non sarebbe stata ammissibile.
4.2. Con il secondo motivo il difensore ha eccepito la violazione degli artt. 42, 43 e 47 cod. pen.
La Corte di appello ha ritenuto sussistente il dolo dell’imputato, in quanto l’erronea convinzione della spettanza del corrispettivo, integrerebbe pur sempre un errore di diritto e non già un errore di fatto.
Ad avviso del difensore, tuttavia, l’errore, scaturito dall’interpretazione delle clausole della convenzione, sarebbe un errore che cade sul fatto, il «fatto contrattuale», e non già di errore di diritto, in quanto tale irrilevante.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 14 gennaio 2025, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata.
In data 17 gennaio 2025 l’avvocato NOME COGNOME ha depositato una memoria e ha rilevato che la Corte di appello di Ancona, in sede civile, nella sentenza n. 1769 emessa in data 26 novembre 2024, ha affermato la natura integralmente privatistica del rapporto contrattuale intercorso tra la società dell’imputato e il Comune di Monte San Vito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, in quanto i motivi proposti sono infondati.
Con il primo motivo il difensore ha censurato la falsa applicazione dell’art. 314 cod. pen. e degli artt. 1321 e 1372 cod. civ., in quanto le somme oggetto di appropriazione non sarebbero di state del Comune di Monte San Vito e, dunque, si sarebbe in presenza di un mero inadempimento, sanzionabile solo secondo la disciplina del diritto civile.
3. Il motivo è infondato.
3.1. L’art. 314 cod. pen. incrimina, quale peculato, l’appropriazione «di danaro o cosa mobile altrui» della quale il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbia il possesso o, comunque, la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio.
L’attuale formulazione della fattispecie, per effetto dell’assorbimento del delitto di malversazione a danno di privati in quello di peculato operato dall’art. 1 della I. 26 aprile 1990, n. 86, ha, dunque, eliso ogni rilevanza all’elemento della «appartenenza alla pubblica amministrazione» della cosa o del denaro oggetto di appropriazione da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio; integra, dunque, il delitto di cui all’art. 314 cod. pen. anche la condotta del pubblico agente che si appropri di un bene non della pubblica amministrazione, ma di un privato.
La nozione di «altruità», peraltro, non richiede l’effettiva proprietà della cosa da parte di terzi, ma deve essere intesa in senso ampio, in quanto è sufficiente che costoro vantino anche solo in un diritto reale diverso dalla proprietà o un diritto personale di godimento.
La giurisprudenza di legittimità, qualora il bene mobile o il danaro sia pervenuto nella disponibilità dell’agente in conseguenza di un’attività privatistica svolta dall’ente di appartenenza, ritiene che l’assenza di un collegamento con una pubblica funzione o servizio preclude l’instaurazione di un possesso qualificato dalla ragione funzionale e, dunque, impedisce la configurabilità del reato.
Non integra, dunque, il reato di peculato, ma costituisce mero inadempimento contrattuale, la condotta del concessionario di aree di parcheggio che omette di versare al Comune la quota pattuita in relazione alle somme riscosse dai privati a titolo di corrispettivo del servizio prestato, in quanto il denaro no corrisposto all’ente pubblico non appartiene allo stesso ab origine (Sez. 6, n. 37674 del 13/10/2020, Alfonso, Rv. 280289 – 01; Sez. 6, n. 16164 del 27/03/2014, COGNOME, Rv. 259342 – 01). Parimenti va esclusa l’integrazione del delitto di peculato in tema di appalto pubblico di servizi rispetto al danaro corrisposto dall’ente pubblico o dal privato destinatario del servizio a titolo di corrispettivo e, dunque, entrato nella proprietà dell’appaltatore (ex plurimis: Sez. 6, n. 41579 del 05/06/2013, COGNOME, Rv. 256803 – 01; Cass. Sez. 6, n. 3724 del 19/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254432); in tal caso, infatti, il denaro perde la propria caratteristica di altruità all’atto della corresponsione all’appaltatore, ch ne può pertanto disporre in autonomia.
Il carattere di altruità del danaro sussiste, invece, ove una disposizione di legge o contrattuale ne attribuisca sin dall’origine la proprietà alla pubblica amministrazione, fondando un preciso vincolo di destinazione a fini di interesse pubblico.
Secondo la giurisprudenza di legittimità integra, dunque, il delitto di peculato la condotta di omesso versamento alla Regione, da parte dei responsabili della società convenzionata per la gestione del servizio di acquedotto, dei canoni di depurazione e fognatura riscossi dall’utenza, la cui natura di corrispettivo privato – e non di tributo – non esclude che si tratti di somme comunque spettanti ab origine alla Regione in virtù di un vincolo di destinazione originario ai fini di interesse pubblico, ai sensi dell’art. 155 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (ex plurimis: Sez. 6, n. 3683 del 12/01/2022, COGNOME, Rv. 282880 – 01; conf. Sez. U, n. 6087 del 24/09/2020, COGNOME, Rv. 280573-01; con riferimento al mancato versamento, anche per la parte destinata al pagamento del Prelievo Erariale Unico (PREU), da parte del gestore o dell’esercente dei proventi derivanti dagli apparecchi da gioco leciti; Sez. 6, n. 146 del 23/01/1969, COGNOME, Rv. 110524-01, con riferimento al direttore di un cimitero comunale, il quale si era appropriato delle somme versategli da privati e destinate all’ufficio economato del comune per servizi cimiteriali, da lui riscosse su espressa autorizzazione dell’autorità comunale).
3.2. I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di questi principi.
Il Tribunale di Ancona, nella sentenza di primo grado, ha rilevato che l’art. 2 della convenzione stipulata dal ricorrente con in Comune di Monte San Vito stabilisce che «il corrispettivo del contratto di concessione di progettazione esecutiva, lavori e gestione dell’opera demaniale sia costituito da una quota parte del canone di concessione per la sepoltura che gli utenti dovevano all’ente pubblico e avrebbero versato all’impresa concessionaria, che quest’ultima aveva perciò diritto di trattenere, essendo tenuta invece a riversare l’ulteriore quota del canone concessorio al Comune titolare di esso» (pag. 4 della sentenza di primo grado).
L’art. 2 della convenzione, intitolato «Corrispettivo», prevede, infatti, al primo comma che «la remunerazione della concessione è esclusivamente costituita dai proventi della gestione dei loculi/ossari/urne cinerarie, al netto del canone da versare al Comune sui locali concessi».
Il terzo comma dell’art. 2 precisa, inoltre, che «Tutti gli importi di cui a presente articolo sono corrisposti al concessionario dal richiedente la concessione e con emissione di dettagliata fattura».
L’art. 4, intitolato «pagamenti», sancisce, inoltre, che «Il Comune di Monte San Vito avrà diritto di ricevere un canone su ogni loculo ceduto, pari a euro 210,00, come dichiarato dal concessionario in sede di offerta».
La società del ricorrente, in virtù della concessione c.d. traslativa del servizio di gestione del cimitero, era, dunque, delegata ad incassare dai privati anche la parte dei canoni che doveva essere riversata al comune.
La Corte di appello di Ancona ha correttamente rilevato che si tratta, dunque, di «somme comunque spettanti ab origine al Comune in virtù del vincolo di destinazione del cimitero ai fini di interesse pubblico» (pag. 5 della sentenza impugnata).
Secondo i giudici di appello, «in ragione della natura demaniale del terreno cimiteriale, il diritto al sepolcro scaturisce da un’apposita concessione di natura traslativa rilasciata al privato da parte dell’autorità amministrativa e i provent della concessione si collocano nel novero delle entrate patrimoniali, in quanto derivanti dal fruttuoso impiego di una parte del patrimonio comunale. Nulla, pertanto, autorizzava l’imputato a trattenere in toto le somme incassate dagli utenti…» (pag. 5 della sentenza impugnata).
La Corte di appello di Ancona ha, dunque, correttamente affermato la spettanza originaria al Comune delle somme versate al concessionario dai cittadini, in quanto «il contratto di concessione degli spazi di sepoltura intercorreva tra il Comune e i privati» (pag. 5 della sentenza impugnata).
Il Comune, dunque, sulla base della concessione stipulata con la società del ricorrente e dei contratti sottoscritti con i privati poteva agire direttamente per l’adempimento delle somme dovute nei confronti dell’eventuale cittadino moroso; sulla base di questi rilievi, dunque, i giudici di merito hanno congruamente motivato e correttamente ritenuto l’altruità delle somme oggetto di appropriazione (e, dunque, la configurabilità del delitto di peculato).
Nessun rilievo possono, da ultimo, assumere le statuizioni adottate dalla Corte di appello di Ancona, in sede civile, nella sentenza n. 1769 emessa in data 26 novembre 2024, che ha giudicato delle inadempienze reciprocamente opposte dalle parti al contratto di appalto stipulato in data 27/02/2014 con n. 2432 di Repertorio e registrato in data 27/03/2014; a differenza di quanto ritenuto dal difensore, la Corte di appello non ha affermato la natura integralmente privatistica del rapporto contrattuale intercorso tra la società dell’imputato e il Comune di Monte San Vito (ma anzi ha richiamato, a più riprese, la disciplina amministrativa di tale contratto), né la spettanza originaria delle somme alla società del ricorrente e non già al Comune.
Con il secondo motivo il difensore ha eccepito la violazione degli artt. 42, 43 e 47 cod. pen., in quanto l’errore, scaturito dall’interpretazione delle clausole della convenzione, sarebbe un errore di fatto, sul «fatto contrattuale», e non già di diritto.
Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto la ricorrenza dell’errore è stata solo apoditticamente affermata e, comunque, nella specie non cadrebbe sul fatto, ma pur sempre su disposizioni integratrici del precetto penale.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere rigettato.
Il ricorrentedeve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 04/02/2025.