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Peculato: la temporanea appropriazione è reato

Un agente di polizia si è appropriato per alcuni giorni di un computer smarrito in aeroporto. La Corte di Cassazione ha confermato la sua condanna per peculato, stabilendo che il reato si consuma con la semplice appropriazione temporanea del bene da parte del pubblico ufficiale, a prescindere dall’uso effettivo o dal profitto. La successiva restituzione è stata considerata solo come circostanza attenuante.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Peculato: Anche la Detenzione Temporanea è Reato

L’appropriazione temporanea di un bene da parte di un pubblico ufficiale è sufficiente per configurare il grave reato di peculato? A questa domanda ha dato una risposta chiara e netta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30454 del 2025. Il caso, che ha coinvolto un agente della Polizia di frontiera, offre spunti fondamentali per comprendere i confini di questo delitto contro la Pubblica Amministrazione e il rigore con cui la legge punisce chi abusa della propria funzione.

I Fatti del Caso

La vicenda si svolge nell’aeroporto di Fiumicino. Un agente della Polizia di frontiera in servizio riceve da un dipendente di un punto di ristoro un computer portatile smarrito da un terzo. L’agente prende in consegna il bene per ragioni legate al suo ufficio, ma omette di rilasciare qualsiasi documento che attesti la ricezione. Per alcuni giorni, il computer rimane nella sua disponibilità. Successivamente, l’agente lo lascia, privo della scatola originale, vicino all’auto di un collega nel parcheggio dell’aeroporto, facendo in modo che venga ritrovato. La condanna per peculato emessa in primo grado veniva confermata dalla Corte d’Appello, che tuttavia riduceva la pena riconoscendo una circostanza attenuante.

I Motivi del Ricorso e le Argomentazioni della Difesa

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su tre argomentazioni principali:

1. Errata qualificazione del reato: Si sosteneva che non si trattasse di peculato, poiché l’agente aveva avuto solo una detenzione temporanea del computer, senza mai utilizzarlo né perseguire un’utilità economica. La condotta, secondo la difesa, avrebbe potuto al massimo integrare un reato minore.
2. Mancata consumazione: In subordine, si chiedeva di riqualificare il fatto come tentato peculato, dato che l’azione lesiva non si era completata: il bene non era stato usato e non ne era stato tratto alcun profitto.
3. Vizio di motivazione sulla pena: La quantificazione della pena era ritenuta errata perché basata su una qualificazione giuridica sbagliata del fatto.

La Decisione della Cassazione sul Reato di Peculato

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, ritenendoli infondati e confermando la condanna per peculato. I giudici hanno chiarito in modo inequivocabile i principi che regolano questo reato.

L’Appropriazione Momentanea Integra il Reato

Il punto centrale della decisione è che il reato di peculato si consuma nel momento stesso in cui il pubblico ufficiale si appropria del bene, manifestando la volontà di comportarsi come se ne fosse il proprietario (uti dominus). Non è necessario un uso prolungato, né che si ottenga un vantaggio economico. L’appropriazione, anche se solo temporanea, è sufficiente a integrare la fattispecie criminosa.

Nel caso specifico, la volontà di appropriarsi del computer è stata desunta da due circostanze ritenute decisive:

* Il rifiuto di rilasciare una ricevuta al dipendente che aveva consegnato l’oggetto smarrito.
* La falsa dichiarazione resa al collega, secondo cui la scatola ritrovata era vuota.

Questi comportamenti, secondo la Corte, hanno rivelato in modo inequivocabile l’intenzione dell’agente di sottrarre il bene alla sua destinazione pubblica per disporne a proprio piacimento.

La Rilevanza della Restituzione

Il fatto che l’agente abbia successivamente fatto ritrovare il computer, integro, non è servito a escludere il reato. La restituzione del bene, infatti, non cancella l’appropriazione già avvenuta. Tale condotta è stata correttamente valutata dai giudici di merito non come prova dell’insussistenza del reato, ma come presupposto per l’applicazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 323-bis del codice penale, che consente una riduzione di pena per i fatti di particolare tenuità.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ribadito che il delitto di peculato tutela non solo il patrimonio della Pubblica Amministrazione, ma anche e soprattutto il dovere di fedeltà e probità del pubblico ufficiale. La condotta appropriativa si realizza quando l’agente compie un atto di disposizione sul bene incompatibile con il titolo per cui lo possiede. Nel caso in esame, l’omissione di formalizzare la presa in carico del bene smarrito e le successive menzogne sono state considerate atti che manifestavano la volontà di invertire il titolo del possesso, da ragioni d’ufficio a possesso privato. Pertanto, il reato si è consumato in quel momento, rendendo irrilevanti, ai fini della sua esistenza, sia la durata della detenzione sia la mancata utilizzazione del computer. La Corte ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito, che hanno visto nella successiva restituzione non un’assenza di dolo, ma un pentimento postumo valutabile solo ai fini della commisurazione della pena.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida un principio fondamentale in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione: per la configurazione del peculato, ciò che conta è l’intento appropriativo manifestato dal pubblico ufficiale, anche se l’appropriazione è solo temporanea e non produce un vantaggio economico concreto. La decisione serve da monito sul rigore con cui l’ordinamento giuridico valuta la condotta di chi, rivestendo una funzione pubblica, abusa della propria posizione per disporre di beni che dovrebbe solo custodire e amministrare nell’interesse della collettività. La successiva restituzione potrà mitigare la sanzione, ma non potrà cancellare la responsabilità penale per un reato già perfettamente consumato.

Per commettere il reato di peculato è necessario utilizzare il bene o trarne un profitto?
No. Secondo la sentenza, il reato si perfeziona con il solo atto di appropriazione, ovvero quando il pubblico ufficiale manifesta l’intenzione di disporre del bene come se fosse proprio, indipendentemente da un suo effettivo utilizzo o dal conseguimento di un vantaggio economico.

Se un pubblico ufficiale si appropria di un bene solo per pochi giorni e poi lo fa ritrovare, commette comunque peculato?
Sì. La natura temporanea dell’appropriazione non esclude il reato. Il fatto che il bene venga successivamente ritrovato o restituito può essere valutato come una circostanza attenuante per ridurre la pena, ma non elimina la responsabilità penale per il reato già consumato.

Quali elementi hanno dimostrato la volontà dell’imputato di appropriarsi del computer nel caso di specie?
La Corte ha individuato la prova della volontà di appropriarsi in due specifiche circostanze: in primo luogo, il rifiuto dell’agente di rilasciare una ricevuta a chi gli aveva consegnato il computer smarrito; in secondo luogo, l’aver dichiarato falsamente a un collega che la scatola del computer era vuota.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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