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Peculato: irrilevante il valore economico del bene

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6854/2025, ha confermato il reato di peculato a carico di un dipendente pubblico che si era appropriato di carta filigranata per banconote, anche se destinata alla distruzione. Secondo la Corte, il valore intrinseco del bene e la lesione del buon andamento della Pubblica Amministrazione sono sufficienti a configurare il reato, rendendo irrilevante l’assenza di un danno patrimoniale diretto.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Peculato: anche un bene da distruggere ha valore per la legge

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, affronta un caso di peculato che solleva una questione fondamentale: può essere commesso il reato appropriandosi di un bene che, essendo destinato alla distruzione, appare privo di valore economico? La risposta dei giudici è netta e conferma un principio cardine del diritto penale amministrativo: l’offesa non è solo patrimoniale, ma colpisce anche il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.

I fatti: la sottrazione della carta per banconote

Il caso ha origine dalla condotta di un dipendente di un istituto poligrafico statale, addetto al controllo valori e magazziniere. L’uomo, in virtù del suo incarico, aveva la disponibilità di fogli di carta filigranata destinati alla stampa di banconote da 50 euro. Invece di avviarli alla triturazione come previsto, se ne appropriava indebitamente. Nello specifico, l’accusa contestava la sottrazione di 342 fogli, dal valore nominale potenziale di 684.000 euro.

Inizialmente sottoposto agli arresti domiciliari, l’indagato otteneva dal Tribunale del Riesame la sostituzione della misura con il divieto temporaneo di esercitare le sue funzioni e di dimorare presso l’edificio dell’istituto. Contro questa ordinanza, la difesa presentava ricorso in Cassazione.

La tesi difensiva: un bene senza valore non configura il peculato

Il punto centrale del ricorso si basava su un’argomentazione precisa: i fogli sottratti erano destinati alla distruzione e, pertanto, erano privi di qualsiasi valore economico. Secondo la difesa, mancando un bene con un valore patrimoniale effettivo, non poteva sussistere l’elemento materiale del reato di peculato, previsto dall’art. 314 del codice penale, che punisce l’appropriazione di “denaro o altra cosa mobile altrui”.

In sostanza, la difesa sosteneva che l’assenza totale di valore economico del bene rendesse impossibile configurare il delitto, a prescindere dall’avvenuto impossessamento da parte del dipendente pubblico.

L’analisi della Corte sul peculato e il valore del bene

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e cogliendo l’occasione per ribadire la natura plurioffensiva del reato di peculato. I giudici hanno chiarito che l’oggetto materiale del delitto è caratterizzato dalla cosiddetta “altruità”, ovvero dal fatto che il bene non appartiene a chi se ne appropria.

Ai fini della sussistenza del reato, non è dirimente il valore economico del bene sottratto. È sufficiente che esso possieda un valore anche minimo o, in alternativa, una qualche forma di utilità. Questo perché la norma non tutela esclusivamente il patrimonio della Pubblica Amministrazione.

Le motivazioni della decisione

La motivazione della Corte si fonda su due pilastri. In primo luogo, la natura plurioffensiva del reato. Il peculato non lede solo l’aspetto patrimoniale, ma anche e soprattutto l’interesse al buon andamento e all’imparzialità della P.A., protetto dall’articolo 97 della Costituzione. La condotta del pubblico ufficiale che si appropria di un bene affidatogli per ragioni d’ufficio viola il rapporto di fiducia e il corretto funzionamento dell’amministrazione, a prescindere dal danno economico concreto. L’eventuale assenza di un danno patrimoniale, quindi, non esclude il reato.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato il valore intrinseco del bene sottratto. Non si trattava di semplice carta, ma di un prodotto di particolare pregio, dotato di elementi olografici, di sicurezza e anticontraffazione. Queste caratteristiche conferivano ai fogli un’utilità e un valore intrinseci che rendevano del tutto irrilevante la loro destinazione finale alla triturazione. La potenziale pericolosità derivante dall’immissione di tale materiale in circuiti illegali è un fattore che ne dimostra l’intrinseco valore, al di là del suo status contabile di “bene da distruggere”.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio consolidato nella giurisprudenza sul peculato: la tutela penale va oltre la mera dimensione patrimoniale per abbracciare l’integrità e la correttezza dell’azione amministrativa. La decisione chiarisce che qualsiasi bene mobile altrui, in possesso del pubblico ufficiale per ragioni di servizio, può essere oggetto di peculato se possiede una qualche utilità, anche non strettamente economica. La destinazione del bene alla distruzione non ne annulla l’esistenza giuridica né il potenziale valore, rendendo penalmente rilevante l’appropriazione da parte di chi doveva garantirne la corretta gestione.

Si può commettere il reato di peculato appropriandosi di un bene destinato alla distruzione e apparentemente privo di valore economico?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, ai fini della configurazione del reato di peculato, è sufficiente che il bene possieda un valore anche minimo o una qualsiasi utilità. La destinazione alla distruzione non rende l’appropriazione irrilevante, specialmente se il bene ha un valore intrinseco, come nel caso di carta filigranata per banconote.

Perché il peculato è considerato un reato “plurioffensivo”?
Perché la sua condotta non lede un solo interesse, ma ne danneggia molteplici. Oltre a ledere l’interesse patrimoniale della Pubblica Amministrazione, il peculato offende soprattutto il principio di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, minando il rapporto di fiducia tra il cittadino e le istituzioni.

Qual è la differenza tra peculato per appropriazione e peculato d’uso secondo la sentenza?
La sentenza chiarisce che il caso in esame riguarda un’appropriazione definitiva del bene (peculato comune), dove l’agente si comporta come se fosse il proprietario. Si distingue dal peculato d’uso, che si configura quando il pubblico ufficiale fa un uso solo momentaneo e temporaneo del bene, per poi restituirlo. La questione del danno patrimoniale assume rilevanza solo in quest’ultima fattispecie, mentre è irrilevante nel peculato per appropriazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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