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Peculato gestore slot: Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3082/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una esercente di apparecchi da gioco condannata per peculato. La Corte ha confermato che la mancata consegna al concessionario delle somme raccolte, circa 21.000 euro, integra il reato di peculato gestore slot, in quanto il denaro appartiene alla pubblica amministrazione fin dal momento della riscossione e il gestore riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Peculato Gestore Slot: La Cassazione Conferma la Linea Dura

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3082/2025, consolida un principio di fondamentale importanza nel settore del gioco lecito: il gestore di apparecchi da intrattenimento che omette di versare gli incassi al concessionario di Stato commette il grave reato di peculato. Questo pronunciamento chiarisce definitivamente la qualifica giuridica del gestore e la natura pubblica delle somme raccolte, delineando un quadro di responsabilità penale molto netto per gli operatori del settore. Il caso in esame riguarda un peculato gestore slot per un ammanco di oltre 21.000 euro.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine dalla condotta della titolare di una ditta individuale, gestore di apparecchi da gioco per conto di un concessionario statale. L’imputata, in concorso con il compagno, si appropriava della somma di euro 21.113,80, proveniente dalle giocate, omettendo di riversarla al concessionario come previsto dal contratto di collaborazione. Nonostante i solleciti e le diffide, il versamento non veniva effettuato.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte di Appello avevano riconosciuto la sua colpevolezza per il reato di peculato, previsto dall’art. 314 del codice penale, ritenendo che la sua funzione la qualificasse come incaricata di un pubblico servizio e che il denaro raccolto fosse di proprietà pubblica sin dall’origine.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Errata qualificazione giuridica del reato: La difesa sosteneva che la condotta dovesse essere inquadrata come appropriazione indebita o truffa, e non come peculato, poiché il ruolo del gestore sarebbe meramente materiale e non quello di un agente contabile pubblico.
2. Vizio di motivazione sull’elemento soggettivo: Si lamentava un presunto cambiamento imprevedibile della giurisprudenza, avvenuto dopo i fatti contestati, che avrebbe reso scusabile l’ignoranza sulla illiceità penale della condotta. Inoltre, si denunciava un travisamento della prova riguardo la ricezione di una comunicazione via PEC.
3. Mancato riconoscimento di un’attenuante: La difesa contestava il mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di particolare tenuità, ritenendo che l’importo fosse modesto rispetto ai volumi milionari del settore del gioco.

Le Motivazioni della Sentenza e il peculato gestore slot

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa con motivazioni chiare e conformi all’orientamento consolidato.

Innanzitutto, sul tema centrale del peculato gestore slot, i giudici hanno ribadito quanto già statuito dalle Sezioni Unite con la nota sentenza ‘Rubbo’ (n. 6087/2020): il denaro incassato dagli apparecchi da gioco, inclusa la quota destinata al Prelievo Erariale Unico (PREU), appartiene alla pubblica amministrazione fin dal momento della sua riscossione. Il concessionario riveste la qualifica di ‘agente contabile’ e di incaricato di pubblico servizio, e il gestore, agendo come suo delegato, partecipa a tale funzione pubblica. Di conseguenza, l’appropriazione di tali somme integra pienamente il delitto di peculato.

La Corte ha inoltre precisato che tale orientamento non costituisce un mutamento giurisprudenziale imprevedibile, ma rappresenta il consolidamento di una linea interpretativa già presente in decisioni precedenti, a fronte di un solo precedente contrario isolato. Non è quindi possibile invocare l’ignoranza della legge penale come scusante.

Gli altri motivi di ricorso sono stati giudicati generici e infondati. La conoscenza dell’inadempimento era palese, tanto che era stato negoziato un piano di rientro del debito con il concessionario. Infine, la valutazione del danno come ‘considerevole’, e quindi ostativo all’applicazione dell’attenuante, è stata ritenuta corretta, poiché il pregiudizio non riguardava solo l’Erario ma anche il concessionario stesso.

Conclusioni

La sentenza in commento rafforza un principio cardine per gli operatori del settore del gioco legale: chi gestisce apparecchi da intrattenimento per conto di un concessionario statale non è un semplice imprenditore privato, ma assume una funzione pubblica. Le somme raccolte non sono di sua proprietà, ma appartengono allo Stato sin dalla loro raccolta. L’omesso versamento, pertanto, non è un mero inadempimento contrattuale, ma un grave reato contro la Pubblica Amministrazione. Questa decisione serve da monito, sottolineando le precise responsabilità penali che gravano sui gestori e la necessità di una condotta trasparente e rigorosa nella gestione degli incassi.

Il gestore di apparecchi da gioco che non versa gli incassi al concessionario commette peculato?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che tale condotta integra il delitto di peculato, poiché il denaro raccolto appartiene alla pubblica amministrazione sin dal momento della riscossione e il gestore, partecipando alle funzioni del concessionario, riveste la qualifica di incaricato di un pubblico servizio.

La qualifica di peculato per il gestore di slot rappresenta un cambiamento imprevedibile della giurisprudenza?
No. La Corte ha chiarito che l’orientamento che qualifica la condotta come peculato era già consolidato prima della sentenza delle Sezioni Unite del 2020 e non può essere considerato un mutamento giurisprudenziale imprevedibile che possa giustificare l’ignoranza della legge penale.

Perché il ricorso dell’imputata è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati ritenuti manifestamente infondati o generici. La Corte ha confermato la correttezza della qualificazione giuridica del reato e ha respinto le argomentazioni relative all’elemento soggettivo e alla valutazione del danno, ritenendole non idonee a scalfire la solidità della decisione impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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