Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 24096 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 24096 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Ostuni 1’08/10/1975
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano il 21/03/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della impugnata sentenza – quanto al capo 2 e ai capi da 3 a 47 – e che il ricorso sia dichiarato inammissibile per il resto; udito l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME difens della parte civile, Automobile Club Milano, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, rigettato;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Monza, ha condannato COGNOME NOME per i reati di peculato (capo 2), appropriazione indebita per i fatti commessi dopo il 2 settembre 2016 (capo 1) e per più fatti di truffa (capi da 2 a 46, esclusi quelli contest ai capi 9- 5 – 25- 34 – 37- 40).
Quanto al peculato, COGNOME titolare di una determinata Agenzia affiliata all’A.C.I. sarebbe appropriato della somma di 2.429,00 euro, destinata al pagamento dei diritti da versare al Pubblico Registro Automobilistico e alla Motorizzazione Civile.
Quanto alla appropriazione indebita, l’imputato, nella qualità sopra indicata, s sarebbe appropriato della somma di 33.857,31 destinata al pagamento della quota associativa RAGIONE_SOCIALE
Quanto invece alle truffe, l’imputato si sarebbe fatto commissionare servizi di consulenza e pratiche automobilistiche, quali, ad esempio, il cambio di proprietà, per i quali si faceva corrispondere denaro, omettendo tuttavia di dare esecuzione all’incarico ricevuto e consegnando documenti solo apparentemente corrispondenti a quelli richiesti.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato articolando cinque motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge quanto alla responsabilità per il delit di appropriazione indebita (capo 1).
La Corte avrebbe fatto discendere la prova dell’appropriazione da fatti di mero inadempimento derivanti solo da dichiarazioni dell’A.C.I.
2.2. Con il secondo motivo e il terzo motivo, che possono essere valutati congiuntamente, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il peculato.
Il tema attiene alla qualifica di incaricato di pubblico servizio; si assume che l’apert dell’agenzia di cui è titolare l’imputato sarebbe stata autorizzata dalla Provincia di Mila e non dall’A.C.I. o dalla Motorizzazione e l’attività compiuta sarebbe stata a caratter privatistico, così come privato sarebbe stato il rapporto con i clienti, che versava denaro affinchè COGNOME provvedesse al proprio compito professionale di consulenza.
Dunque, non sarebbe configurabile la qualifica soggettiva e le somme non sarebbero state pubbliche.
2.3. Con il quarto motivo si deduce il mancato assorbimento tra il delitto di peculat in quelli di truffa.
Si sostiene che i raggiri e gli artifici sarebbero stati strumentali al conseguimento d possesso delle somme di denaro e che il profitto della truffa sarebbe coincidente con la somma sottratta al privato e non alla pubblica amministrazione.
COGNOME non avrebbe mai avviato le pratiche relative alle somme percepite dal privato e quindi non vi sarebbe stato nessun rapporto tra lo stesso cliente e la pubblica amministrazione.
2.4. Con il quinto motivo si deduce vizio di motivazione quanto agli aumenti di pena inflitti per continuazione
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente alla sussistenza del delitto di peculato.
E’ inammissibile il primo motivo, relativo al reato di appropriazione indebita.
I Giudici di merito hanno ricostruito con precisione i fatti e spiegato, sulla base documentazione certa, da una parte, come l’Agenzia, di cui era titolare l’imputato, avesse raccolto e non versato la somma di 2.429,00 euro, e, dall’altra, come le argomentazioni difensive, supportate da documentazione pressocchè illegibile, risultino smentite dalle verifiche compiute dall’A.C.I. e dal contenuto delle querele acquisite.
Nulla di specifico è stato dedotto dall’imputato, il quale si è limitato ad affermazi generiche, che non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata e sono meramente reiterative di censure già correttamente valutate dai giudici di merito
3. Sono inammissibili anche il secondo e il terzo motivo di ricorso.
Quanto al tema della qualifica soggettiva, la Corte di cassazione ha in più occasioni spiegato che integra il delitto di peculato la condotta del soggetto autorizzato a riscossione delle tasse che ometta di versare le somme di denaro ricevute nell’adempimento della funzione pubblica di riscossione, atteso che quel denaro entra nella disponibilità della Pubblica Amministrazione nel momento stesso della consegna all’incaricato dell’esazione (tra le altre, Sez. 6, n. 2693 del 29/11/2017, dep 2018, Luca, Rv. 272131; Sez. 6, n. 45082 del 01/10/2015, COGNOME, Rv. 265342).
Nel caso di riscossione di denaro per conto della Pubblica Amministrazione, infatti, il delitto di peculato, che è reato istantaneo, si consuma nel momento stesso in cui il pubblico funzionario non versa le somme nelle casse dell’ente pubblico entro il giorno stesso della loro riscossione, come previsto dall’art. 227 del Regolamento generale della contabilità di Stato (Sez. 6, n. 12141 del 19/12/2008, COGNOME, Rv. 243054; Sez. 6, n. 1256 del 03/11/2003, COGNOME, Rv. 229766).
Quanto al tema del peculato d’uso, la Corte di cassazione ha spiegato che il peculato d’uso è configurabile solo in relazione a cose di specie e non al denaro menzionato in modo alternativo solo nel primo comma dell’art. 314 cod. pen., in quanto la sua natura fungibile non consente – dopo l’uso – la restituzione della stessa cosa, ma solo del “tantundem”, irrilevante ai fini dell’integrazione dell’ipotesi attenuata (Se n. 49474 dl 04/12/2015, Stanca, Rv. 266242).
È invece fondato il quarto motivo di ricorso.
4.1. Secondo la Corte di appello, “gli artifici posti in essere nei confronti della clie prima di ottenere i pagamenti da costoro, risultano essere stati del tutto necessari funzionali ad acquisire il possesso delle somme versate, mentre successiva è
l’integrazione, nei confronti dell’erario, della interversione del possesso, consumat dall’inutile scadere della data ultima stabilita per i versamenti dei tributi” testualmente la Corte a pag. 16 della sentenza impugnata).
Dunque le somme non versate, di cui l’imputato si sarebbe appropriato, sarebbero quelle ottenute attraverso le condotte decettive nei riguardi della clientela.
4.2. Non vi è dubbio che nel peculato esista “di per sè” un profilo propriamente “giuridico” di rilevanza del rapporto tra l’agente e la res.
Già in epoca precedente la riforma introdotta con la I. 26 aprile 1990, n. 86, l giurisprudenza di legittimità aveva interpretato la nozione di possesso assunta dall’art. 314 cod. pen. attribuendole un significato più ampio di quello civilistico.
Si è ritenuto, infatti, non necessario che il pubblico ufficiale abbia la materi detenzione o la diretta disponibilità del denaro, essendo sufficiente la disponibil giuridica, ossia la possibilità di disporne – mediante un atto di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell’ufficio – e di conseguire quanto poi costituisca oggetto di appropriazione (ex plurimis: Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257385; Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, COGNOME, Rv. 255529; Sez. 6, n. 11633 del 22/01/2007, Guida, Rv. 236146; Sez. 6, n. 6753 del 04/06/1997, COGNOME, Rv. 211008).
Nella nozione di possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio è sta inoltre, ricompreso non solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa s un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o ne servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (Sez. 6, n. 33254 del 19/05/2016, COGNOME, Rv. 267525; Sez. 6, n. 9660 del 12/02/2015, COGNOME, Rv. 262458; Sez. 6, n. 12368 del 17/10/2012, Medugno, Rv. 255998).
Sez. 6, n. 4129 del 19/02/1993, Resta, Rv. 194522, ha precisato tuttavia che il concetto di disponibilità «non può essere allargato fino a comprendervi una qualsiasi relazione, anche mediata ed eventuale con la cosa o con il denaro, valendo invece ad indicare quei soli poteri giuridici che consentono all’agente, che sia privo del corpus d possesso, di esplicare sulla cosa quegli stessi comportamenti, uti dominus, che vengono a substanziare la condotta di appropriazione.» Di conseguenza, sono stati esclusi dal concetto di disponibilità quei poteri del pubblico ufficiale che possono assimilarsi non g alle facoltà del “dominus”, ma a quelle del creditore in un rapporto obbligatorio e che g consentono di esigere la prestazione della controparte o di adempiere alla propria, ponendo le premesse per l’adempimento altrui.
I principi in questione devono essere posti in connessione con la elaborazione giurisprudenziale relativa ai rapporti tra il delitto di peculato e quello di truffa: s di una distinzione in apparenza chiara e ripetuta in ogni occasione dalla giurisprudenza.
Nel peculato, la rilevanza penale della condotta appropriativa del denaro o della cosa mobile altrui presuppone il possesso o comunque la disponibilità, nel senso appena indicato, di tali beni da parte del pubblico ufficiale “per ragione del suo ufficio o serv
Entro tale prospettiva, dunque, l’appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, d cui si abbia il possesso, si traduce sostanzialmente nell’atteggiarsi uti dominus da parte del pubblico ufficiale nei confronti di tali beni, mediante il compimento di incompatibili con il titolo per cui si possiede, così da realizzare l’interversio possessionis e l’interruzione della relazione funzionale tra il bene e il suo legittimo proprietario.
Il delitto di truffa, anche nel caso in cui sia aggravata dall’abuso dei poteri o d violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione, postula, invece, che l’agente, inducendo taluno in errore attraverso artifizi o raggiri, consegua per sè o per altri ” ingiusto profitto”, rappresentato anche dall’impossessamento di un determinato bene, di cui in precedenza non aveva l’autonoma disponibilità.
È al rapporto tra possesso, da una parte, ed artifizi e raggiri, dall’altra, che d aversi riguardo, nel senso che, qualora questi ultimi siano finalizzati a mascherare l’illecita appropriazione da parte dell’agente del denaro o della res di cui già ave legittimamente la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, ricorrerà lo sche del peculato; qualora, invece, la condotta fraudolenta sia posta in essere proprio per conseguire il possesso del denaro o della cosa mobile altrui, sarà integrato il paradigma della truffa aggravata.
Ciò che rileva è il modo con il quale si acquista il possesso del denaro o del bene costituente l’oggetto materiale del reato (sul tema, tra le tante, Sez. 6, n. 46799 d 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274282; Sez. 6, n. 10569 del 05/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273395; Sez. 6, n. 15795 del 06/02/2014, COGNOME, Rv. 260154; Sez. 6, n. 35852 del 06/07/2008, COGNOME, Rv. 241186).
4.3. La Corte di appello di Milano non ha fatto corretta applicazione dei princip indicati.
Come già detto, secondo la stessa Corte di appello, le somme di cui l’imputato si sarebbe appropriato non sarebbero state nella disponibilità di questi in ragione dell’ufficio, ma sarebbero state acquisite attraverso la condotta fraudolenta ed irrilevante che dette somme non sarebbero poi state riversate alla Pubblica amministrazione.
Dunque la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di peculato perché il fatto non sussiste con conseguente trasmissione degli atti
ad altra Sezione della Corte di appello di Milano per la rideterminazione della pena, per le correlate statuizioni civili, nonché per la liquidazione delle spese del presente giud
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 2)
perché il fatto non sussiste.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e dispone la trasmissione degli atti ad alt
Sezione della Corte di appello di Milano per la rideterminazione della pena e le correlate statuizioni civili, nonché per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2025.