LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Peculato e truffa aggravata: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione interviene sul caso di una dipendente di un ente di riscossione, accusata di peculato e accesso abusivo a sistema informatico. La Corte distingue due fasi della sua condotta: la prima, quando aveva la disponibilità del denaro per ragioni d’ufficio, qualificata come peculato; la seconda, dopo un cambio di mansioni che le toglieva tale disponibilità, riqualificata come truffa aggravata. La sentenza sottolinea che la qualificazione del reato dipende dal modo in cui si ottiene il possesso del bene: se il possesso deriva dalla funzione pubblica è peculato, se è ottenuto con l’inganno è truffa.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Peculato e truffa aggravata: la linea di confine segnata dal cambio di mansioni

Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sulla sottile ma decisiva differenza tra peculato e truffa aggravata, specialmente nei casi che coinvolgono dipendenti pubblici. La pronuncia chiarisce come un cambio di mansioni all’interno dell’ente possa modificare la natura del reato commesso, spostando l’accusa da peculato a truffa. Il caso esaminato riguarda una dipendente di un ente di riscossione che si è appropriata di somme di denaro versate dai contribuenti in due momenti diversi della sua carriera lavorativa.

I Fatti di Causa

La vicenda si articola in due periodi distinti. In una prima fase, la dipendente, addetta all’ufficio che gestiva la rateizzazione dei debiti tributari, riceveva somme di denaro in contanti dai contribuenti e, anziché versarle nelle casse dell’ente, se ne appropriava. In questo contesto, utilizzava anche assegni circolari intestati all’ente, versati da alcuni contribuenti, per coprire gli ammanchi creati con le appropriazioni precedenti.

In un secondo momento, a seguito dell’emersione delle condotte illecite, la dipendente veniva trasferita alla segreteria della Direzione provinciale, un ruolo che non prevedeva alcun contatto diretto con il pubblico né la gestione di denaro. Nonostante ciò, continuava a farsi consegnare somme da privati, promettendo di utilizzarle per saldare i loro debiti tributari, impegno che poi non onorava.

Peculato e Truffa Aggravata: la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per peculato per le condotte della prima fase, ma ha riqualificato i fatti successivi al cambio di mansioni come truffa aggravata. La distinzione, sottolineano i giudici, risiede nelle modalità con cui l’agente acquisisce la disponibilità del denaro.

Il delitto di peculato si configura quando il pubblico ufficiale si appropria di denaro di cui ha già il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio. Nel primo periodo, la dipendente, in virtù del suo ruolo specifico, era legittimata a ricevere le somme dai contribuenti. L’appropriazione di tale denaro, quindi, integra pienamente il reato di peculato.

L’impatto del Cambio di Mansioni sulla Qualificazione del Reato

Il punto cruciale della sentenza riguarda il secondo periodo. Una volta trasferita a un ufficio senza competenze di cassa, la dipendente non aveva più alcuna disponibilità del denaro pubblico ‘per ragioni d’ufficio’. Per ottenerlo, ha dovuto ricorrere ad artifici e raggiri, inducendo in errore i contribuenti e facendo leva su un rapporto fiduciario personale. La condotta non è più un’appropriazione di un bene già in suo possesso, ma un’acquisizione fraudolenta dello stesso. Di conseguenza, il reato commesso in questa seconda fase non è peculato, ma truffa aggravata ai danni dell’ente pubblico, il quale ha subito un danno patrimoniale non avendo incassato i tributi dovuti.

le motivazioni

La Corte ha chiarito che l’elemento distintivo tra i due reati è il possesso del bene. Nel peculato, il soggetto attivo ha già la disponibilità del denaro o della cosa mobile altrui a causa della sua funzione. Nella truffa, invece, il soggetto attivo non ha tale possesso e se lo procura fraudolentemente, ingannando la vittima. Nel caso di specie, il trasferimento della dipendente ha interrotto il nesso funzionale tra le sue mansioni e la gestione del denaro. Le somme ottenute successivamente non erano frutto della sua posizione lavorativa, ma di una condotta decettiva autonoma, realizzata al di fuori del contesto professionale e basata su un mandato fiduciario personale con i contribuenti.
La Corte ha inoltre precisato che non rileva il principio dell’ultrattività della qualifica pubblicistica (art. 360 c.p.), poiché questo si applica solo quando la disponibilità del bene è stata acquisita durante l’esercizio delle funzioni, anche se l’appropriazione avviene dopo. Qui, invece, la disponibilità stessa è stata ottenuta aliunde, cioè dall’esterno e con mezzi illeciti, dopo la cessazione dalle funzioni pertinenti.

le conclusioni

In conclusione, la sentenza stabilisce un principio chiaro: la qualificazione giuridica della condotta appropriativa di un dipendente pubblico dipende in modo determinante dalla sussistenza di un possesso o di una disponibilità del bene ‘per ragioni d’ufficio’. Se tale disponibilità esiste, l’appropriazione è peculato. Se, al contrario, il dipendente, privo di tale disponibilità a causa delle sue mansioni, si procura il denaro con l’inganno, il reato si configura come truffa aggravata. Questa distinzione è fondamentale per garantire la corretta applicazione della legge e la giusta commisurazione della pena.

Quando l’appropriazione di denaro da parte di un dipendente pubblico è peculato e non truffa?
Si configura il reato di peculato quando il dipendente pubblico ha già il possesso o la disponibilità del denaro in virtù delle sue funzioni ufficiali. Se invece deve procurarsi il denaro con artifici o raggiri, inducendo altri in errore, perché le sue mansioni non glielo consentono, si configura il reato di truffa.

Cosa succede se un dipendente pubblico commette un’appropriazione dopo essere stato trasferito a mansioni diverse?
Se le nuove mansioni non comportano la disponibilità di denaro, e il dipendente si fa consegnare somme con l’inganno, la sua condotta viene qualificata come truffa aggravata e non più come peculato. Viene a mancare, infatti, il presupposto essenziale del possesso ‘per ragioni d’ufficio’.

La truffa può essere configurata anche se la vittima del raggiro non è la stessa del danno patrimoniale?
Sì, la sentenza conferma il principio secondo cui il reato di truffa aggravata ai danni di un ente pubblico sussiste anche quando il soggetto passivo del raggiro (il contribuente ingannato) è diverso dal soggetto che subisce il danno patrimoniale (l’ente di riscossione che non incassa le somme dovute).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati