Patteggiamento Straniero e Mancata Traduzione: Quando il Ricorso è Inammissibile
La gestione dei procedimenti penali che coinvolgono cittadini stranieri presenta complessità uniche, specialmente riguardo al diritto alla comprensione degli atti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un patteggiamento straniero, chiarendo i limiti all’impugnazione basata sulla mancata traduzione della sentenza. La decisione sottolinea la natura specifica del rito del patteggiamento e le conseguenze che la sua scelta comporta per l’imputato.
I Fatti del Caso
Un cittadino albanese veniva condannato dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Trani a seguito di richiesta di applicazione pena (il cosiddetto ‘patteggiamento’) per un reato previsto dalla normativa sugli stupefacenti. Successivamente, il suo difensore proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione: la sentenza di patteggiamento non era stata tradotta per iscritto in lingua albanese, impedendo così al suo assistito una piena comprensione del provvedimento.
Limiti all’Impugnazione del Patteggiamento Straniero
Il cuore della questione risiede nei motivi per cui è possibile impugnare una sentenza emessa a seguito di patteggiamento. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, spiegando che le censure sollevate non rientrano nel novero di quelle consentite dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Questa norma limita strettamente i motivi di ricorso avverso una sentenza di patteggiamento a questioni specifiche, quali:
1. Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Mancata correlazione tra la richiesta di pena e la sentenza emessa.
3. Errata qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza.
La mancata traduzione della sentenza, secondo la Corte, non rientra in nessuna di queste categorie. Pertanto, il motivo di ricorso è stato giudicato ‘indeducibile’, ovvero non proponibile in quella sede.
Le Conseguenze della Mancata Traduzione della Sentenza
La Suprema Corte ha colto l’occasione per fare ulteriori precisazioni. In primo luogo, ha ribadito un principio consolidato: la scelta di accedere al rito del patteggiamento preclude all’imputato straniero (tecnicamente ‘alloglotto’) la possibilità di lamentarsi successivamente di vizi procedurali come la mancata traduzione di alcuni atti.
In secondo luogo, e in ogni caso, la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato non costituisce un’ipotesi di nullità del provvedimento. Non rende, cioè, la sentenza invalida. Tutt’al più, come indicato da precedenti pronunce, tale omissione può avere un’incidenza sulla decorrenza del termine per proporre impugnazione, che inizierebbe a decorrere solo dal momento in cui l’imputato ha effettiva conoscenza del contenuto della sentenza.
Le Motivazioni della Cassazione
La decisione della Corte si fonda su un’interpretazione rigorosa della normativa processuale. L’inammissibilità del ricorso è stata dichiarata principalmente perché il motivo addotto – la mancata traduzione – è estraneo al catalogo tassativo di censure ammesse dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. per le sentenze di patteggiamento. La Corte ha inoltre rafforzato questo punto evidenziando che la scelta del rito alternativo implica una sorta di accettazione delle regole procedurali e una rinuncia a sollevare determinate eccezioni. Infine, ha chiarito che il vizio lamentato non è così grave da causare la nullità della sentenza, ma ha conseguenze procedurali di minor rilievo.
Le Conclusioni
Questa sentenza riafferma la natura speciale e i limiti stringenti del patteggiamento. Per gli imputati stranieri e i loro difensori, emerge un chiaro monito: la scelta di questo rito deflattivo comporta una significativa riduzione delle successive possibilità di impugnazione. Questioni relative alla comprensione linguistica degli atti, pur fondamentali, non possono essere utilizzate per contestare la validità di una sentenza di patteggiamento se non rientrano nei motivi specificamente previsti dalla legge. La tutela del diritto alla traduzione deve essere assicurata nel corso del procedimento, ma la sua presunta violazione non può diventare un grimaldello per scardinare un accordo processuale già ratificato dal giudice.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento perché non è stata tradotta nella lingua dell’imputato straniero?
No. La sentenza stabilisce che la mancata traduzione non rientra tra i motivi specifici per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento, come elencati nell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
La mancata traduzione della sentenza rende nullo il provvedimento?
No. La Corte chiarisce che la mancata traduzione di una sentenza per un imputato che non conosce l’italiano non integra un’ipotesi di nullità. Può, al massimo, incidere sulla data da cui decorre il termine per presentare un’impugnazione.
Accedere al rito del patteggiamento ha conseguenze sulla possibilità di lamentare vizi procedurali?
Sì. Secondo la sentenza, la scelta del patteggiamento preclude all’imputato straniero (alloglotto) la possibilità di eccepire successivamente vizi derivanti dalla mancata traduzione di una parte degli atti del procedimento.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21533 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21533 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/12/2023 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di TRANI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Trani ha applicato ex art. 444 cod. proc. pen. la pena di giustizia nei confronti di NOME (cittadino albanese), in relazione al reato di cui agli artt. 73 e 80, comma 2, d.P.R. 309/90.
Avverso tale sentenza propone ricorso il difensore dell’imputato, lamentando – in sintesi – violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omessa traduzione in lingua albanese, per iscritto, della sentenza impugnata.
Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
In primo luogo, la descritta censura è indeducibile, in quanto non riconducibile a quelle consentite dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., vale a dire quelle riguardanti motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazion giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
In ogni caso, è appena il caso di rilevare che l’accesso al rito del “patteggiamento” preclude all’imputato alloglotto, che non conosca la lingua italiana, la possibilità di eccepire vizi derivanti dalla mancata traduzione di una parte degli atti del procedimento (Sez. 2, n. 6575 del 02/02/2016, Rv. 266198 01). Peraltro, la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato straniero che non conosca la lingua italiana non integra un’ipotesi di nullità ma può incidere, eventualmente, sulla decorrenza del termine di impugnazione della sentenza (Sez. 6, n. 40556 del 21/09/2022, Rv. 283965 – 01).
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 5 marzo 2024