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Patteggiamento ricorso cassazione: motivi di inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento, poiché i motivi addotti non rientravano tra quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. Questa ordinanza ribadisce che, dopo la riforma del 2017, il patteggiamento e il ricorso in cassazione sono compatibili solo per vizi specifici, escludendo questioni generali come la mancata verifica di cause di proscioglimento. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato alle spese e al pagamento di una sanzione.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento Ricorso Cassazione: Quando l’Appello è Inammissibile?

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie alternative al processo ordinario più diffuse nel nostro sistema penale. Tuttavia, l’accordo tra imputato e pubblica accusa non sempre preclude la possibilità di contestare la sentenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili per l’impugnazione, delineando quando il binomio patteggiamento ricorso cassazione risulta proceduralmente impossibile.

I Fatti del Caso

Un imputato, dopo aver concordato una pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (patteggiamento) con una sentenza emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare, decideva di presentare ricorso per cassazione. L’obiettivo del ricorso era contestare la decisione del giudice, lamentando un vizio di violazione di legge per la presunta mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento, come previsto dall’art. 129 c.p.p. In sostanza, secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato anziché ratificare l’accordo sulla pena.

La Decisione della Corte sul Patteggiamento e Ricorso in Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile. La decisione si fonda sull’interpretazione rigida dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta “Riforma Orlando”). Questa norma ha limitato drasticamente le ragioni per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di euro 3.000,00 alla Cassa delle ammende, evidenziando che non vi erano elementi per ritenere che il ricorso fosse stato proposto senza colpa.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Cassazione è netta e si articola su un punto centrale: il legislatore del 2017 ha voluto circoscrivere il controllo di legittimità sulle sentenze di patteggiamento a un novero chiuso e tassativo di motivi. L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. stabilisce infatti che il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione solo per motivi attinenti a:

1. L’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso al patteggiamento è stato viziato.
2. Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha emesso una decisione che non corrisponde all’accordo tra le parti.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo errato dal punto di vista legale.
4. L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la sanzione è contraria alla legge per specie o quantità.

Qualsiasi altro motivo di ricorso è, per espressa previsione normativa, inammissibile. Nel caso specifico, la doglianza del ricorrente relativa alla mancata applicazione delle cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.) non rientra in nessuna delle quattro categorie elencate. Pertanto, il ricorso è stato giudicato inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti dalla legge.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale della procedura penale post-riforma: l’accordo di patteggiamento assume un carattere di quasi-definitività, e la sua impugnabilità è un’eccezione, non la regola. La scelta di limitare i motivi di ricorso risponde a un’esigenza di efficienza del sistema giudiziario, evitando che il patteggiamento diventi un mero passaggio intermedio prima di un ulteriore grado di giudizio. Per gli operatori del diritto e per gli imputati, la lezione è chiara: la decisione di patteggiare deve essere ponderata attentamente, poiché le vie per rimetterla in discussione sono estremamente ristrette e rigorosamente definite dalla legge. Il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per riesaminare il merito della decisione, ma solo per denunciare vizi procedurali specifici e gravi, come quelli elencati nell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso è possibile solo per i motivi specifici e tassativamente indicati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Quali sono i motivi validi per un ricorso in Cassazione dopo un patteggiamento?
I motivi ammessi sono esclusivamente quelli relativi a vizi nell’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa succede se si propone un ricorso per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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