Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30557 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30557 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Vicenza il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/01/2024 del Tribunale di Vicenza visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, la quale ha chiesto che la sentenza impugnata venga annullata senza rinvio e che gli atti siano trasmessi al Tribunale di Vicenza per un nuovo giudizio;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18/01/2024, il Tribunale di Vicenza, su richiesta dell’imputato NOME COGNOME e con il consenso del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ritenuta la continuazione tra i reati sub iudice di ricettazione (capo C dell’imputazione) e di porto di un coltello (capo D dell’imputazione) con il reato già giudicato con la sentenza n. 645 del 14/08/2020 dello stesso Tribunale di Vicenza, applicava a NOME COGNOME la pena complessiva finale di un anno e 11 mesi di reclusione ed C 700,00 di multa.
Avverso tale sentenza del 18/01/2024 del Tribunale di Vicenza, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a
un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 444, comma 3, e 448, comma 3-bis, dello stesso codice, in ragione della «mancata correlazione tra la richiesta di applicazione pena in continuazione, con pena sospesa e la sentenza».
Il ricorrente rappresenta che la propria richiesta di applicazione della pena, in ordine alla quale il pubblico ministero aveva prestato il proprio consenso, era «subordinata alla concessione della sospensione condizionale» della stessa pena (beneficio che era già stato concesso con la precedente sentenza definitiva), e lamenta che il Tribunale di Vicenza, nonostante abbia accolto la suddetta richiesta, abbia però omesso di concedere (nel dispositivo come nella motivazione) il beneficio.
Il ricorrente evidenzia altresì come l’entità della pena concordata non fosse ostativa alla concessione della sospensione condizionale di essa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo non è consentito.
Dalla lettura del verbale dell’udienza del 13/12/2023 risulta che, come è stato correttamente riportato alla pag. II della sentenza impugnata: a) l’imputato NOME COGNOME chiese al Tribunale di Vicenza l’applicazione della pena, in continuazione con quella che era stata irrogata con la sentenza n. 645 del 14/08/2020 dello stesso Tribunale, di un mese di reclusione ed C 50,00 di multa per il reato di cui al capo C) dell’imputazione e di 15 giorni di reclusione ed C 50,00 di multa per il reato di cui al capo D) dell’imputazione, per addivenire alla pena complessiva di 2 anni, 10 mesi e 15 giorni di reclusione ed C 1000,00 di multa, ridotta per il rito a un anno e 11 mesi di reclusione ed C 700,00 di multa, «con sospensione condizionale della pena»; b) il pubblico ministero si associò «alla richiesta della difesa e per i capi C) e D) prest il consenso alla richiesta».
Pertanto, diversamente da quanto è affermato nel ricorso, la richiesta che fu formulata dall’imputato, e in ordine alla quale il pubblico ministero prestò il proprio consenso, non era subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena.
La concessione di tale beneficio, infatti, non fu configurata dal COGNOME come una condizione sine qua non della richiesta di applicazione della pena, cioè come una clausola della stessa richiesta che ne condizionava l’efficacia, ma come una mera richiesta al giudice di concedere, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, lo stesso beneficio.
Da ciò consegue che, nel caso in esame, diversamente dai casi in cui la richiesta di applicazione della pena sia stata effettivamente subordinata alla concessione della sospensione condizionale della stessa pena, il Tribunale di
Vicenza, col non concedere il beneficio, non è incorso nel vizio di «difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza» – atteso che, come si è detto, la concessione del beneficio non condizionava l’efficacia della richiesta di applicazione della pena che era stata avanzata dal COGNOME e, quindi, la validità dell’accordo sulla stessa richiesta – ma, piuttosto, nel vizio di mancanza della motivazione sulla questione, che era stata espressamente devoluta all’esercizio del suo potere discrezionale, della concessione del medesimo beneficio.
Tale vizio di mancanza della motivazione, tuttavia, non rientra tra quelli per i quali è ammesso il ricorso per cassazione avverso la sentenza di “patteggiamento”.
Si deve infatti rammentare che, in base al “nuovo” comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen., inserito dall’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti solo per motivi attinenti «all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza».
La mancanza della motivazione sulla concessione della sospensione condizionale della pena non si può ritenere integrare neppure un vizio attinente all’«illegalità della pena».
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno infatti recentemente chiarito, con la sentenza P. (Sez. U, n. 5352 del 28/09/2023, P., Rv. 28585101), l’«estraneità del beneficio della sospensione condizionale alla nozione di pena» – atteso che «la sospensione condizionale determina una astensione a tempo dell’esecuzione della pena che è stata già determinata con la sentenza di condanna e di cui, accordando il beneficio, si sospende l’esecuzione, cosicché il riconoscimento del beneficio non incide, immediatamente, sulla pena, potendo eventualmente successivamente determinarsi gli effetti estintivi di cui all’art 167 cod. pen.» -, con la conseguenza che «non può certamente discorrersi di illegalità della pena (che è già stata interamente e definitivamente determinata) con riferimento alla sua sospensione condizionale che, come evidenziato, determina solo una astensione a tempo della sua esecuzione e il possibile verificarsi degli effetti estintivi di cui all’art. 167 cod. pen.».
Pertanto, poiché l’unico motivo non rientra tra i ricordati casi per i quali è ammesso il ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14/05/2024.