Patteggiamento Inammissibile: Quando l’Appello Non Può Essere Esaminato
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione accelerata del processo penale. Tuttavia, le possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva sono molto limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 22793/2024) offre un chiaro esempio di patteggiamento inammissibile, delineando i confini invalicabili del controllo giurisdizionale in questo specifico rito. L’analisi di questa decisione è fondamentale per comprendere la logica che governa questo procedimento speciale.
La Vicenda Giudiziaria: Dal Patteggiamento al Ricorso
Il caso ha origine da una sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Alessandria, con la quale veniva applicata a un imputato, su sua richiesta, una pena di tre anni di reclusione e una multa di 267.000,00 euro.
Nonostante l’accordo raggiunto con la pubblica accusa, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione contro tale sentenza. Le sue lamentele, tuttavia, non vertevano su vizi procedurali o errori di diritto, ma miravano a contestare la ricostruzione dei fatti e la valutazione della sua responsabilità, elementi che avevano già formato la base dell’accordo di patteggiamento.
Patteggiamento Inammissibile: I Limiti del Controllo della Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del rito speciale previsto dall’art. 444 c.p.p.: la scelta di patteggiare implica una rinuncia a contestare il merito dell’accusa.
Il giudice del patteggiamento ha un compito ben preciso: verificare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, la congruità della pena concordata e, soprattutto, accertare che non emergano in modo evidente cause di non punibilità secondo l’art. 129 c.p.p. (ad esempio, se il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso). Il giudice non deve, e non può, condurre un’istruttoria approfondita come in un dibattimento ordinario. Di conseguenza, un ricorso che solleva questioni relative a “mancati approfondimenti in fatto” è intrinsecamente incompatibile con la natura del rito prescelto, configurando un caso di patteggiamento inammissibile in sede di impugnazione.
Le Motivazioni della Decisione
Nelle sue motivazioni, la Suprema Corte ha evidenziato come le doglianze del ricorrente fossero “prive di specificità e manifestamente infondate”. Il GIP di Alessandria, secondo gli Ermellini, aveva agito correttamente: aveva qualificato i reati in modo adeguato e si era soffermato sul giudizio di responsabilità basandosi sugli elementi investigativi disponibili.
Il percorso argomentativo del giudice di merito è stato ritenuto “pienamente adeguato ai parametri richiesti” per questo tipo di decisioni, in linea con la giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite. Le censure proposte dal ricorrente, invece, evocavano la necessità di un’ulteriore analisi dei fatti, una pretesa inconciliabile con la scelta del patteggiamento. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende.
Conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: la scelta di un rito alternativo come il patteggiamento comporta conseguenze precise e irrevocabili. L’imputato ottiene uno sconto di pena ma, al contempo, rinuncia a contestare nel merito la propria responsabilità. Qualsiasi tentativo di utilizzare il ricorso per Cassazione come un “terzo grado” di giudizio di fatto è destinato a fallire, venendo sanzionato con una declaratoria di inammissibilità. Questa decisione serve da monito sulla necessità di ponderare attentamente la scelta del rito processuale e sulla natura eminentemente giuridica, e non fattuale, del giudizio di legittimità, specialmente in relazione alle sentenze di patteggiamento.
Quali sono i poteri di controllo del giudice nel procedimento di patteggiamento?
Il giudice deve controllare la correttezza della qualificazione giuridica data ai fatti, la congruità della pena concordata tra le parti e deve accertare che non emergano in modo evidente delle cause di non punibilità (come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale).
Perché il ricorso contro la sentenza di patteggiamento è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le lamentele (doglianze) del ricorrente erano generiche, manifestamente infondate e, soprattutto, richiedevano un approfondimento e una rivalutazione dei fatti, attività incompatibile con la natura del rito del patteggiamento, che presuppone la rinuncia a contestare il merito dell’accusa.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la parte che lo ha proposto viene condannata al pagamento delle spese processuali. Inoltre, se non vi sono cause di esonero, viene condannata a versare una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la corte con un’impugnazione infondata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22793 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22793 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CARERI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/02/2024 del GIP TRIBUNALE di ALESSANDRIA
fiato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso la sentenza del 6 febbraio 2024, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Alessandria applicava a NOME COGNOME, ex art. 444 cod. proc. pen., la pena di anni tre di reclusione ed € 267.000,00 euro di multa.
Ritenuto che, nelle ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice ha il dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, dopo avere accertato che non emerga in modo evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.;
che, tenuto conto di questi parametri, le doglianze proposte appaiono prive di specificità e manifestamente infondate, in ragione del fatto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Alessandria, oltre a qualificare correttamente i fatti di reato contestati a letto, si soffermava in termini congrui sul giudizio d responsabilità formulato nei confronti dell’imputato, attraverso il richiamo degli elementi investigativi in atti e alla ricostruzione in fatto da essi ricavabile;
che il percorso argomentativo seguito dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Alessandria, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., risulta pienamente adeguato ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, Messina, Rv. 212438 – 01);
che le censure proposte dal ricorrente evocano mancati approfondimenti in fatto incompatibili con il rito prescelto;
Per queste ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in 3.000,00 euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 maggio 2024
Il Consi. liere estensore
Presidente