Patteggiamento in appello: i limiti del ricorso per Cassazione
Il patteggiamento in appello, introdotto dalla riforma Orlando (legge n. 103/2017), rappresenta uno strumento processuale con cui le parti possono accordarsi sull’accoglimento, totale o parziale, dei motivi di appello, con una conseguente rideterminazione della pena. Ma cosa succede se, dopo aver raggiunto tale accordo, si decide di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione? Un’ordinanza recente della Suprema Corte chiarisce i confini di tale impugnazione, sanzionando con l’inammissibilità il ricorso basato su motivi generici.
I Fatti di Causa
Nel caso in esame, un imputato, condannato in primo grado per il reato di ricettazione, aveva presentato appello. In sede di giudizio di secondo grado, la difesa e la Procura Generale raggiungevano un accordo ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., il cosiddetto patteggiamento in appello. La Corte di Appello di Napoli, recependo l’accordo, riformava parzialmente la sentenza di primo grado e applicava la pena concordata.
Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato proponeva ricorso per cassazione avverso tale sentenza, lamentando un vizio di motivazione. La questione giungeva così al vaglio della Suprema Corte.
La Decisione della Corte di Cassazione sul Patteggiamento in Appello
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione fondamentale risiede nella genericità del motivo proposto. Secondo gli Ermellini, una volta che le parti si accordano sulla pena in appello, l’ambito di valutazione del giudice e, di conseguenza, i possibili motivi di un successivo ricorso, si restringono notevolmente.
Le Motivazioni della Sentenza
Il cuore della decisione si basa su un consolidato principio di diritto. Quando si accede al patteggiamento in appello, l’imputato, di fatto, rinuncia ai motivi di appello che non riguardano la determinazione della pena. A causa dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, la cognizione del giudice di secondo grado viene limitata esclusivamente ai punti oggetto dell’accordo tra le parti.
Di conseguenza, il giudice d’appello non è tenuto a fornire una motivazione sul perché non abbia prosciolto l’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p. (ad esempio, perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso). La rinuncia ai motivi di appello assorbe anche queste valutazioni. L’unico aspetto su cui il giudice deve motivare è la congruità della pena concordata.
Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha osservato che:
1. La Corte d’Appello aveva correttamente motivato sulla congruità della pena patteggiata.
2. Il ricorrente, nel suo ricorso per cassazione, non aveva nemmeno specificato se le censure originariamente proposte in appello riguardassero proprio la statuizione sulla pena.
Il ricorso è stato quindi giudicato generico e, come tale, inammissibile, in quanto non affrontava l’unica questione rilevante e motivata dalla corte territoriale: l’adeguatezza della pena concordata.
Le Conclusioni
Questa pronuncia ribadisce un importante punto fermo per chi intende avvalersi del patteggiamento in appello. La scelta di questo rito alternativo comporta una rinuncia implicita agli altri motivi di doglianza. Pertanto, un eventuale ricorso per cassazione contro la sentenza che recepisce l’accordo deve essere estremamente specifico e può, in linea di principio, contestare solo la congruità della pena o vizi procedurali legati alla formazione dell’accordo stesso. Proporre un ricorso generico sulla motivazione, senza specificare le critiche, conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle Ammende.
Cosa deve motivare il giudice quando accoglie un patteggiamento in appello?
Il giudice, nell’accogliere la richiesta di pena concordata in appello, deve motivare unicamente sulla congruità della sanzione pattuita tra le parti. Non è tenuto a spiegare perché non ha prosciolto l’imputato ai sensi dell’art. 129 c.p.p., poiché l’accordo implica una rinuncia agli altri motivi di appello.
Perché un ricorso per cassazione generico contro una sentenza di patteggiamento in appello è inammissibile?
È inammissibile perché, con l’accordo sulla pena, la cognizione del giudice d’appello si limita alla congruità della stessa. Un ricorso generico, che non contesta specificamente questo punto o altri vizi procedurali dell’accordo, non affronta le uniche questioni che possono essere validamente sollevate dopo un patteggiamento in appello.
Quali sono le conseguenze se il ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, in questo caso tremila euro, a favore della Cassa delle Ammende, commisurata al grado di colpa nella causazione dell’inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6218 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 6218 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a CASERTA il 08/09/1994
avverso la sentenza del 26/09/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, ha applicato al ricorrente, su concorde richiesta delle parti ex art. 599-bis cod. proc. pen., la pena richiesta in relazione al reato di ricettazione.
2.Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo vizio della motivazione della sentenza.
3.11 ricorso è inammissibile perché proposto per motivo generico.
Deve ricordarsi il pacifico insegnamento di legittimità secondo cui, in tema di “patteggiamento in appello” come reintrodotto ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge 23 giugno 2017, n. 103, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di
inutilizzabilità delle prove, in quanto, in ragione dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522 Massime precedenti Conformi: N. 15505 del 2018 Rv. 272853). Nel caso in esame, la Corte ha motivato congruamente sull’unica questione rilevante inerente alla congruità della determinazione della pena concordata tra le parti ed il ricorrente non ha neanche specificato in ricorso se le censure erano proposte avverso tale statuizione. 4.Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende. Così deciso, il 29/01/2025.