Patteggiamento in appello: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso
Il patteggiamento in appello, introdotto dalla Legge n. 103 del 2017, rappresenta uno strumento processuale che consente alle parti di concordare la pena nel giudizio di secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la scelta di questo rito ha conseguenze definitive e preclude, quasi sempre, la possibilità di un successivo ricorso. Analizziamo insieme la decisione per comprendere la portata di questo istituto.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato per un reato previsto dalla normativa sugli stupefacenti (D.P.R. 309/1990), proponeva appello avverso la sentenza di primo grado. Dinanzi alla Corte d’Appello, tuttavia, la difesa e l’accusa raggiungevano un accordo sulla pena da irrogare: dieci mesi di reclusione e 1.800 euro di multa. Questo accordo, noto come patteggiamento in appello, comportava la rinuncia a tutti gli altri motivi di gravame originariamente presentati.
Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di presentare comunque ricorso per Cassazione, lamentando sia un’erronea applicazione della legge processuale sia vizi di motivazione della sentenza d’appello.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure procedere con le formalità di un’udienza. I giudici hanno affermato che l’accordo sulla pena in appello produce un effetto preclusivo che si estende a tutto lo svolgimento processuale successivo, compreso il giudizio di legittimità. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: L’Effetto Preclusivo del Patteggiamento in Appello
La Corte ha basato la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. Il potere dispositivo riconosciuto alle parti dall’art. 599-bis del codice di procedura penale non si limita a definire la cognizione del giudice d’appello, ma chiude la porta a quasi ogni ulteriore contestazione.
Accettando il patteggiamento in appello, l’imputato rinuncia implicitamente a sollevare qualsiasi altra doglianza, anche se relativa a questioni che, in altre circostanze, potrebbero essere rilevate d’ufficio dal giudice (come le cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p.). L’accordo tra le parti cristallizza la situazione processuale e preclude la possibilità di mettere in discussione punti sui quali si è implicitamente formato un accordo, come la qualificazione giuridica del fatto o la sussistenza di attenuanti.
L’unica, strettissima eccezione a questa regola riguarda l’ipotesi in cui venga irrogata una pena illegale, ovvero una sanzione non prevista dall’ordinamento per quel tipo di reato o calcolata in violazione di norme imperative. In assenza di tale vizio, la via del ricorso per Cassazione è definitivamente sbarrata.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza conferma che la scelta del patteggiamento in appello è una decisione strategica di fondamentale importanza, con conseguenze irreversibili. Per la difesa, significa valutare attentamente il bilanciamento tra il vantaggio di una pena concordata e la perdita della possibilità di far valere altri motivi di impugnazione in Cassazione.
La pronuncia rafforza l’efficacia deflattiva di questo istituto, volto a ridurre il carico di lavoro dei gradi superiori di giudizio. Al tempo stesso, funge da monito per le parti processuali: un accordo è un accordo, e una volta siglato in appello, il processo si considera sostanzialmente concluso.
È possibile presentare ricorso in Cassazione dopo aver concordato la pena in appello (c.d. “patteggiamento in appello”)?
No, di regola non è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’accordo sulla pena in appello ha un effetto preclusivo che rende inammissibile un successivo ricorso, in quanto implica la rinuncia a sollevare ulteriori questioni.
La rinuncia ai motivi di appello, a seguito del patteggiamento, vale anche per questioni che il giudice potrebbe rilevare d’ufficio?
Sì. Secondo la sentenza, l’effetto preclusivo dell’accordo si estende anche a questioni rilevabili d’ufficio, come le cause di non punibilità (ex art. 129 c.p.p.), poiché l’accordo tra le parti limita la cognizione del giudice e definisce l’intero svolgimento processuale successivo.
Qual è l’unica eccezione che permette di ricorrere in Cassazione nonostante un patteggiamento in appello?
L’unica eccezione prevista dalla giurisprudenza è l’irrogazione di una pena illegale, cioè una pena non conforme alla legge per tipologia o per modalità di calcolo. Solo in questo specifico caso il ricorso per Cassazione è ammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22985 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22985 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CERIGNOLA il 13/03/1987
avverso la sentenza del 09/04/2024 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha presentato ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Bari emessa ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen. in ordine al reato di cui agli artt. 73, co.1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, lamentando erronea applicazione di legge con riferimento all’art. 129 cod. proc. pen. nonché per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Rilevato che, dopo avere proposto appello, il ricorrente dinanzi alla Corte territoriale ha concordato la pena, rinunciando a tutti i motivi di gravame salvo quello relativo al trattamento sanzionatorio chiedendo applicarsi la pena di mesi dieci di reclusione e 1.800 euro di multa.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema del cd. “patteggiannento in appello”, introdotto dall’art. 1, comma 56, della legge n. 103 del 2017, è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dalla citata disposizione non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 5, Ordinanza n. 29243 del 04/06/2018, Casero, Rv. 273194 – 01). Si è, pertanto, ritenuto inammissibile il ricorso relativo alla valutazione sulla sussistenza di cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. (Cass., Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, Rv. 278170; Cass., Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, Rv. 278170) nonché il ricorso volto a censurare la qualificazione giuridica del fatto, poiché l’accordo delle parti in ordine ai punti concordati implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, anche se relativa a questione rilevabile di ufficio, con l’unica eccezione dell’irrogazione di una pena illegale (Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 277196 – 01).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, che tale causa di inammissibilità va dichiarata senza formalità di procedura, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. e che ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 10 giugno 2025
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