Patteggiamento in Appello: I Limiti dell’Impugnazione secondo la Cassazione
L’istituto del patteggiamento in appello, o concordato sui motivi di appello, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso penale, ma quali sono i confini per contestare la sentenza che ne deriva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la semplice doglianza sull’eccessività della pena concordata non costituisce un motivo valido di ricorso. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.
I Fatti del Caso
Un imputato, condannato per reati in materia di stupefacenti, aveva raggiunto un accordo con la Procura Generale presso la Corte d’Appello, definendo la propria posizione processuale tramite un patteggiamento in appello ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. Nonostante l’accordo, l’imputato ha successivamente proposto ricorso per cassazione, lamentando unicamente l’eccessività della pena applicata, frutto del concordato da lui stesso accettato.
I Limiti al Ricorso contro il Patteggiamento in Appello
La Corte di Cassazione ha prontamente dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: le sentenze emesse a seguito di un patteggiamento in appello possono essere impugnate solo per motivi specifici e tassativamente indicati dalla legge. Questi motivi non includono una riconsiderazione sulla misura della pena che è stata oggetto dell’accordo tra le parti.
La Decisione della Corte di Cassazione
L’ordinanza ha stabilito che il ricorso era manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000,00 euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato che il legislatore ha circoscritto le possibilità di impugnazione contro una sentenza ex art. 599-bis c.p.p. a quattro specifiche ipotesi:
1. Vizi della volontà: quando il consenso della parte ad accedere al concordato è stato viziato.
2. Mancanza del consenso del pubblico ministero: se l’accordo non ha ricevuto il necessario assenso dell’accusa.
3. Contenuto difforme della pronuncia: qualora la sentenza del giudice si discosti da quanto pattuito tra le parti.
4. Applicazione di una pena illegale: se la pena concordata e applicata è contraria alla legge (es. inferiore ai minimi edittali senza le dovute attenuanti).
Lamentare l’eccessività della pena non rientra in nessuna di queste categorie. Nel momento in cui l’imputato accetta di concordare la pena, rinuncia implicitamente a contestarne la congruità, salvo che questa non sia palesemente illegale. La decisione della Cassazione, pertanto, rafforza la natura negoziale e vincolante dell’accordo.
Le Conclusioni
Questa pronuncia offre un insegnamento pratico fondamentale: il patteggiamento in appello è una scelta processuale che comporta una rinuncia a far valere determinate doglianze. Chi sceglie questa strada non può, in un secondo momento, rimettere in discussione l’equità della pena pattuita. Il ricorso in Cassazione rimane una via percorribile solo per vizi procedurali gravi o per l’applicazione di sanzioni non conformi alla legge. La decisione della Suprema Corte serve a garantire la stabilità degli accordi processuali e ad evitare un uso pretestuoso del ricorso per cassazione.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento in appello lamentando che la pena è troppo alta?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non è un motivo valido di ricorso. La doglianza sull’eccessività della pena non rientra tra i motivi specifici previsti dalla legge, poiché la sanzione è il risultato di un accordo tra le parti.
Quali sono i motivi validi per ricorrere in Cassazione contro un concordato in appello?
Il ricorso è ammesso solo per motivi relativi a eventuali vizi della volontà della parte, alla mancanza del consenso del pubblico ministero, a un contenuto della pronuncia difforme dall’accordo o all’applicazione di una pena illegale.
Cosa succede se il ricorso contro una sentenza di patteggiamento in appello viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, equitativamente fissata dal giudice, in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11146 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11146 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 02/06/1973
avverso la sentenza del 02/04/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
(dato avviso alle partii udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen. (Corte di appello di Roma del 2 aprile 2024), per reati in materia di stupefacenti, lamentando l’eccessività della pena.
Considerato che il ricorso è inammissibile, in quanto le uniche doglianze proponibili contro una sentenza emanata all’esito del concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. sono quelle relative ad eventuali vizi della sentenza rispetto alla volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta, al contenuto difforme della pronuncia e all’applicazione della pena illegale;
che, dunque, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile senza formalità di procedura ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2024.