Patteggiamento in appello: quando il ricorso diventa inammissibile
Il patteggiamento in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, è uno strumento che consente all’imputato e al pubblico ministero di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Ma cosa succede se, dopo aver raggiunto tale accordo, l’imputato decide di ricorrere in Cassazione lamentando proprio la determinazione della pena? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti di questa possibilità, stabilendo un principio fondamentale: l’accordo preclude la successiva contestazione.
I fatti del caso
La vicenda processuale ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Foggia nei confronti di un uomo per i reati di rapina aggravata e porto di armi. La pena inflitta in primo grado era di 4 anni e 7 mesi di reclusione, oltre a una multa di 1.200 euro.
Successivamente, la Corte di Appello di Bari, accogliendo un’istanza basata su un accordo tra le parti, riformava la sentenza. La pena veniva così rideterminata in 2 anni di reclusione e 2.200 euro di multa. Nonostante l’esito fosse il risultato di una richiesta concordata, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando un’omessa motivazione da parte della Corte d’Appello proprio in merito alla determinazione della sanzione.
La decisione della Corte sul patteggiamento in appello
La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che il motivo addotto dal ricorrente era ‘non consentito’ dalla legge e ‘manifestamente infondato’.
La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Quando il giudice d’appello accoglie le richieste formulate concordemente dalle parti, queste ultime non possono più sollevare, in sede di legittimità, questioni relative a motivi ai quali hanno di fatto rinunciato attraverso l’accordo stesso. In altre parole, accettando il patteggiamento in appello, l’imputato rinuncia implicitamente a contestare la congruità e la motivazione della pena concordata.
Le motivazioni
La Corte ha spiegato che il patteggiamento in appello, introdotto dall’art. 599-bis c.p.p., si basa su una logica di conformità alla volontà delle parti. Se l’imputato e l’accusa trovano un punto d’incontro sulla pena e il giudice lo ratifica, non ha senso permettere a una delle parti di rimettere in discussione l’accordo in un momento successivo. Il ricorso che lamenta la carenza di motivazione su una pena concordata è, pertanto, una contraddizione in termini.
I giudici hanno richiamato precedenti pronunce (come la n. 7333/2018 e la n. 19983/2020) che hanno già chiarito questo punto, affermando che l’accordo processuale esaurisce l’interesse delle parti a contestare il merito della decisione su quel punto. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile senza formalità di procedura, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale per la difesa tecnica e per gli imputati che intendono avvalersi del patteggiamento in appello. La scelta di accordarsi sulla pena è una decisione strategica che produce effetti definitivi. Una volta che l’accordo viene recepito dal giudice, preclude la possibilità di impugnare la sentenza per vizi di motivazione relativi alla pena stessa. La decisione di aderire a un concordato deve essere, quindi, attentamente ponderata, poiché rappresenta una rinuncia implicita a far valere determinate doglianze in un’eventuale, successiva, impugnazione.
È possibile contestare la motivazione di una pena se questa è stata concordata in appello?
No, secondo la Corte di Cassazione, quando la pena è il risultato di un accordo tra le parti (patteggiamento in appello), non è possibile successivamente lamentare un difetto di motivazione, poiché tale motivo di doglianza si intende rinunciato con l’accordo stesso.
Qual è la conseguenza di un ricorso basato su motivi non consentiti, come nel caso di un patteggiamento in appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Questo comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.
Cosa succede se il giudice d’appello accoglie le richieste concordate dalle parti?
Se il giudice accoglie l’accordo sulla pena, la sua decisione riflette la volontà delle parti. Di conseguenza, le parti stesse non possono poi dedurre in sede di legittimità (davanti alla Cassazione) questioni relative ai motivi ai quali hanno implicitamente rinunciato con l’accordo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44715 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 44715 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Torremaggiore il 20/11/1983 avverso la sentenza della Corte di appello di Bari in data 6/7/2023 visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso, udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Bari con la sentenza indicata in epigrafe, emessa ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen., riformava la sentenza del Tribunale di Foggia, che aveva condannato NOME alla pena di anni 4, mesi 7 di reclusione ed euro 1.200,00 di multa per il delitto di rapina aggravata e porto di armi, rideterminando la pena in anni 2 di reclusione ed euro 2.200,00 di multa. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME lamentando l’omessa motivazione in ordine alla determinazione della pena.
Il ricorso è proposto per motivi non consentiti e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Il giudice di appello ha determinato la pena in conformità con l’accordo raggiunto dalle parti pertanto nessuna questione può essere proposta dal ricorrente sul tema della carenza di motivazione.
Ed invero, questa Corte ha già affermato, in relazione all’identica fattispecie di cui all’art. 599, cod. proc. pen., poi abrogato dal decreto-legge n. 92 del 2008, e successivamente reintrodotto nel nuovo art. 599-bis, cod. proc. pen. dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che, quando il giudice di appello abbia raccolto le richieste concordemente formulate dalle parti, queste ultime non possono dedurre in sede di legittimità difetto di motivazione o altra questione relativa ai motivi rinunciati (Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, Rv. 275234; Sez. 3, n. 19983 del 09/06/2020, Rv. 279504).
Ne consegue, pertanto, che il motivo di ricorso è inammissibile, p manifesta,Kente infonjAto.
Tale causa di inammissibilità va dichiarata senza formalità di procedura, ai sensi dell’art. 610 comma 5-bis c.p.p.
Alla declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25/10/2024