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Patteggiamento in Appello: Limiti del Ricorso

Un imputato, dopo aver concordato una riduzione di pena tramite patteggiamento in appello per rapina e lesioni, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando la mancata assoluzione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che l’accordo sulla pena implica la rinuncia ai motivi di appello, limitando la cognizione del giudice e precludendo una successiva doglianza sulla valutazione di merito.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Una Scelta Strategica con Conseguenze Definitive

Il patteggiamento in appello, introdotto dalla Legge n. 103/2017 (nota come Riforma Orlando), rappresenta uno strumento processuale che consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Sebbene offra il vantaggio di una definizione più rapida del processo e di una pena certa, questa scelta comporta una rinuncia fondamentale: quella ai motivi di appello. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4811/2024) ribadisce con chiarezza i limiti invalicabili posti da tale accordo, specialmente per chi, in un secondo momento, volesse contestare la propria colpevolezza.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna in primo grado per i reati di rapina e lesioni personali. In sede di appello, l’imputato e la procura generale raggiungevano un accordo ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale, concordando una pena finale di tre anni e otto mesi di reclusione, oltre a 2000 euro di multa. La Corte di appello di Firenze, recependo l’accordo, riformava parzialmente la sentenza di primo grado.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, lamentando un unico motivo: la mancata assoluzione. In pratica, pur avendo accettato una pena, contestava la sua stessa colpevolezza.

La Decisione della Corte di Cassazione sul patteggiamento in appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso palesemente inammissibile. I giudici hanno sottolineato come la scelta del patteggiamento in appello segni un punto di non ritorno. Una volta che l’imputato rinuncia ai motivi di appello per ottenere una pena concordata, la cognizione del giudice di secondo grado viene circoscritta. Di conseguenza, non è più possibile, in sede di legittimità, sollevare questioni che avrebbero dovuto essere oggetto dei motivi di appello a cui si è rinunciato, come la richiesta di un proscioglimento nel merito.

Le Motivazioni: Rinuncia ai Motivi e Limiti alla Cognizione del Giudice

La motivazione della Corte si fonda su un principio consolidato in giurisprudenza. L’istituto del concordato in appello si basa su una logica transattiva: l’imputato rinuncia a contestare la sentenza di primo grado su tutti i fronti, in cambio di un trattamento sanzionatorio più mite e definito.

Questa rinuncia produce un effetto devolutivo limitato: il giudice d’appello è chiamato unicamente a verificare la correttezza dell’accordo e la qualificazione giuridica del fatto, non a riesaminare il merito della colpevolezza per un’eventuale assoluzione ex art. 129 c.p.p. Come precisato dalla Cassazione, il giudice del gravame non deve motivare sul mancato proscioglimento, né sull’insussistenza di nullità assolute o di inutilizzabilità delle prove, proprio perché l’imputato ha volontariamente abdicato al diritto di far valere tali censure.

Di conseguenza, presentare un ricorso in Cassazione lamentando la mancata assoluzione dopo aver “patteggiato” in appello è un’azione processualmente insostenibile. L’imputato, con il suo ricorso, ha tentato di rimettere in discussione una valutazione di merito preclusa dalla sua stessa scelta processuale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche del Patteggiamento in Appello

L’ordinanza in esame offre un importante monito per la difesa. La scelta di accedere al patteggiamento in appello è una decisione strategica che deve essere ponderata con estrema attenzione. Se da un lato può rappresentare una via d’uscita vantaggiosa per limitare i rischi di una condanna più severa, dall’altro implica la definitiva rinuncia a far valere l’innocenza nel merito. La sentenza chiarisce che tale rinuncia è irrevocabile e preclude ogni ulteriore doglianza sulla colpevolezza, rendendo inammissibile qualsiasi tentativo di impugnare la decisione sotto questo profilo davanti alla Corte di Cassazione. In definitiva, una volta imboccata la via dell’accordo, non si può più tornare indietro per chiedere l’assoluzione.

Dopo aver concluso un patteggiamento in appello è possibile ricorrere in Cassazione chiedendo di essere assolti?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’accordo sulla pena in appello implica la rinuncia ai motivi di impugnazione. Pertanto, un ricorso basato sulla richiesta di assoluzione nel merito è inammissibile.

Perché il giudice d’appello, in caso di patteggiamento, non è tenuto a motivare la mancata assoluzione dell’imputato?
Perché l’effetto devolutivo dell’impugnazione è limitato dalla rinuncia ai motivi da parte dell’imputato. La cognizione del giudice è circoscritta alla verifica dell’accordo e non si estende a una nuova valutazione di merito sulla colpevolezza, che sarebbe necessaria per un proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile in Cassazione?
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro in favore della Cassa delle Ammende, commisurata al grado di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. Nel caso di specie, la somma è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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