Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18999 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 18999 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME (CUI CODICE_FISCALE nato a TARANTO il 09/12/1967
COGNOME NOME (CUI CODICE_FISCALE nato a TARANTO il 07/11/1993
avverso la sentenza del 23/04/2024 della CORTE di APPELLO di LECCE, Sezione distaccata di TARANTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME rilevato che il procedimento è stato trattato con il rito “de plano”.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza resa, ex art. 599-bis cod. proc. pen., in data 23 aprile 2024 la Corte d’Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto applicava, su concorde richiesta delle parti, agli imputati COGNOME NOME e COGNOME Carlo le pene per ciascuno concordate in relazione al reato di ricettazione in concorso.
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione, con unico atto, entrambi gli imputati, per il tramite del loro difensore, chiedendone l’annullamento e articolando due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deducevano violazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125 e 599-bis cod. proc. pen., evidenziando che la Corte territoriale non aveva motivato in ordine al mancato
proscioglimento dell’imputato ex art. 129 cod. proc. pen. e agli elementi di prova considerati ai fini dell’irrogazione della pena.
Con il secondo motivo deducevano violazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla mancata disapplicazione della recidiva con riferimento alla posizione di COGNOME, ciò che aveva condotto all’applicazione di una pena eccessivamente rigida.
Il primo motivo è inammissibile.
Ed invero, secondo l’orientamento della Corte di legittimità, condiviso da questo Collegio, in tema di “patteggiamento in appello” come reintrodotto ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge 23 giugno 2017, n. 103, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, in ragione dell’effet devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (v. in tal senso, Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522 – 01).
Parimenti inammissibile è il secondo motivo, dovendosi considerare che, in tema di “patteggiamento in appello”, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto in relazione alla misura della pena concordata, atteso che il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato, salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata (Sez. 3, n. 19983 del 09/06/2020, COGNOME, Rv. 279504 – 01). Nel caso di specie, non si verte affatto in ipotesi di pena illegale e, in ogni caso, il motivo relativo all’applicazione della recidiva risulta quelli rinunciati.
Alla stregua di tali rilievi ricorsi devono, dunque, essere dichiarati inammissibili; i ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
t/í
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/02/2025