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Patteggiamento in appello: limiti del ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13028/2025, ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una sentenza di patteggiamento in appello. L’imputato si lamentava della motivazione sulla pena, ma la Corte ha stabilito che la pena concordata tra le parti non può essere contestata in Cassazione, salvo che sia illegale. L’accordo, una volta ratificato dal giudice, non è modificabile unilateralmente.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando Non Puoi Più Contestare la Pena

Il patteggiamento in appello, introdotto dalla Legge n. 103/2017 (nota come Riforma Orlando), rappresenta uno strumento processuale che permette di definire il giudizio di secondo grado attraverso un accordo tra accusa e difesa sulla rideterminazione della pena. Tuttavia, una volta raggiunto e ratificato tale accordo, quali sono i limiti per un eventuale ricorso in Cassazione? Con una recente ordinanza, la Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: la misura della pena concordata non può essere oggetto di contestazione, salvo casi eccezionali.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello di Napoli. In quella sede, accogliendo una richiesta congiunta dell’imputato e del Procuratore Generale, la Corte aveva rideterminato la pena per reati legati agli stupefacenti, proprio attraverso l’istituto del patteggiamento in appello previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato ha successivamente proposto ricorso per Cassazione, lamentando una presunta omessa motivazione da parte della Corte d’Appello riguardo al trattamento sanzionatorio applicato. In sostanza, pur avendo concordato la pena, ne contestava la giustificazione nella sentenza.

La Decisione sul Ricorso e il Patteggiamento in Appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una spiegazione chiara e basata su un principio ormai consolidato in giurisprudenza. La Corte ha sottolineato che il patteggiamento in appello costituisce un vero e proprio ‘negozio processuale’, un accordo liberamente stipulato tra le parti.

Una volta che questo accordo viene consacrato nella decisione del giudice, esso non può più essere modificato unilateralmente da una delle parti attraverso un ricorso. Contestare la misura della pena concordata equivarrebbe a rimettere in discussione l’essenza stessa dell’accordo.

Le Motivazioni della Cassazione

La motivazione della Suprema Corte si fonda su una logica giuridica precisa. Il ricorso per Cassazione contro una sentenza frutto di accordo sulla pena è ammissibile solo se si lamenta l’illegalità della pena stessa. Per ‘pena illegale’ si intende una sanzione non prevista dalla legge per quel tipo di reato o applicata in misura superiore o inferiore ai limiti edittali.

Nel caso specifico, il ricorrente non contestava l’illegalità della pena, ma semplicemente la motivazione con cui era stata determinata, un aspetto che, però, era stato superato e definito proprio dall’accordo tra le parti. Il patteggiamento, infatti, implica una rinuncia a contestare nel merito la quantificazione della pena, in cambio di una sua riduzione. Permettere un successivo ricorso sulla motivazione svuoterebbe di significato l’istituto stesso.

La Corte ha richiamato precedenti sentenze (come la n. 19983/2020 e la n. 7333/2018) che hanno già stabilito questo principio, confermando che il negozio processuale non è emendabile a posteriori, se non per vizi radicali come l’illegalità della sanzione.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un punto cruciale per la difesa e per gli imputati che scelgono la via del patteggiamento in appello. La scelta di accordarsi sulla pena è una decisione strategica che comporta benefici (solitamente una riduzione della sanzione e una più rapida definizione del processo) ma anche rinunce. La principale rinuncia è proprio quella di contestare la congruità della pena concordata. Pertanto, prima di aderire a un accordo di questo tipo, è fondamentale valutarne attentamente tutti gli aspetti, poiché le possibilità di impugnazione successive sono estremamente limitate e circoscritte alla sola ipotesi di pena illegale. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di patteggiamento in appello?
Sì, ma solo per specifici motivi. Il ricorso è inammissibile se contesta la misura della pena concordata tra le parti. È ammesso solo se si fa valere l’illegalità della pena, ad esempio perché non prevista dalla legge per quel reato o perché applicata al di fuori dei limiti legali.

Per quale motivo non si può contestare la misura della pena concordata nel patteggiamento in appello?
Perché il patteggiamento è considerato un ‘negozio processuale’, ovvero un accordo volontario tra le parti (imputato e accusa). Una volta che questo accordo è stato accettato dal giudice e trasfuso nella sentenza, non può essere modificato unilateralmente, in quanto ciò contraddirebbe la natura consensuale dell’istituto stesso.

Cosa succede se il ricorso contro una sentenza di patteggiamento in appello viene dichiarato inammissibile?
Quando la Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile, come in questo caso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle Ammende, ritenendo che vi sia colpa nella proposizione dell’impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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