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Patteggiamento in appello: limiti del ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver concordato la pena in secondo grado, lamentava il mancato proscioglimento. La Suprema Corte ha chiarito che il patteggiamento in appello comporta una rinuncia ai motivi di gravame, limitando la cognizione del giudice ai soli termini dell’accordo e precludendo la valutazione delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Precluso

L’istituto del patteggiamento in appello, o più tecnicamente ‘concordato in appello’ previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, consentendo alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini e gli effetti di tale accordo, chiarendo in modo inequivocabile i limiti del successivo ricorso per Cassazione.

I Fatti del Caso: Il Ricorso dopo il Concordato

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte di Appello di Napoli. In quella sede, l’imputato aveva raggiunto un accordo con la Procura Generale per la rideterminazione della pena, accedendo così al rito del patteggiamento in appello. Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. In particolare, sosteneva che la Corte d’Appello avrebbe dovuto proscioglierlo per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p. (ad esempio, perché il fatto non costituisce reato) anziché limitarsi a recepire l’accordo sulla pena.

Limiti al Giudizio dopo il Patteggiamento in Appello

La questione giuridica centrale riguarda l’ampiezza dei poteri del giudice d’appello una volta che le parti hanno formalizzato una richiesta di concordato. L’imputato, aderendo a tale rito, rinuncia implicitamente ai motivi di appello non oggetto dell’accordo. Questo atto di rinuncia produce un effetto devolutivo limitato: la cognizione del giudice viene circoscritta esclusivamente alla valutazione della correttezza dell’accordo raggiunto tra le parti.

La Suprema Corte ha confermato questo orientamento, richiamando un proprio precedente consolidato (Cass. n. 52803/2018). Quando l’imputato rinuncia ai motivi di appello per patteggiare la pena, la cognizione del giudice è vincolata ai soli motivi che non sono stati oggetto di rinuncia. Di conseguenza, il giudice non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per le cause di cui all’art. 129 c.p.p., né a verificare l’eventuale sussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione netta e basata sulla natura stessa dell’istituto del concordato in appello.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio che la scelta di accedere al patteggiamento in appello è una scelta processuale che implica una rinuncia. L’imputato, accettando di concordare la pena, accetta anche di limitare il perimetro del giudizio. Pretendere che il giudice, nonostante l’accordo, svolga una valutazione completa su tutti i possibili esiti assolutori equivarrebbe a snaturare l’istituto, trasformandolo in un’opzione priva di qualsiasi effetto vincolante per l’appellante.

La Corte ha quindi stabilito che il motivo di ricorso, incentrato sulla presunta inadeguata motivazione in ordine al mancato proscioglimento, non è consentito proprio alla luce della modalità definitoria prescelta dalle parti. L’accordo sulla pena esaurisce l’oggetto del giudizio d’appello, precludendo ulteriori doglianze sul merito della vicenda.

Le conclusioni

In conclusione, questa ordinanza rafforza un principio fondamentale: il patteggiamento in appello è un atto dispositivo che limita irrevocabilmente il diritto di impugnazione. L’imputato che sceglie questa via deve essere consapevole che la sua rinuncia ai motivi di appello preclude la possibilità di sollevare in Cassazione questioni relative al merito della responsabilità penale, inclusa la mancata applicazione di una formula di proscioglimento. La declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, serve da monito sulla serietà e definitività di tale scelta processuale.

È possibile ricorrere in Cassazione per mancato proscioglimento dopo aver concordato la pena in appello?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la richiesta di patteggiamento in appello comporta la rinuncia ai motivi di gravame, limitando la cognizione del giudice ai soli termini dell’accordo. Pertanto, un motivo basato sul mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. è inammissibile.

Cosa succede quando un imputato rinuncia ai motivi di appello per un patteggiamento?
Quando un imputato rinuncia ai motivi di appello per accedere al concordato, la cognizione del giudice di secondo grado è limitata ai soli motivi non oggetto di rinuncia. Il giudice non deve motivare sul mancato proscioglimento né sull’insussistenza di cause di nullità o inutilizzabilità delle prove.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro a favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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