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Patteggiamento in appello: limiti al ricorso Cassazione

Un soggetto, condannato per spaccio di stupefacenti, ha ottenuto una riduzione della pena tramite un patteggiamento in appello. Successivamente, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un difetto di motivazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo che la rinuncia ai motivi di appello, elemento essenziale dell’accordo, preclude la possibilità di contestarli in una fase successiva, limitando la cognizione del giudice ai soli punti concordati.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

L’istituto del patteggiamento in appello, disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che permette alle parti di accordarsi sull’esito del giudizio di secondo grado. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili per chi, dopo aver raggiunto un simile accordo, intende comunque impugnare la decisione davanti alla Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Dal Concordato in Appello al Ricorso

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato condannato per un reato legato agli stupefacenti (art. 73, D.P.R. 309/1990). In sede di appello, la difesa e l’accusa avevano raggiunto un accordo. La Corte d’Appello, recependo tale accordo, aveva concesso le attenuanti generiche come equivalenti all’aggravante contestata, rideterminando la pena in quattro anni e quattro mesi di reclusione e 20.000 euro di multa.

Nonostante l’accordo, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione nella sentenza d’appello.

La Decisione della Corte: Il Ricorso è Inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una rigorosa interpretazione della natura e degli effetti del patteggiamento in appello. I giudici hanno stabilito che l’accordo tra le parti comporta necessariamente la rinuncia a tutti gli altri eventuali motivi di appello non inclusi nell’accordo stesso. Questa rinuncia crea una barriera processuale che non può essere superata con un successivo ricorso in Cassazione.

Le Motivazioni: L’Effetto del Patteggiamento in Appello e la Rinuncia ai Motivi

La motivazione della Suprema Corte ruota attorno a due concetti cardine del diritto processuale: l’effetto devolutivo dell’impugnazione e la preclusione processuale.

L’art. 599-bis c.p.p. prevede che le parti possano chiedere alla Corte d’Appello di accogliere, in tutto o in parte, determinati motivi, rinunciando esplicitamente agli altri. Quando questo accade, l’ambito di valutazione del giudice (la sua cognizione) si restringe drasticamente. Il giudice d’appello non è più tenuto a esaminare i motivi a cui si è rinunciato, né a motivare, ad esempio, la mancata assoluzione dell’imputato ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (cause di non punibilità).

La rinuncia ai motivi genera una preclusione processuale: l’imputato perde il diritto di far valere quelle specifiche doglianze in qualsiasi fase successiva del procedimento. Di conseguenza, un ricorso in Cassazione che si fondi proprio su quei motivi rinunciati è, per definizione, inammissibile, in quanto propone censure non consentite dalla legge. La Corte ha ribadito che, una volta che l’imputato ha rinunciato ai motivi d’appello, la cognizione del giudice è limitata ai soli aspetti che sono stati oggetto dell’accordo.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza sul Patteggiamento in Appello

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: il patteggiamento in appello è un atto che comporta conseguenze definitive. La scelta di accordarsi sulla pena in cambio della rinuncia a specifici motivi di impugnazione è una decisione strategica che chiude la porta a future contestazioni su quei punti.

La pronuncia serve da monito: chi aderisce a un concordato in appello deve essere pienamente consapevole che sta limitando le proprie future opzioni di difesa. Presentare un ricorso in Cassazione basato su motivi precedentemente abbandonati non solo è un’azione destinata al fallimento, ma comporta anche conseguenze economiche negative. La dichiarazione di inammissibilità, infatti, implica la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come puntualmente avvenuto nel caso di specie.

È possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza emessa a seguito di patteggiamento in appello?
Sì, ma solo per motivi non oggetto della rinuncia che ha fondato l’accordo. Il ricorso è inammissibile se si basa su motivi di appello a cui le parti avevano concordemente rinunciato, poiché tale rinuncia crea una preclusione processuale.

Se le parti concordano la pena in appello, il giudice deve motivare perché non assolve l’imputato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una volta che l’imputato rinuncia a determinati motivi di appello nell’ambito di un accordo, la cognizione del giudice è limitata ai soli punti oggetto del patteggiamento. Non è quindi tenuto a motivare il mancato proscioglimento per cause previste dall’art. 129 c.p.p., poiché tale questione esula dall’ambito devoluto al suo esame.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile contro un patteggiamento in appello?
La conseguenza principale è che la Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso senza esaminarne il merito. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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