Patteggiamento in appello: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile
L’istituto del patteggiamento in appello, introdotto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, ma quali sono i suoi esatti confini? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che, una volta raggiunto l’accordo sulla pena, le possibilità di impugnazione si riducono drasticamente. Analizziamo insieme la decisione per comprendere la portata di questo negozio processuale e i suoi effetti preclusivi.
I fatti del caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo condannato per rapina consumata, rapina tentata e lesioni personali. In secondo grado, la Corte di Appello di Napoli, prendendo atto di un accordo intervenuto tra le parti, aveva ridotto la pena a tre anni, sei mesi e venti giorni di reclusione, oltre a una multa di 1.200 euro. Questo accordo era stato raggiunto sulla base dell’art. 599-bis cod. proc. pen., con rinuncia da parte dell’imputato agli altri motivi di appello.
Nonostante l’accordo, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione da parte della Corte di Appello. Nello specifico, contestava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con un giudizio di prevalenza rispetto alle aggravanti, cosa che avrebbe potuto portare a un’ulteriore riduzione della pena.
La logica del patteggiamento in appello e i suoi effetti
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza. Il patteggiamento in appello non è una semplice richiesta, ma un vero e proprio accordo processuale. Con esso, l’imputato rinuncia a specifici motivi di appello in cambio di una determinata pena concordata con il Pubblico Ministero.
Questa rinuncia è irrevocabile e produce un effetto preclusivo potentissimo: limita la cognizione del giudice di secondo grado esclusivamente ai motivi che non sono stati oggetto di rinuncia. Di conseguenza, su tutti i punti coperti dall’accordo e dalla rinuncia, si forma una sorta di ‘giudicato parziale’. La responsabilità penale dell’imputato, la qualificazione giuridica del fatto e le circostanze aggravanti, se non contestate, diventano definitive.
Le motivazioni della Cassazione
I giudici supremi hanno spiegato che, una volta che il giudice d’appello accoglie la richiesta di concordato sulla pena, il suo controllo si limita alla legalità della pena stessa. Non deve, ad esempio, motivare sul perché non ha prosciolto l’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’esistenza di nullità o sulla qualificazione del reato.
Di conseguenza, è inammissibile un ricorso per cassazione che, come nel caso di specie, deduca la mancanza di motivazione su aspetti che sono implicitamente superati dall’accordo. La misura della pena concordata è il risultato di un negozio tra le parti; una volta che il giudice lo ratifica, non può essere modificato unilateralmente attraverso un successivo ricorso basato su motivi a cui si era già rinunciato.
Il controllo della Corte di Appello riguarda solo la legalità della pena (ad esempio, che non superi i limiti edittali) e non la sua congruità. Il giudice non può modificare l’accordo, ma solo accoglierlo o rigettarlo in toto.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza la natura negoziale e vincolante del patteggiamento in appello. Chi sceglie questa strada processuale deve essere consapevole che sta compiendo una scelta strategica definitiva. La rinuncia ai motivi di appello non è un mero atto formale, ma un’azione che cristallizza la decisione su quei punti, impedendo future contestazioni. Il ricorso in Cassazione avverso una sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. è pertanto consentito solo in casi eccezionali, come l’applicazione di una pena illegale, e non per rimettere in discussione la valutazione discrezionale sulla misura della sanzione che è stata oggetto dell’accordo.
Che cos’è il patteggiamento in appello?
È un accordo tra accusa e difesa, previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, con cui l’imputato rinuncia a uno o più motivi di appello in cambio di una ridefinizione concordata della pena, che viene poi sottoposta al vaglio del giudice di secondo grado.
È possibile ricorrere in Cassazione dopo un patteggiamento in appello per lamentare che la pena è troppo alta?
No, il ricorso è inammissibile. L’accordo sulla misura della pena è un negozio processuale che, una volta accettato dal giudice, non può essere modificato unilateralmente. L’unica eccezione riguarda l’ipotesi in cui la pena concordata sia illegale (ad esempio, perché supera i massimi previsti dalla legge), ma non se viene semplicemente ritenuta non congrua.
La rinuncia ai motivi di appello che effetti produce?
Produce un effetto preclusivo e irrevocabile. Limita l’esame del giudice d’appello ai soli motivi non oggetto di rinuncia e fa sì che si formi un giudicato sui punti della decisione coperti dall’accordo (come l’affermazione di responsabilità), impedendo che possano essere nuovamente messi in discussione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19154 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 19154 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso la sentenza in data 04/05/2023 della Corte di appello di Napoli, quinta sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che il procedimento viene trattato nelle forme del rito de plano ex art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza ex art. 599-bis cod. proc. pen. in data 04/05/2023, la Corte di appello di Roma, preso atto del concordato intervenuto tra le parti con rinuncia agli altri motivi di appello, riduceva la pena nei confronti di NOME COGNOME nella misura di anni tre, mesi sei, giorni venti di reclusione ed euro 1.200 di multa in relazione ai reati di rapina consumata, rapina tentata e lesioni personali.
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME, è stato proposto ricorso per cassazione per lamentare violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.
Né si può ritenere corretto l’eventuale richiamo all’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen., poiché tale norma non trova applicazione con riferimento alla sentenza emessa dalla Corte di appello ex art. 599-bis cod. proc. pen.
Inoltre, il controllo che la Corte di appello deve effettuare in relazione all pena concordata è solo quello relativo alla legalità della pena perché il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti non può essere modificato dal giudice, il quale può solo accogliere o rigettare la richiesta e ove l’accolga verificar la legalità della pena. Ciò anche per le differenze strutturali tra l’istituto ex art. 599-bis cod. proc. pen. e quello ex art. 444 cod. proc. pen. Il giudice di appello non deve neanche valutare la congruità della pena (cfr., Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226715).
In ogni caso, in tema di «patteggiannento in appello» ex art. 599-bis cod. proc. pen., è inammissibile il ricorso per cassazione proposto in relazione alla misura della pena concordata (nella specie, quanto al mancato riconoscimento della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche che avrebbe ridotto la misura della pena), atteso che il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato, salva l’ipotesi – qui non ricorrente di illegalità della pena concordata (cfr., Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, dep. 2019, Alessandria, Rv. 275234).
Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 12/03/2024.