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Patteggiamento in appello: limiti al ricorso

Un soggetto, condannato per tentata rapina, concorda la pena in appello tramite il cosiddetto “patteggiamento in appello”, rinunciando ai motivi di impugnazione. Successivamente, propone ricorso in Cassazione lamentando un difetto di motivazione. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, specificando che, in caso di patteggiamento in appello, il giudice deve motivare solo sulla pena concordata e non sull’affermazione di responsabilità, poiché la rinuncia ai motivi limita l’oggetto del giudizio.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando il Ricorso Diventa Inammissibile

Il patteggiamento in appello, disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento processuale che consente di definire il giudizio di secondo grado attraverso un accordo sulla pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito le importanti conseguenze di tale scelta, in particolare riguardo all’impossibilità di contestare successivamente la propria responsabilità. Analizziamo la decisione per comprendere a fondo i limiti imposti a chi opta per questa via.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna per tentata rapina aggravata e lesioni aggravate. In sede di appello, la difesa dell’imputato raggiungeva un accordo con la Procura Generale per la rideterminazione della pena, avvalendosi della procedura del patteggiamento in appello. Di conseguenza, la Corte di Appello emetteva una sentenza che recepiva tale accordo.

Nonostante l’accordo raggiunto, il difensore dell’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando che la sentenza d’appello fosse priva di motivazione in merito al convincimento del giudice sulla colpevolezza del suo assistito.

La Decisione sul Patteggiamento in Appello

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso palesemente inammissibile. I giudici supremi hanno chiarito che, una volta che l’imputato rinuncia ai motivi d’impugnazione per accedere al patteggiamento in appello, il perimetro del giudizio si restringe drasticamente, precludendo ogni successiva doglianza sulla responsabilità penale.

L’Effetto della Rinuncia ai Motivi di Appello

Il cuore della decisione risiede nell’effetto della rinuncia ai motivi di gravame. L’accordo sulla pena, infatti, presuppone che l’appellante rinunci a contestare i punti della sentenza di primo grado. Questa rinuncia non è una mera formalità, ma un atto processuale con conseguenze definitive. A causa dell’effetto devolutivo dell’appello, la cognizione del giudice di secondo grado è limitata esclusivamente ai punti della sentenza che sono stati impugnati. Se l’appellante rinuncia ai motivi, accetta implicitamente l’affermazione di responsabilità contenuta nella sentenza precedente.

La Cognizione Limitata del Giudice e la Preclusione Processuale

Di conseguenza, il giudice d’appello che accoglie la richiesta di pena concordata è tenuto a motivare soltanto sulla congruità della pena pattuita tra le parti. Non ha più il dovere, né il potere, di riesaminare e motivare la colpevolezza dell’imputato, poiché tale questione è ormai uscita dal perimetro del giudizio. La rinuncia ai motivi, infatti, determina una preclusione processuale che impedisce al giudice di pronunciarsi su aspetti che non gli sono più devoluti. Ogni tentativo di rimettere in discussione la responsabilità attraverso un successivo ricorso per cassazione è destinato, come in questo caso, all’inammissibilità.

le motivazioni

La Corte Suprema ha fondato la propria decisione sulla natura stessa dell’istituto del patteggiamento in appello. Reintrodotto con la legge n. 103 del 2017, esso riprende i principi già elaborati dalla giurisprudenza nel vigore di un istituto analogo. Il principio chiave è che l’accordo sulla pena, accompagnato dalla rinuncia ai motivi di gravame, cristallizza l’affermazione di responsabilità. Il giudice d’appello non deve quindi motivare sul perché l’imputato sia colpevole, ma solo sulla correttezza della pena concordata. La Corte ha sottolineato la radicale diversità tra questo istituto e il patteggiamento in primo grado, dove il giudice è chiamato a una valutazione più ampia. La rinuncia ai motivi d’appello crea una barriera processuale invalicabile, che si estende anche al giudizio di legittimità.

le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un punto fondamentale: la scelta del patteggiamento in appello è una decisione strategica con effetti irreversibili sulla possibilità di contestare la propria colpevolezza. Chi accede a tale rito accetta la condanna e si preclude la possibilità di sollevare questioni di merito nei successivi gradi di giudizio. La presentazione di un ricorso basato su motivi a cui si è rinunciato non solo è destinata all’insuccesso, ma comporta anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa nel determinare una causa di inammissibilità.

Cosa comporta la scelta del patteggiamento in appello?
Scegliendo il patteggiamento in appello, l’imputato rinuncia ai propri motivi di impugnazione e accetta l’affermazione di responsabilità. Di conseguenza, il giudice d’appello è tenuto a motivare solo sulla congruità della pena concordata e non più sulla colpevolezza.

È possibile fare ricorso in Cassazione dopo un patteggiamento in appello per contestare la colpevolezza?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un simile ricorso è inammissibile. La rinuncia ai motivi di appello crea una preclusione processuale che impedisce di rimettere in discussione la responsabilità dell’imputato nel successivo giudizio di legittimità.

Perché il ricorrente è stato condannato al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende?
Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente (come nel caso di impugnazione di punti a cui si era rinunciato), la parte privata viene condannata non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche di una somma in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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