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Patteggiamento in appello: limiti al ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver concordato la pena in secondo grado tramite il cosiddetto “patteggiamento in appello”, aveva tentato di contestare la propria responsabilità. La Suprema Corte ribadisce che l’accordo sulla pena implica la rinuncia a contestare la colpevolezza, limitando la possibilità di ulteriori impugnazioni sul merito.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando il Ricorso per Cassazione Diventa Inammissibile

Il patteggiamento in appello, introdotto dall’art. 599 bis del codice di procedura penale, rappresenta una scelta strategica per l’imputato che può portare a una riduzione della pena. Tuttavia, questa scelta comporta conseguenze significative sulla possibilità di impugnare ulteriormente la sentenza. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso quando si è optato per un accordo sulla pena in secondo grado, confermando un orientamento giurisprudenziale consolidato.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna per rapina impropria emessa dal Tribunale di Milano. L’imputato presentava appello e, in quella sede, le parti – difesa e accusa – raggiungevano un accordo per la rideterminazione della pena. La Corte di Appello di Milano, accogliendo la richiesta concorde, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, riducendo la pena a due anni e sei mesi di reclusione, oltre a una multa.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato, tramite il proprio difensore, proponeva ricorso per Cassazione. Il motivo del ricorso era un presunto vizio di motivazione della sentenza d’appello riguardo all’effettiva responsabilità penale, sostenendo che il giudice avrebbe dovuto comunque basare la condanna su un esame ragionato delle prove.

La Decisione della Corte: il Patteggiamento in Appello e la Rinuncia ai Motivi

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del patteggiamento in appello: la richiesta di concordare la pena implica una rinuncia ai motivi di appello che non riguardano l’entità della sanzione. In pratica, l’imputato che sceglie questa strada accetta di non contestare più il merito della propria responsabilità.

Secondo la Corte, una volta che l’imputato rinuncia ai motivi d’appello relativi all’accertamento di colpevolezza, la cognizione del giudice di secondo grado si restringe. Il giudice non è più tenuto a motivare il mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p. (ad esempio, perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso). La sua valutazione si concentra sulla correttezza dell’accordo raggiunto tra le parti.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le motivazioni della Corte di Cassazione si basano su una giurisprudenza costante e consolidata. Viene richiamato il principio dell’effetto devolutivo dell’impugnazione: il giudice dell’appello decide solo sui punti della sentenza che sono stati specificamente contestati. Se l’imputato, con la richiesta di patteggiamento in appello, rinuncia ai motivi che attengono alla sua colpevolezza, questi escono dal perimetro del giudizio.

In questo caso, l’imputato aveva scelto di barattare la contestazione della responsabilità con una riduzione certa del trattamento sanzionatorio. Tale scelta strategica preclude la possibilità di sollevare nuovamente la questione della colpevolezza in sede di legittimità. Il ricorso per Cassazione, che censurava proprio un aspetto coperto dalla rinuncia (il vizio di motivazione sulla responsabilità), è stato quindi ritenuto privo dei presupposti di ammissibilità.

Di conseguenza, in applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale, l’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle Ammende.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un punto fondamentale per la difesa tecnica: la scelta del patteggiamento in appello è irreversibile e preclude future contestazioni sul merito della vicenda. È una decisione che richiede un’attenta ponderazione dei pro e dei contro. Da un lato, offre la certezza di una pena più mite; dall’altro, significa rinunciare definitivamente alla possibilità di ottenere un’assoluzione. Per gli avvocati, è cruciale illustrare chiaramente al proprio assistito le conseguenze di tale scelta, che chiude di fatto le porte a un successivo ricorso per Cassazione volto a rimettere in discussione la responsabilità penale.

Cos’è il ‘patteggiamento in appello’?
È una procedura prevista dall’art. 599 bis del codice di procedura penale in cui l’imputato e la pubblica accusa si accordano sulla pena da applicare in secondo grado, rinunciando di fatto ai motivi di appello non legati alla determinazione della sanzione.

Se si accetta un patteggiamento in appello, si può ancora contestare la propria colpevolezza in Cassazione?
No. Secondo la costante giurisprudenza, la scelta di concordare la pena in appello implica la rinuncia ai motivi relativi all’accertamento della responsabilità. Pertanto, non è possibile sollevare nuovamente tale questione con un ricorso per Cassazione.

Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, la persona che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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