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Patteggiamento in appello: limiti al ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3555/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza emessa a seguito di patteggiamento in appello. La Corte ha ribadito che l’impugnazione è possibile solo per vizi del consenso o difformità della pronuncia rispetto all’accordo, e non per contestare l’entità della pena, anche se ritenuta eccessiva.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Ammesso?

Il patteggiamento in appello, noto anche come concordato in appello e disciplinato dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che consente alle parti di accordarsi sulla rideterminazione della pena. Tuttavia, una volta raggiunto tale accordo e ottenuta la sentenza, quali sono le possibilità di impugnazione? Con la recente ordinanza n. 3555/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini molto stretti entro cui è possibile ricorrere contro una tale decisione, chiarendo che non si può tornare indietro per un semplice ripensamento sull’entità della pena.

La Vicenda Processuale: un Accordo Messo in Discussione

Nel caso di specie, un imputato, dopo aver concordato in secondo grado una pena di dieci anni di reclusione, decideva di presentare ricorso per Cassazione. Attraverso il suo difensore, lamentava che la pena applicata dalla Corte d’Assise d’Appello fosse eccessiva e contestava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In sostanza, dopo aver beneficiato di una riduzione di pena grazie all’accordo, l’imputato tentava di ottenere un ulteriore sconto mettendo in discussione proprio il contenuto di quell’accordo.

La Decisione della Cassazione: il Ricorso è Inammissibile

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto categoricamente le doglianze del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La Corte ha condannato l’imputato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La decisione, sebbene netta, non è sorprendente, ma si pone in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato.

Le Motivazioni: i Rigidi Limiti del Patteggiamento in Appello

Il cuore della decisione risiede nella natura stessa del patteggiamento in appello. La Corte Suprema ha chiarito che, una volta che le parti raggiungono un accordo sulla pena, la possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva è estremamente limitata. La giurisprudenza, rafforzata dopo la reintroduzione dell’istituto con la legge n. 103 del 2017, ammette il ricorso in Cassazione solo per motivi specifici e tassativi, che attengono alla regolarità del procedimento e non al merito della pena concordata.

I motivi ammissibili sono esclusivamente:

1. Vizi nella formazione della volontà: Se la parte può dimostrare che il suo consenso all’accordo è stato viziato (ad esempio, per errore, violenza o dolo).
2. Mancanza del consenso del Pubblico Ministero: Se l’accordo è stato recepito dal giudice senza il necessario consenso dell’accusa.
3. Contenuto difforme della pronuncia: Se la sentenza del giudice si discosta da quanto pattuito tra le parti.

Nel caso analizzato, le lamentele del ricorrente riguardavano l’entità del trattamento sanzionatorio e il diniego delle attenuanti generiche. Questi sono aspetti di merito che si considerano superati e definiti proprio dall’accordo stesso. Consentire un’impugnazione su tali basi significherebbe snaturare l’istituto del concordato, trasformandolo in una mera tappa intermedia in attesa di un’ulteriore negoziazione in Cassazione, anziché in un atto conclusivo del processo d’appello.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame riafferma un principio fondamentale: la scelta di accedere al patteggiamento in appello è una decisione strategica che comporta una rinuncia a contestare nel merito la pena concordata. L’imputato e il suo difensore devono ponderare attentamente i pro e i contro dell’accordo, poiché una volta siglato, le vie d’uscita sono quasi nulle. Questa pronuncia serve da monito: non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione come un “terzo tempo” per rinegoziare un accordo già raggiunto. La stabilità delle decisioni e l’efficienza processuale, obiettivi primari del concordato, vengono così tutelate, garantendo certezza al percorso giudiziario.

Cos’è il patteggiamento in appello (o concordato in appello)?
È un accordo processuale, previsto dall’art. 599-bis c.p.p., tra l’imputato e il pubblico ministero per rideterminare la pena in secondo grado, evitando la discussione e ottenendo una sentenza che ratifica l’intesa raggiunta.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di patteggiamento in appello?
Sì, ma solo per motivi molto specifici. Il ricorso è ammissibile esclusivamente per questioni relative alla formazione della volontà di aderire all’accordo (es. vizio del consenso), al consenso del pubblico ministero o se la decisione del giudice è diversa da quanto concordato. Non è possibile impugnarla per contestare l’entità della pena pattuita.

Per quale motivo il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le doglianze sollevate (eccessività della pena e mancato riconoscimento delle attenuanti generiche) non rientravano tra i motivi tassativamente previsti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento in appello, ma riguardavano il merito della decisione, che si considera definito dall’accordo stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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