Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 47296 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 47296 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 26/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata in Marocco il 17/03/1998
avverso la sentenza del 15/04/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena ritenuta illegale.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Milano accogliendo la richiesta di pena concordata, ha confermato la pronunzia del Tribunale di Milano dell’11.10.2022, che condannava NOME e NOMECOGNOME esclusa l’aggravante del nesso teleologico per effetto della assoluzione dal reato di rapina pronunciata dal primo giudice, e rideterminata la pena per i reati di lesioni personali contestati ai capi B) e C), consistiti rispettivamente, nell’avere, in concorso, colpito al viso, allo zigomo e all’orecchio NOME COGNOME cagionandogli lesioni personali consistite in “altre ferite della faccia, altro e siti multipli, senza menzione di complicazioni” un trauma facciale
giudicato guaribile in giorni 5, ed aggredito, afferrandola dalla maglia e sbattendola contro il muro, NOME COGNOME cagionandole lesioni personali consistite in “contusione avambraccio destro, spalla destra e fianco destro” con prognosi di giorni 10.
Contro l’anzidetta sentenza l’imputata propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato ad un unico motivo, qui di seguito sintetizzato.
La ricorrente deduce violazione dell’art. 606 lett. B) cod. proc. pen., lamentando la mancata assoluzione dai reati contestati ex art.131 bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché propone un motivo non consentito dalla legge alla luce del modulo definitorio prescelto in appello.
L’art. 599-bis, comma 1, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017, prevede che la Corte di appello provveda in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall’articolo 589 dello stesso codice, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo. Come questa Corte ha già avuto occasione di affermare al cospetto di ricorsi proposti avverso sentenze emesse ex art. 599-bis cod. proc. pen. (Sez. 5, Ordinanza n. 29243 del 04/06/2018, Casero, Rv. 273194; Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, COGNOME e altro, Rv. 272853), in seguito alla reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello, deve ritenersi nuovamente applicabile il principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto previsto dell’art. 599, comma 4, cod. proc. pen. e successivamente abrogato dal decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92, conv. con modif. nella L. 24 luglio 2008 n. 125, secondo cui il giudice d’appello che accoglie la richiesta formulata sull’accordo delle parti e prende atto della rinunzia ai motivi, limita la sua
cognizione a quelli non rinunciati.
La rinuncia parziale ai motivi d’appello determina il passaggio in giudicato della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinuncia, di talché è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si propongono censure
attinenti ai motivi d’appello rinunciati e non possono essere rilevate d’ufficio le questioni relative ai medesimi motivi (Sez. 4, n. 9857 del 12/02/2015 – dep. 06/03/2015, COGNOME ed altri).
Analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 5, n. 40278 del 6 aprile 2016, COGNOME ed altri; Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, COGNOME, Rv. 273194), la definizione del procedimento con il concordato in appello, relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, ad eventuali cause di improcedibilità o nullità anche assolute, eccepite con l’impugnazione, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena (e nel caso, in punto di responsabilità) limita non solo la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità.
La rinuncia a tutti i motivi di appello, ad esclusione soltanto di quello riguardante la misura della pena, deve ritenersi comprensiva anche del motivo attraverso il quale l’appellante abbia richiesto il riconoscimento di circostanze attenuanti e l’esclusione di elementi circostanziali che condizionano il trattamento sanzionatorio nonché comprende anche i motivi concernenti la qualificazione del reato e la sussistenza delle aggravanti (Sez. 4, n. 53340 del 24/11/2016, Castiglione e altri; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME e altri); Sez. 4, n. 827 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME e altri).
Nemmeno sussiste, come già opinato dalle recenti sentenze di questa sezione sopra indicate, un dovere di motivazione circa il mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., in considerazione della radicale diversità tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e l’istituto in esame, prima disciplinato dal citato art. 599 cod. proc. pen. (circa l’applicazione di questa regola nel vecchio regime cfr. Sez. 5, n. 3391 del 15/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245919; Sez. 6, n. 35108 del 08/05/2003, COGNOME, Rv. 226707).
Fatta questa premessa, ne consegue che all’odierno ricorrente è precluso mettere in discussione il giudizio in punto di responsabilità, avendo rinunziato a tutti i motivi diversi da quelli sul trattamento sanzionatorio.
Va, incidentalmente, rilevato che la pena è stata correttamente applicata in relazione alla formulazione della imputazione che contiene espressamente la contestazione in fatto dell’aggravante di cui agli artt. 576 n.1 e 585 cod. pen. delle più persone riunite, ritenute dal Tribunale in punto di bilanciamento delle circostanze.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 26/09/2024.