Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19291 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19291 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CALTAGIRONE il 06/08/1993
avverso la sentenza del 04/12/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
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udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza indicata in epigrafe, deducendo mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’entità della pena inflittagli.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il ricorso è palesemente inammissibile per cause che possono dichiararsi senza formalità ai sensi dell’art. 610 comma 5bis cod. proc. pen. introdotto dall’art. 1, comma 62, della legge 23.6.2017 n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.
L’impugnazione che ci occupa risulta, infatti, proposta contro una sentenza pronunciata ex art. 599bis cod. proc. pen. con cui il giudice di appello, nell’applicare la pena concordata, ha ratificato l’accordo intervenuto tra le parti. E, come questa Corte di legittimità ha precisato, in tema di “patteggiamento in appello” ex art. 599-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 56, della legge 23 giugno 2017, n. 103, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto in relazione alla misura della pena concordata atteso che il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato, salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata (cfr. Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, dep. 2019, Alessandria, Rv. 275234 in un caso riguardante gli aumenti di pena a titolo di continuazione). Ipotesi che non ricorre nel caso che ci occupa.
Ciò perché il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato, salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata (cfr. Sez. 3, n. 19983 del 9/6/2020, COGNOME, Rv. 279504).
Nello specifico, quanto alla pena, le Sezioni Unite di questa Corte, sin dal 2004, hanno chiarito che nel cd. patteggiamento della pena in appello ai sensi dell’art. 599, comma 4, cod. proc. pen., le parti esercitano il potere dispositivo loro riconosciuto dalla legge, dando vita a un negozio processuale liberamente stipulato che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato – salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata – da chi lo ha promosso o vi ha aderito, mediante proposizione di apposito motivo di ricorso per cassazione (così Sez. U. ordinanza n. 5466 del 28/1/2004, Gallo, Rv. 226715).
In tale pronuncia si evidenzia come la situazione sia del tutto speculare rispetto a quella che si determina con il patteggiannento in primo grado, in relazione
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R.G.
al quale, pure prima che intervenissero la modifica dell’art. 448 cod. proc. pen. ad opera della I. 103/2017 ove si parla esplicitamente di “illegalità della pena”, le
Sezioni Unite di questa Corte, ancora di recente, con la sentenza n. 5838 del
28/11/2013 dep. 2014, COGNOME ed altri, Rv. 257824, avevano ribadito che la cen- sura relativa alla determinazione della pena concordata – e stimata corretta dal
giudice di merito – non potesse essere dedotta in sede di legittimità, al di fuori dell’ipotesi di determinazione di una pena
contra legem.
Ipotesi che, di certo, non ricorre nel caso di specie.
L’istituto del patteggiamento in primo grado e del c.d.
concordato in appello, quanto alla pena, trovano, infatti, il medesimo fondamento primario nella conver-
gente richiesta di pubblico ministero e imputato sul merito dell’imputazione (re- sponsabilità e pena conseguente), dal momento che chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa.
Nella concreta fattispecie la pena è stata applicata nella misura richiesta e non è illegale.
Restava, pertanto, preclusa ogni successiva doglianza al riguardo.
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, tenuto conto del coefficiente della colpa stessa (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000) e della natura del provvedimento impugnato, alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/05/2025