Patteggiamento in Appello: Quando il Ricorso sulla Pena è Inammissibile
L’istituto del patteggiamento in appello, introdotto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, consentendo alle parti di accordarsi sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili dell’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di tale accordo. Vediamo nel dettaglio la pronuncia e le sue implicazioni.
I Fatti del Caso
Due imputati avevano proposto ricorso per cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello di Venezia, emessa proprio a seguito di un’istanza di concordato sulla pena. I ricorrenti lamentavano una presunta “illegalità della pena”, sostenendo che i giudici di merito non avessero rispettato i criteri di commisurazione previsti dagli articoli 133 e 133-bis del codice penale.
La Decisione della Cassazione sul patteggiamento in appello
La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su un principio consolidato nella giurisprudenza: l’accordo raggiunto con il patteggiamento in appello costituisce un “negozio processuale” che, una volta raggiunto liberamente dalle parti e ratificato dal giudice, non può essere messo in discussione per motivi che attengono alla congruità o alla giustificazione della misura della pena.
Le Motivazioni: La Distinzione tra Pena Illegale e Pena Incongrua
Il cuore della motivazione della Corte risiede nella netta distinzione tra “illegalità” e “illegittimità” (o incongruità) della sanzione.
* Pena illegale: Si ha quando la sanzione applicata è di un genere o di una misura che la legge non prevede assolutamente per quel reato. Ad esempio, applicare l’ergastolo per un furto. Solo questo tipo di vizio, radicale e insanabile, può essere dedotto in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento.
* Pena illegittima o incongrua: Si verifica quando il giudice, pur rimanendo nei limiti edittali previsti dalla legge, applica una pena che appare sproporzionata o non adeguatamente motivata secondo i criteri di cui all’art. 133 c.p. (gravità del reato, capacità a delinquere del reo).
Nel caso di specie, i ricorrenti contestavano proprio quest’ultimo aspetto, ovvero la mancata osservanza dei criteri discrezionali di commisurazione della pena. La Cassazione, tuttavia, ha sottolineato che, aderendo al concordato, l’imputato rinuncia implicitamente a contestare la congruità della pena. L’accordo stesso sana a monte ogni potenziale doglianza sulla sua misura, poiché essa è frutto della volontà delle parti e non di una imposizione unilaterale del giudice.
Citando precedenti sentenze, tra cui una delle Sezioni Unite, la Corte ha ribadito che il giudice d’appello, nel ratificare l’accordo, non è tenuto a valutare la congruità della pena, ma solo a verificare che non si tratti di una pena illegale.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza in esame consolida un orientamento fondamentale per la difesa tecnica. Chi sceglie la via del patteggiamento in appello deve essere consapevole che tale scelta comporta una rinuncia a contestare in futuro l’adeguatezza della pena concordata. Il ricorso per cassazione rimane una via percorribile solo per vizi gravissimi e tassativi, come l’applicazione di una pena non prevista dalla legge. La natura di accordo processuale dell’istituto lo rende impermeabile a ripensamenti sulla convenienza della sanzione pattuita, cristallizzando la decisione e garantendo la stabilità del giudicato.
È possibile ricorrere in Cassazione per contestare la misura della pena concordata con un patteggiamento in appello?
No, secondo la Corte di Cassazione, il ricorso è inammissibile se contesta la congruità o l’adeguatezza della pena concordata. L’accordo tra le parti preclude questa possibilità.
Qual è l’unica eccezione per cui si può contestare la pena di una sentenza di patteggiamento in appello?
L’unica eccezione è il caso di “pena illegale”, ovvero quando la sanzione applicata è di un tipo o di una misura non prevista dalla legge per quel reato. La violazione dei criteri di commisurazione (art. 133 c.p.) non costituisce illegalità della pena.
Perché l’accordo di patteggiamento in appello limita il diritto di impugnazione?
Perché è considerato un “negozio processuale” liberamente concluso tra l’imputato e l’accusa. Accettando l’accordo, l’imputato rinuncia volontariamente a contestare nel merito la misura della pena, che diventa il risultato di una pattuizione e non di una decisione unilaterale del giudice.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21496 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 21496 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/04/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato in ROMANIA il 16/01/1980 COGNOME nato in ROMANIA il 16/01/1980 avverso la sentenza del 08/07/2024 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Ricorso trattato de plano.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con i ricorsi avverso l’indicata sentenza pronunciata ex art. 599 bis c.p.p. su istanza di concordato, gli imputati hanno dedotto violazione di legge per illegalità della pena per mancato rispetto dei criteri previsti dagli artt. 133 e 133 bis, cod. pen..
I ricorsi sono inammissibili poiché deducono l’illegalità della pena per violazioni che, al più, possono costituire causa della illegittimità della sanzione e che pertanto esulano dall’ambito dei motivi azionabili avverso una sentenza pronunciata ex art. 599 bis cod. proc. pen.. Peraltro, secondo il costante insegnamento di questa Corte, il giudice di appello non deve neanche valutare la congruità della pena (cfr. Sez. U, ordinanza n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226715; cfr. in tal senso Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, dep. 2019, Alessandria, Rv. 275234-01 per cui in tema di «patteggiamento in appello» ex art. 599-bis cod. proc. pen., è inammissibile il ricorso per cassazione proposto in relazione alla misura della pena concordata, atteso che il negozio processuale liberamente
stipulato dalle parti, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può
essere unilateralmente modificato, salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata).
3.
Le impugnazioni sono quindi inammissibili (ex art. 606 co.3 c.p.p.) con conseguente condanna ex art. 616 c.p.p. dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, valutati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina
equitativamente in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma, 17 aprile 2025
Il Consigliere est.
Il Presidente