Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 7496 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 7496 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il 04/10/1984
avverso l’ordinanza del 17/10/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento del provvedimento impugnato;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17 ottobre 2024, il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Perugia ha respinto l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui il Tribunale aveva dichiarato inammissibile l’istanza di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, relativa al procedimento penale n. 283/2024 s.i.u.s..
Il Tribunale ha ritenuto che il ricorrente non avesse indicato il reddito complessivo, allegando, inoltre, documentazione relativa all’indicatore ISEE, non rilevante ai fini dell’ammissione; inoltre, aveva affermato, contrariamente al vero, di essere l’unico componente del nucleo familiare, in ragione del suo stato detentivo.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un complesso motivo si deduce violazione di legge e vizio della motivazione (poiché mancante, contraddittoria o manifestamente illogica: pp. 1 e 5 del ricorso).
Ad avviso del ricorrente non è consentito al giudice di entrare nel merito della autocertificazione prodotta, potendo al limite revocare l’ammissione, ma solo successivamente ai controlli svolti dall’amministrazione finanziaria.
Anche l’esercizio del potere di cui all’art. 96, comma 2, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non può risolversi, come nella specie, in un accertamento discrezionale.
D’altra parte, il ricorrente ha dato prova sia del suo ininterrotto stato detentivo, sia dello stato di non abbienza, allegando documentazione relative alle possidenze mobiliari ed immobiliari.
Infine, la somma dei redditi è ben individuabile attraverso la documentazione prodotta, e quindi anche sotto questo profilo il diniego del beneficio appare del tutto ingiustificato.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Preliminarmente il Collegio osserva che il ricorso deve ritenersi ammissibile anche se proposto, come nella specie, da avvocato iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto dal difensore dell’imputato, di fiducia o di ufficio, non cassazionista (Sez. U, n. 40517 del 28/04/2016, Taysir, Rv. 267627 – 01; Sez. 1, n. 44024 del 08/11/2024, COGNOME, non mass.).
1.2. Sempre in via preliminare si osserva che, ai sensi dell’art. 99, comma 4, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza che decide sull’opposizione avverso il rigetto della istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato può essere proposto solo per violazione di legge e non per vizio della motivazione, a meno di suo assoluto difetto (Sez. 4, n. 1873 del 13/12/2023, COGNOME non mass.; conf., Sez. 4, n. 22637 del 21/03/2017, COGNOME, Rv. 270000 – 01; Sez. 4, n. 16908 del 07/02/2012, COGNOME, Rv. 252372 – 01).
Diversamente deve dirsi per l’illogicità manifesta, la quale può essere denunciata nel giudizio di legittimità soltanto attraverso lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 2 de 28/01/2004, COGNOME).
Dunque, ove il ricorso per cassazione sia limitato alla sola violazione di legge, va esclusa la sindacabilità del vizio di manifesta illogicità mentre è possibile denunciare il vizio di motivazione apparente, ovvero la violazione dell’art. 125, comma, 3 cod. proc. pen., che impone l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 224611 – 01; conf., Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, COGNOME, Rv. 261590 – 01).
Quest’ultimo vizio è ravvisabile allorché la motivazione sia completamente priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, oppure le linee argomentative siano talmente scoordinate e prive dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692).
Da tali considerazioni discende, innanzitutto, che non potendosi affatto sostenere il carattere apparente della motivazione, il ricorso, sul punto, è proposto per motivi non consentiti: l’apparato argomentativo non è carente o affidato a formule di stile, e si fonda su plurime ragioni.
Dall’esame del provvedimento impugnato emerge, infatti, che l’istanza di ammissione fu dichiarata inammissibile, con valutazione poi confermata in esito all’opposizione: a) poiché priva della indicazione del reddito percepito dallo stesso, genericamente indicato come inferiore alla soglia prevista per l’ammissione; b)
non aveva indicato i componenti del nucleo familiare; c) aveva, per costoro, comunque allegato delle certificazioni relativa al c.d. indicatore della situazione economica equivalente (d’ora in poi, per brevità, ISEE).
Nella parte in cui, quindi, si lamenta il vizio di motivazione, il ricorso è inammissibile, poiché proposto per un motivo non consentito.
1.3. Le restanti censure, con cui si prospettano violazioni di legge, sono in parte aspecifiche ed in parte manifestamente infondate.
Per quanto di interesse, l’art. 79, comma 1, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sanziona con la inammissibilità l’istanza di ammissione che: 1) non indica le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali (lett. b); 2) risulta priva di una dichiarazione sostitutiv certificazione da parte dell’interessato, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini.
Quanto al primo profilo, il rapporto di convivenza familiare, essendo caratterizzato da continuativi rapporti di affetto, da costante comunanza di interessi, da comuni responsabilità e dunque da un legame stabile e duraturo, prescinde dalla coabitazione fisica e non può ritenersi escluso dallo stato di detenzione, pur protratto nel tempo, di uno dei componenti del nucleo familiare, il quale, anche in tale ipotesi, non può omettere di indicare nell’istanza di ammissione il reddito dei familiari conviventi (ex plurimis, Sez. 4, n. 46853 del 12/10/2023, COGNOME, Rv. 285343 – 01; Sez. 4, n. 15715 del 20/03/2015, COGNOME, Rv. 263153 – 01; Sez. 4, n. 17374 del 17/01/2006, Conte, Rv. 233957 01).
Dunque, correttamente i giudici di merito hanno rilevato la lacuna nella istanza, che non indicava i componenti della famiglia anagrafica dell’istante detenuto.
Altrettanto correttamente hanno rilevato la mancata indicazione, in maniera specifica, del reddito complessivo, sotto due profili: il ricorrente, infatti, si e limitato ad affermare di avere un reddito inferiore alla soglia prevista dalla legge per l’ammissione al beneficio; per i componenti del nucleo familiare, invece, si era limitato ad allegare le certificazioni ISEE.
Quanto alla “specifica determinazione del reddito complessivo”, si tratta di un elemento centrale della istanza, la cui mancanza non consente al giudice di effettuare alcuna valutazione.
Proprio per tali ragioni si è affermato che solo a fronte della sussistenza di un’autocertificazione avente i requisiti richiesti dall’art. 79 cit., il giudice è ten a provvedere alla valutazione di meritevolezza, anche facendo ricorso, ove necessario, ai poteri conferitigli dall’art 79, comma 3, chiedendo alla parte di
integrare l’istanza con la documentazione attestante la veridicità di quanto dichiarato, ma siffatto potere non si spinge sino ad invitare l’interessato a completare le parti mancanti dell’istanza e dell’autocertificazione (Sez. 4, n. 29458 del 30/09/2020, COGNOME, Rv. 279962 – 01).
L’istanza priva dell’indicazione dei redditi percepiti per l’annualità di riferimento deve quindi ritenersi inammissibile; né, pertanto, la stessa può essere successivamente integrata, come invece sembra affermare il ricorrente.
Quanto ai redditi degli altri componenti del nucleo familiare, il ricorrente non si confronta con il consolidato orientamento di legittimità secondo cui ai fini della determinazione del limite di reddito per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, si deve tenere conto anche dei redditi esenti o soggetti a tassazione separata, ovvero non dichiarati o derivanti da attività illecite, senza che assuma rilievo la situazione reddituale calcolata secondo il metodo dell’indicatore della situazione economica equivalente (Sez. 4, n. 28643 del 04/06/2024, Vullo, non mass.; Sez. 4, n. 46159 del 24/11/2021, COGNOME, Rv. 282552 – 01).
Il ricorrente, senza confrontarsi con tali pacifici approdi interpretativi, si è limitato ad affermare che il giudice non può entrare nel merito della autocertificazione, così richiamando un principio che la giurisprudenza ha sì formulato ma, con evidenza, in relazione ad una dichiarazione completa, e relativamente alle indicazioni sui redditi (cfr., ad es., Sez. 4, n. 10512 del 13/01/2021, Pennestrì, Rv. 280939 – 01, secondo cui l’autocertificazione dell’istante ha valenza probatoria e il giudice non può entrare nel merito della medesima per valutarne l’attendibilità, dovendosi limitare alla verifica dei redditi esposti e concedere in base ad essi il beneficio, il quale potrà essere revocato solo a seguito dell’analisi negativa effettuata dall’intendente di finanza).
A fronte di una istanza che per diverse ragioni deve ritenersi inammissibile, non giova al ricorrente il richiamo (pp. 3 e 4 ricorso) al disposto di cui all’art. 96, comma 2, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che indica i presupposti in presenza dei quali al giudice è consentito rigettare la domanda, essendovi fondati motivi per ritenere che l’interessato non versa nelle condizioni di reddito previste per l’ammissione.
Del tutto generico, infine, il riferimento all’art. 6, par. 3, lett. c), co interpretato dalla Corte EDU (sentenza 25 aprile 1983, COGNOME c. Germania), così come il riferimento all’art. 3 della Costituzione (pp. 1 e 5 ricorso).
Ad ogni modo, il Collegio intende richiamare sul punto il costante insegnamento di questa Corte regolatrice, anche nella sua più autorevole composizione, secondo cui non è consentito il motivo di ricorso che deduca la violazione di norme della Costituzione o della Convenzione EDU (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, in motivazione, pp. 30-31; Sez. 4, n. 22595 del
17/04/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 4944 del 03/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282778 – 01; Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279059 – 01; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261551 – 01).
La violazione di norme della Costituzione non è infatti prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen., e pertanto può solo costituire fondamento di questione di legittimità costituzionale, nel caso di specie non proposta.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi con riguardo alla dedotta violazione di disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a sua volta proponibile in ricorso unicamente a sostegno di una questione di costituzionalità di una norma interna, poiché le norme della Convenzione EDU, così come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, rivestono il rango di fonti interposte, integratrici del precetto di cui all’art. 117, comma 1, Cost. (sempre che siano conformi alla Costituzione e siano compatibili con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti).
Deve, pertanto, ritenersi non consentito il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduca la violazione di norme della Costituzione o della Convenzione EDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale, che nel caso in esame non risulta proposta.
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 18 febbraio 2025