Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24410 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24410 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 02/10/1976
avverso l’ordinanza del 30/12/2024 del TRIBUNALE di ROMA
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, con le conseguenze di legge.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, ha rigettato l’opposizione proposta avverso il decreto c on il quale era stata dichiarata inammissibile l’istanza di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, formulata nell’interesse di NOME nell’ambito del procedimento n. 834/2023 RGNR, per mancata allegazione alla stessa di un valido documento di identità dell’istante. In particolare, quel giudice, rigettate le eccezioni preliminari proposte dal Ministero della Giustizia e dall’Agenza delle Entrate, ha ritenuto il deposito di un documento di identità valido condizione necessaria perché il giudice possa valutare la legittimazione del soggetto, quale persona effettivamente non abbiente, stante la situazione di incertezza circa le generalità dell’istante, mai identificato a mezzo di documento d’identità, ma solo attraverso rilievi dattiloscopici, in seguito ai quali gli è stato attribuito un codice ‘CUI’, necessario e sufficiente solo ai fini della pronuncia di un’ordinanza o sentenza e della loro esecuzione.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso il difensore del COGNOME formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge per essere stato il provvedimento impugnato emesso da un giudice diverso da quello naturale, individuato nel Presidente del Tribunale, in base al disposto di cui all’art. 99 d.P.R. n. 115/2002.
Con il secondo, ha dedotto analogo vizio quanto alla affermazione che l’ allegazione del documento di identità costituisce requisito di ammissibilità dell’istanza di ammissione al beneficio, ciò non essendo previsto dall’art. 79 del d.P.R. n. 115/2002. Sotto altro profilo, la difesa ha rilevato che il COGNOME era detenuto e aveva presentato la domanda tramite il carcere, non disponendo di alcun documento durante la detenzione, la sua identità risultando tramite l’assegnato ‘CUI’ . In tal modo, il giudice avrebbe tradito lo scopo della previsione normativa, quello cioè di assicurare un effettivo diritto di difesa, come previsto dall’art. 24 della Costituzione. Declinare, infatti, l’istituto come beneficio limitato alle persone identificate con i documenti implicherebbe la compressione indebita del diritto di difesa, lasciando fuori dal perimetro di applicazione di esso proprio gli ultimi o coloro che, come il COGNOME, sono senza fissa dimora, emarginati e provenienti da luoghi critici (nella specie, secondo quanto precisato alla pag. 5 del ricorso, l’Iraq), sovente anche privi di docu menti.
Inoltre , la difesa ha rilevato che l’accertamento ai sensi dell’art. 78 d.P.R. n. 115/2002 è limitato alla sussistenza delle condizioni reddituali di cui all’art. 76 stesso d.P.R. e alla insussistenza di condizioni ostative, salvi restando, peraltro, i controlli successivamente esperibili, tema però estraneo a quello in esame. Nella specie, era stato prodotto un assegno postale con il quale l’amministrazione
penitenziaria aveva saldato un credito del COGNOME, documento munito degli elementi di cui all’art. 4 d.P.R. n. 605/1973 che surrog herebbero l’indicazione del codice fiscale per gli stranieri e sarebbe sufficiente a rendere ammissibile la richiesta.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, con le conseguenze di legge.
L’Avvocatura generale dello Stato, per l’Agenzia delle Entrate e il Ministero della Giustizia, ha depositato memoria, con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o, comunque, il rigetto del ricorso, con vittoria di spese, diritti e onorari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Vanno operate due premesse in diritto, in risposta ai temi devoluti dall’Avvocatura nella sua memoria, rilevandosi, in ogni caso e risolutivamente, che gli stessi non hanno costituito oggetto di apposito ricorso per cassazione.
Intanto, deve essere precisato che il difensore è legittimato in via autonoma a proporre opposizione avverso il decreto di inammissibilità o rigetto dell’istanza per l’ammissione al beneficio dell’imputato (Sez. 4, n. 13230 del 27/01/2022, COGNOME, Rv. 283018 -01; n. 48793 del 09/10/2019, COGNOME, Rv. 277420 -01; Sez. U, n. 30181 del 24/05/2004, COGNOME, Rv. 228118 -01).
Inoltre, va ricordato che, nel procedimento per ricorso in opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al beneficio, l’erronea individuazione del legittimato passivo (nella specie, il Ministero della Giustizia in luogo del Ministero dell’Economia e delle Finanze) non determina la mancata instaurazione del rapporto processuale, ma una mera irregolarità, sanabile con la rinnovazione dell’atto nei confronti della Amministrazione legittimata indicata dal giudice, mediante la costituzione in giudizio di quest’ultima, ove non siano sollevate dalla stessa eccezioni al riguardo o, ancora, con la mancata deduzione di uno specifico motivo d’impugnazione (Sez. 4, n. 44913 del 12/10/2023, COGNOME, Rv. 285326 -01).
3. Il primo motivo è generico.
L a difesa non erra allorquando afferma che la competenza fissata dall’art. 99 d.P.R. n. 115/2002 è di tipo funzionale, essendo pacifico il principio che essa spetta al presidente del tribunale o della cor te d’appello ai quali appartiene il
magistrato che ha emesso il decreto opposto (Sez. 4, n. 37519 del 03/05/2017, COGNOME, Rv. 270851 -01). Tuttavia, nella specie, la censura è rimasta a livello di mero enunciato generico: a fronte di una decisione assunta da un giudice monocratico, infatti, il deducente non ha allegato che, nel caso all’esame, detto giudice fosse sprovvisto di apposita delega da parte del capo dell’ufficio di appartenenza.
Anche il secondo motivo non è specifico ed è parimenti inammissibile.
Precisato che il ricorso avverso un provvedimento emesso ai sensi dell’art. 99 citato può essere proposto solo per violazione di legge, stante il chiaro tenore del comma 4 della norma richiamata e che in detto vizio rientra la mancanza di motivazione, ma non la congruità delle valutazioni operate dal giudice (Sez. 4, n. 22637 del 21/03/2017, COGNOME, Rv. 270000 -01; n. 16908 del 07/02/2012, grando, Rv. 252372 -01), deve premettersi, in via generale, quanto ai riferimenti normativi, che, ai sensi dell ‘ar t. 79 comma 2, d.P.R. 115/2002, l’istanza di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato è inammissibile in tutti i casi in cui difettino i requisiti elencati alle lett. a), b), c) e d) del comma 1 della stessa norma, laddove il comma 2 prevede, per i redditi prodotti all’estero, che «il cittadino di s tati non appartenenti all’Unione europea correda l’istanza con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato». Il successivo comma 3, inoltre, stabilisce per tutti gli interessati che essi, nel caso in cui il giudice procedente o il consiglio dell’ordine degli avvocati competente a provvedere in via anticipata lo richiedano, «…sono tenuti, a pena d’inammissibilità dell’istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto in essa indicato».
L’art. 94 dello stesso d.P.R., poi, disciplina le ipotesi di impossibilità per tutti gli interessati (comma 1, con riferimento all’art. 79 comma 3) e per i cittadini di stati non appartenente all’Unione Europea (comma 2, con riferimento all’art. 79 comma 2), a presentare la documentazione necessaria ai fini della verifica della veridicità, prevedendo uno strumento equipollente, vale a dire, la dichiarazione sostitutiva della certificazione da parte dell’interessato, stabilendo al comma 3, per il caso di cittadini non appartenenti a uno stato dell’Unione Euro pea che siano detenuti o custoditi in luogo di cura, che la certificazione consolare possa essere prodotta, entro il termi ne di giorni venti dalla presentazione dell’istanza, anche dal difensore o da un componente della famiglia dell’interessato.
Da ciò risulta che, quando chiede di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato ai sensi degli artt. 78 e 79 d.P.R. n. 115/2002, anche lo straniero ha un potere di autocertificazione. L’estensione allo straniero del trattamento previsto per il cittadino (art. 90 d.P.R. n.115/2002) ha reso necessaria una apposita disciplina che garantisca parità di trattamento a colui che per ragioni
oggettive, si trovi nell’impossibilità di documentare altrimenti la propria situazione reddituale. La dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall’art. 94, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 si aggiunge a quella prevista dall’art. 79, comma 1, lett. c), pur rappresentandone in un certo senso la replica, ed è ovviamente collegata alla impossibilità di produrre la certificazione consolare. Il legislatore, infatti, ha avvertito la necessità di inserire un correttivo che permetta di superare l’ostacolo creato dalla condotta omissiva, o in generale non collaborativa, dell’autorità consolare, con l’evidente obiettivo di garantire un accesso effettivo alla tutela giurisdizionale (Sez. 4, n. 46172 del 09/12/2021, COGNOME, Rv. 282553 -01, in motivazione).
Ne discende che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato dello straniero non appartenente all’Unione europea può essere negata solo ove ricorrano ragioni fondate per dubitare della certezza della sua identità, non essendo a tal fine sufficiente che vi sia incertezza sui dati anagrafici riportati sul documento d’identità ottenuto in base a permesso di soggiorno per motivi umanitari, a sua volta rilasciato grazie a dati riferiti dallo straniero medesimo (Sez. 4, n. 46172 del 09/12/2021, Camara, Rv. 282553 -01, cit.). Trattasi, invero, di principio consolidato, più volte ribadito, pur nella diversità dei casi esaminati, dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 22912 del 24/03/2004, Chanaf, Rv. 228789 -01; n. 11792 del 10/02/2009, COGNOME, Rv. 243204 -01, in ipotesi in cui in cui l’incertezza era stata riferita ai precedenti dattiloscopici dell’istante, dai quali emergevano diverse generalità, e al fatto che il medesimo aveva fornito false dichiarazioni in ordine al suo domicilio; n. 58397 del 17/10/2018, Ousainou, Rv. 274954 -01, in fattispecie in cui l’incertezza riguardava la nazionalità dell’instante, in quanto il Consolato dello Stato non appartenente all’Unione europea, su richiesta dell’autorità giudiziaria competente, aveva comunicato di non essere in grado di confermare la nazionalità dichiarata dal richiedente il beneficio).
Nella specie, la difesa ha censurato il percorso giustificativo articolato dal giudice: questi, infatti, non ha affermato sic et simpliciter che la mancata allegazione della carta d’identità o altro documento equipollente determina ipso facto l’inammissibilità dell’istanza di ammissione al beneficio, ma ha ritenuto, con valutazione insindacabile in questa sede, stante il limite dei motivi deducibili posto dall’art. 99, comma 4 cit., che non vi era possibilità di accertare l’identità anagrafica del soggetto, ritenendo la non equipollenza d el ‘CUI’ , mediante il quale il COGNOME era stato iscritto alla matricola del carcere, esso non consentendo di avere contezza della sua identità anagrafica.
Né la parte (e in ciò risiede la aspecifictà del ricorso) ha allegato di avere prodotto documentazione equipollente al docueme nto d’identità o che attestasse comunque generalità attribuite dall’autorità al COGNOME, tale non potendosi
considerare di per sé il richiamo a un assegno postale indirizzatogli dall’amministrazione penitenziaria.
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
7. La richiesta di rifusione delle spese formulata dall’Avvocatura generale dello Stato con la memoria depositata nell’interesse dell’Amministrazione non può trovare accoglimento. Tali conclusioni non conseguono alla constatazione che la liquidazione delle spese in favore dell’ Aministrazione è stata negata nel provvedimento impugnato e contro questo punto della decisione non è stato proposto ricorso; ma da valutazioni di ordine sistematico che rendono necessario precisare (e rettificare in parte) il percorso argomentativo seguito dal Giudice dell’opposizione.
In tema di patrocinio a spese dello Stato, il rinvio al processo “speciale” per gli onorari di avvocato di cui all’art. 99, comma 3, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non esclude, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 14 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 e del richiamo in esso previsto alla disciplina del rito sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis e segg. cod. proc. civ., che al procedimento di opposizione avverso il rigetto dell’istanza di ammissione al beneficio si applichino le previsioni degli artt. 76 e segg. d.P.R. n. 115 del 2002, che, a loro volta, devono essere coordinate, per le fasi non espressamente disciplinate, con le disposizioni generali relative al processo penale principale (Sez. 4, n. 29385 del 26/05/2022, COGNOME, Rv. 283424 -01; n. 9459 del 06/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287549 – 01), stante il carattere accessorio della controversia rispetto al processo penale (Sez. 4, n. 1223 del 16/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274908 -01).
Si tratta, a ben vedere, di principi che rinviano a un diritto vivente ancora attuale per il quale «…gli elementi di specialità … , caratterizzanti il procedimento per l’ammissione al patrocinio a carico dello Stato, consentono … di qualificare quest’ultimo come un procedimento collaterale e secondario rispetto al rapporto processuale penale principale, di cui è indiscutibilmente una procedura accessoria, intesa a garantire la difesa del soggetto nel giudizio penale di cognizione ordinaria. Dal che discende che tale sub-procedimento va necessariamente coordinato, per le fasi non specificamente disciplinate, con le disposizioni generali previste dall’ordinamento per il procedimento principale con il quale si trova in rapporto di incidentalità, e cioè con la disciplina del processo penale di cui agli artt. 568 e segg. cod. proc. pen. … P er completezza di argomentazione, ed al fine di una sistematica regolamentazione dell’istituto, va detto che la normativa processuale penalistica va applicata evidentemente anche
alle parti del processo diverse dall’imputato (indagato o condannato), che intendono avvalersi del patrocinio a spese dello Stato (art. 74 D.P.R. 115/2002: persona offesa dal reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria)» .
Tali principi sono stati anche successivamente ripresi e approfonditi.
In particolare, la stessa giurisprudenza civile di legittimità ha ritenuto il non luogo a provvedere sulle spese nel caso di ammissione al beneficio, anche ove essa sia conseguita alla favorevole conclusione del giudizio impugnatorio ai sensi dell’art. 99 d.P.R. n. 115/2002: in tal caso, il giudice non può condannare lo Stato a pagare le spese del procedimento in virtù del principio di soccombenza come se si trattasse di una normale causa di cognizione, dovendosi considerare la portata dell’art. 75 d.P.R. n. 115/2002 (in base al quale, si ricorda, l’ammissione al beneficio è valida per ogni grado e ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse). L ‘ammissione torna, infatti, a produrre sin dall’origine i relativi effetti, tra cui anche quelli della necessità di dover liquidare il compenso per l’attività prestata dal difensore della parte aspirante al beneficio, anche nel giudizio di opposizione, mettendo fuori gioco per tale giudizio le norme degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. (invece suscettibili di piena applicazione nel procedimento di cui all’art. 82 e alla relativa opposizione, in cui si dibatte del credito dello stesso difensore per la prestazione professionale svolta) .
Da quanto precede, si ricava la conferma, a contrario , del principio secondo cui le spese processuali sono regolate dalle norme del codice di rito penale quanto alla inversa ipotesi di rigetto dell’opposizione (e, dunque, di non ammissione al beneficio), come nel caso all’esame, nel quale la veste dell’Amministrazione costituitasi è quella di una parte necessaria che, tuttavia, non è annoverabile tra i soggetti in favore dei quali può essere riconosciuta la rifusione delle spese nel processo penale a norma dell’ art. 541 cod. proc. pen.
Trattasi, peraltro, di conclusione del tutto in linea con la natura e, soprattutto, la finalità dell’istituto del quale si discute , da individuarsi nella cornice costituzionale. Come di recente questa stessa Sezione Quarta ha avuto modo di precisare, in maniera qui condivisa, «… l’intero procedimento predisposto per la concessione del beneficio, in quanto strettamente connesso con il canone dell’effettività della difesa e quindi del giusto processo, impone l’adozione di procedure la cui elasticità consenta, in ogni momento e sino alla decisione, di provare la sussistenza dei requisiti di ammissione, in modo da evitare ogni frustrazione dell’utile esercizio del diritto di difendersi nel processo», trattandosi di un «procedimento il cui oggetto è predefinito ed in cui le modalità di accertamento sono largamente prestabilite dalla legge, nel quale, tuttavia,
l’obiettivo non è quello di decidere su una controversia fra parti contrapposte, ma esclusivamente quello di verificare la sussistenza dei presupposti di non abbienza, per ottenere la concessione del patrocinio a spese dello Stato» (Sez. 4, n. 29385 del 26/05/2022, COGNOME, Rv. 283424 -01, cit., in motivazione).
Del resto, è lo stesso giudice delle leggi ad ammonirci, quanto alla necessità di rendere effettivo il diritto di difesa al quale è strumentale il beneficio di che trattasi , presidiato dall’art. 24, comma 3, Cost. A tal proposito, la Corte costituzionale ha precisato che vanno assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, sì da garantire a coloro che non sono in grado di sopportare il costo di un processo «l’effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma del medesimo art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile» (con richiamo alle sentenze n. 80 del 2020, n. 178 del 2017, n. 101 del 2012, n. 139 del 2010; ordinanza n. 458 del 2002 e sentenza n. 157 del 2021) . Effettività che sarebbe fortemente incrinata ove si ritenesse che il procedimento finalizzato alla verifica dei presupposti di accesso al beneficio sia regolato da un principio di soccombenza tra i soggetti, necessari contraddittori, estraneo al sistema processuale di riferimento.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Nulla sulle spese di lite.
Deciso il 24 giugno 2025.
La Consigliera est. NOME COGNOME
La Presidente NOME COGNOME