Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2402 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2402 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato a LUINO il 03/08/1973
avverso l’ordinanza del 03/10/2024 del GIP TRIBUNALE di AVELLINO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, che chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria depositata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Avellino – Ufficio del giudice per le indagini preliminari – ha rigettato il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso il decreto emesso il 15/06/2022, con il quale il GIP presso lo stesso Tribunale aveva rigettato la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato formulata nell’ambito del procedimento n.7441/2019 RGNR.
Il Tribunale ha esposto che, in sede di istanza, il COGNOME aveva dichiarato di percepire un reddito pari a C 7.970,00 annui ma che, a fini della determinazione del reddito rilevante nella presente sede, occorreva anche tenere conto delle entrate di carattere illecito e che, nel caso di specie, l’istanza era stata legittimamente rigettata essendo emersa la stabile dedizione del ricorrente a reati in materia di stupefacenti appartenenti alle tabelle I e III allegate dal d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, citando sul punto due sentenze divenute definitive e riferite all’anno 2020, oggetto dell’autocertificazione allegata all’istanza; ha quindi ritenuto di confermare il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto la nullità dell’ordinanza per violazione degli artt. 76, 79, 91, 96 e 99 del Testo unico in materia di spese di giustizia (TUSG) nonché la mancanza o comunque la illogicità della motivazione e la violazione del principio di non colpevolezza e del divieto di reformatio in peius.
Ha premesso che il ricorso avverso l’originario decreto emesso dal GIP si fondava: sull’errore nell’individuazione del reddito, basandosi lo stesso sul 2020 quando doveva invece considerarsi il 2021; sulla violazione del principio di presunzione di innocenza, basandosi il provvedimento su precedenti ancora nella fase delle indagini preliminari; sulla mancanza di motivazione del decreto, in ordine all’effettiva sussistenza di redditi illeciti.
Ha quindi dedotto che il giudice di secondo grado aveva fatto riferimento a sentenze sopravvenute rispetto all’istanza, dando sostanzialmente luogo a un rigetto autonomo fondato su ragioni diverse rispetto a quelle sottese al decreto impugnato, in tal modo violando il principio devolutivo per effetto
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dell’introduzione di elementi diversi e ulteriori rispetto a quelli valutati dal giudice di prime cure.
Con il secondo motivo, ha dedotto la nullità dell’ordinanza per violazione degli artt. 76, 79, 91, 96 e 99 del TUSG, nonché la nullità dell’ordinanza per mancante ovvero omessa o comunque illogica motivazione.
Ha dedotto che doveva considerarsi non sostenibile che il giudice avesse ritenuto esistente una disponibilità di denaro antecedente in ragione di condanne sopravvenute rispetto all’istanza, il tutto senza avvalersi degli specifici strumenti di verifica previsti dagli artt. 96 e 98 TUSG; ritenendo illogico che due modeste cessioni di stupefacente, relative all’anno anteriore a quello oggetto dell’istanza, potessero qualificarsi come specifici elementi fattuali tali da far ritenere il superamento del limite di legge.
Con il terzo motivo ha dedotto la nullità dell’ordinanza per violazione degli artt. 76, 79, 91, 96 e 99 TUSG nonché la mancanza, omissione o comunque illogicità della motivazione.
Ha dedotto che le condanne sopravvenute rispetto alla data della domanda non potessero considerarsi una valida base giuridica per presupporre che il richiedente disponesse di redditi illeciti al momento dell’istanza, essendo tale dato stato ricavato sulla base di mere presunzioni non avvalorate dall’esercizio dei poteri istruttori conferiti dall’art.98 TUSG; deducendo che la motivazione si basava esclusivamente su presunzioni semplici riguardanti l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti, peraltro di limitato valore economico.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Va pregiudizialmente sottolineato che – in considerazione delle precedenti condanne definitive da cui risulta gravato l’odierno ricorrente (emesse ai sensi dell’art.73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309) – non si verte nella specifica causa di esclusione dall’applicazione del beneficio prevista dall’art.76, comma 4bis, TUSG, relativa ai «soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi
dell’articolo 80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, e per i reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto».
Sempre in via logicamente pregiudiziale – e in riferimento a deduzione contenuta nel ricorso (a propria volta richiamante il contenuto del ricorso presentato contro il provvedimento del GIP ai sensi dell’art.99 del TUSG) va sottolineato che deve ritenersi corretto il riferimento, operato dal giudice procedente e in relazione a istanza presentata nell’anno 2022, ai redditi percepiti nel corso dell’anno 2020, tanto in considerazione dell’epoca di presentazione della richiesta e del successivo provvedimento di rigetto (15/06/2022).
A tale proposito, va difatti operato riferimento alla giurisprudenza di questa Sezione – a propria volta risolutiva di un precedente contrasto interno – in base alla quale, in tema di patrocinio a spese dello Stato, l’ultima dichiarazione, cui si deve fare riferimento per l’individuazione del reddito rilevante al fine dell’ammissione al beneficio ex art. 76 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, è quella rispetto alla quale, al momento del deposito dell’istanza, è scaduto il termine per la presentazione, salvo che il richiedente, pur se il termine non è ancora decorso (e come non risultante nel caso di specie), abbia presentato la dichiarazione, dovendosi, in tal caso, fare riferimento ad essa (Sez. 4, n. 16875 del 12/03/2024, COGNOME, Rv. 286177; Sez. 4, n. 39182 del 09/05/2024, COGNOME, Rv. 287073).
Il primo motivo di ricorso, attinente alla dedotta violazione del principio del divieto di reformatio in peius da parte del giudice dell’opposizione, è fondato.
Difatti, secondo l’orientamento più recente, ribadito in successive pronunce di questa Sezione, il ricorso promosso ai sensi dell’art. 99 del d.P.R. n. 115 del 2002, ha natura di mezzo dì impugnazione e, in quanto tale, è soggetto al principio devolutivo.
Si è invero affermato che: «pur costituendo l’opposizione ex art. 99 un rimedio straordinario ed atipico, non si può dubitare che esso debba essere catalogato nell’area degli strumenti impugnatori, con i quali – cioè – si fa valere una censura avverso un atto decisorio; con la conseguenza che sono applicabili i principi dell’ordinamento processuale penale in tema di effetto
devolutivo e di divieto di reformatio in peius» (così, in motivazione, Sez. 4, n. 12491 del 02/03/2011, Rv. 250134; in senso conforme, Sez. 4, n. 18697 del 21/03/2018, COGNOME, Rv. 273254).
Tale approdo giurisprudenziale, seguito ad una iniziale oscillazione degli orientamenti della Corte di legittimità, trova la sua ratio, esplicitata nella motivazione delle citate pronunce, nella constatazione che, nell’ambito delle controversie aventi ad oggetto l’ammissione al diritto alla difesa gratuita, pur non difettando un profilo di carattere patrimoniale, acquista innegabile peso la circostanza che il diritto di cui si discute si riverbera sull’effettivo esercizio del diritto di difesa nel processo penale.
In tale ambito, quindi, appare razionale e conforme ai principi dell’ordinamento ritenere che, dato il carattere accessorio della controversia rispetto al processo penale, debbano trovare applicazione, fin dove è possibile, i principi e le regole dell’ordinamento penale.
Si è pertanto affermato il principio per cui è illegittimo il rigetto dell’opposizione al diniego di ammissione al patrocinio a spese dello stato per motivi diversi da quelli ritenuti dal primo giudice, poiché l’opposizione è uno strumento impugnatorio, come tale regolato dai principi dell’ordinamento processuale penale in tema di effetto devolutivo e divieto di reformatio in peius.
Va quindi rilevato, nel caso in esame, che il GIP aveva negato l’ammissione al beneficio sulla base della presumibile sussistenza di proventi illeciti riferibili all’attività di cessione di cocaina desunti dagli stessi atti indagine attinenti al procedimento al cui interno era stata chiesta l’ammissione medesima.
Di contro, il giudice dell’opposizione – a fronte delle contestazioni contenute nei motivi di ricorso – ha fatto riferimento al perfezionamento di due distinti episodi accertati nell’anno 2020 e posti all’origine di due condanne definitive per il reato previsto dall’art.73, T.U. stup., elementi dai quali si sarebbe dovuto desumere un presumibile superamento della soglia di reddito consentita per l’ammissione.
Si deve quindi ritenere che il provvedimento reso in opposizione non abbia offerto risposta alle doglianze difensive dedotte con l’atto oppositivo, introducendo una diversa e non consentita motivazione.
Il secondo motivo censura una carenza argomentativa in capo all’ordinanza impugnata, derivante dalla deduzione – ricavata dalle precedenti condanne per reati in materia di stupefacenti in ordine
all’incidenza delle medesime sul superamento del limite massimo di reddito previsto per l’ammissione al beneficio.
Mentre il terzo motivo attiene alla dedotta violazione, da parte del giudice dell’opposizione, della valutazione dei limiti di reddito complessivi, asseritamente fondata su un mero ragionamento congetturale, dato anche il mancato esercizio dei poteri istruttori previsti dall’art.98 del TUSG.
Fermo restando quanto argomentato in ordine al primo motivo di doglianza, anche tali censure – unitariamente esaminabili per la loro stretta connessione logica – sono fondate.
Sulla base della costante giurisprudenza di questa Sezione, ai fini della valutazione del rispetto dei limiti di reddito previsti dall’art.76 del TUSG, assumono eventuale rilevanza anche i redditi provenienti da attività illecite, la cui sussistenza – a propria volta – può essere accertata mediante l’utilizzo di presunzioni semplici e quindi comunque munite, ai sensi dell’art.2729 cod.civ., degli attributi di gravità, precisione e concordanza, purché fondate su concreti elementi di fatto idonei a determinare il superamento di detto limite e di cui il giudice ha il puntuale obbligo di dare conto nella motivazione; principio nell’ambito del quale si inserisce l’ulteriore corollario in forza del quale la sussistenza del dato positivo del superamento del limite non può essere dedotta sulla sola base dei precedenti penali del richiedente (cfr. Sez. 4, n. 53387 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268688; Sez. 4, n. 44900 del 18/09/2018, COGNOME, Rv. 274271; Sez. 4, n. 13080 del 08/03/2023, COGNOME, Rv. 284366) e né, tanto meno, sulla base di sole condanne non ancora definitive (Sez.4, n.18591 del 20/02/2013, COGNOME, RV. 255228; Sez. 4, n. 8532 del 17/02/2022, COGNOME, Rv. 282762).
Specificamente, come rilevato nella pronuncia da ultimo citata, l’utilizzo delle presunzioni attribuisce al giudice un ampio potere discrezionale; difatti, con tale norma il legislatore rimette alla «prudenza» del giudice il compito di risalire da un fatto noto al fatto ignorato, potendosene desumere per il giudicante l’obbligo di argomentare con attenzione il percorso logico seguito. Nel contesto normativo in cui ci si colloca, il fatto ignoto al quale il giudizio presuntivo deve condurre è il superamento di un limite-soglia reddituale predeterminato in termini monetari dal legislatore.
Risulta, quindi, ineludibile l’indicazione dell’intero percorso logicoargomentativo seguito dal giudice di merito per giungere, secondo il suo prudente apprezzamento, dall’accertata presenza di precedenti penali per reati contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio (fatto noto) all’accertamento del predetto superamento del limite reddituale (fatto ignorato).
Nel caso in esame, quindi, la motivazione del giudice dell’opposizione va ritenuta complessivamente apodittica; in quanto la stessa, pure enumerando i due precedenti penali e il lucro complessivamente derivante dalla comprovata attività di traffico di stupefacenti (specificamente indicato in C 200,00 quanto al primo episodio, mentre il secondo episodio si riferiva alla sola condotta di detenzione), non ha adeguatamente indicato gli elementi concretamente presuntivi dai quali dedurre la sussistenza dell’effettivo tenore di vita del richiedente e il conseguente superamento del limite-soglia alla luce delle concreta situazione economica del medesimo.
Sulla base di tali considerazioni, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Presidente del Tribunale di Avellino per nuovo giudizio da condurre sulla base dei predetti principi.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Presidente del Tribunale di Avellino per nuovo giudizio.
Così deciso il 9 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
La Presidente