Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25525 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25525 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catanzaro il 30/01/1978
avverso l’ordinanza emessa in data 10/04/2025 dal Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di annullare, con o senza rinvio, l’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catanzaro ha dichiarato inammissibile l’appello proposto ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. da NOME COGNOME in quanto la misura cautelare aveva cessato la sua efficacia, essendo stato l’imputato medio tempore assolto dai reati al medesimo ascritti.
L’avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME, ha proposto ricorso avverso questo provvedimento e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, il .difensore ha censurato l’inosservanza dell’art. 591, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 589, 98 cod. proc. pen. e all’art. 74 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
La declaratoria di inammissibilità dell’appello cautelare, infatti, potrebbe essere pronunciata solo a seguito della rinuncia all’impugnazione, che nel caso di specie non vi era stata.
Ad avviso del difensore, il Tribunale, in seguito dell’assoluzione dell’imputato nel giudizio di merito, avrebbe dovuto adottare un provvedimento di non luogo a provvedere e non già dichiarare l’inammissibilità dell’appello.
Questa pronuncia, infatti, precluderebbe al difensore dell’imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato la possibilità di ottenere la liquidazione dei compensi maturati, secondo quanto disposto dall’art. 106 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
2.2. Il difensore, con il secondo motivo, ha dedotto che la preclusione alla possibilità di ottenere la liquidazione del proprio compenso comporterebbe la violazione dell’art. 3 Cost. e del principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e, con il terzo motivo, ha eccepito che questa preclusione determinerebbe anche la violazione dell’art. 24 Cost., che garantisce l’inviolabilità del diritto difesa in ogni stato e grado del giudizio e il diritto di difesa dei non abbienti.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 28 maggio 2025, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di annullare, con o senza rinvio, l’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Con i motivi proposti il difensore ha congiuntamente censurato l’inosservanza dell’art. 591, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 589, 98 cod. proc. pen. e all’art. 74 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in quanto la declaratoria di inammissibilità dell’atto di appello cautelare precluderebbe la liquidazione dei propri compensi quale difensore di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
Questa preclusione lederebbe il principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, l’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del giudizio diritto di difesa dei non abbienti.
Deve, in via preliminare, essere rilevato come il ricorrente sia privo di interesse a impugnare, in quanto il difensore non ha dedotto alcun interesse del proprio assistito, concreto e attuale alla modifica della formula del dispositivo dell’ordinanza impugnata.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, del resto, in tema di impugnazione, anche in ambito cautelare trova applicazione la regola generale di cui all’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., secondo cui per proporre ricorso il soggetto legittimato deve essere portatore di un interesse concreto ed attuale, che deve persistere fino al momento della decisione e che va apprezzato con riferimento all’idoneità dell’esito finale del giudizio ad eliminare la situazione giuridica denunciata come illegittima o pregiudizievole per la parte (Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, COGNOME, Rv. 206169; Sez. 2, n. 4974 del 17/01/2017, COGNOME, Rv. 268990).
Il difensore ha, invero, proposto il ricorso a tutela di un interesse proprio e non già dell’imputato, ritenendo che la declaratoria di inammissibilità dell’appello gli precluda la possibilità di ottenere la liquidazione del proprio compenso
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, stante il loro comune fondamento giuridico, sono, peraltro, manifestamente infondati.
4.1. Il Tribunale di Catanzaro ha legittimamente dichiarato l’inammissibilità dell’appello cautelare a seguito della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Catanzaro in data 30 gennaio 2025 nei confronti di NOME COGNOME «dai reati a lui ascritti ai capi B) per non aver commesso il fatto, nonché ai capi B8), B11) e B14) perché il fatto non sussiste».
Il Tribunale di Catanzaro, infatti, quale conseguenza dell’assoluzione dell’imputato, ha dichiarato, ai sensi dell’art. 300, comma 1, cod. proc. pen., la perdita di efficacia della misura cautelare nei confronti del ricorrente e ne ha disposto l’immediata liberazione, se non detenuto per altra causa.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di impugnazione de libertate, è inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, l’appello proposto dal prevenuto avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale qualora l’ordinanza cautelare genetica sia stata, nelle more, annullata, in quanto l’impugnazione presuppone la perdurante efficacia dell’ordinanza originaria, salvo che egli, personalmente, non abbia manifestato, e debitamente motivato, che intende servirsi dell’eventuale pronuncia favorevole ai
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fini della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione (Sez. 6, n. 49861 del 02/10/2018, Procopio, Rv. 274311 – 01; Sez. 6, n. 24558 del 30/03/2017, Leone e altro, Rv. 270674; Sez. 6, n. 26318 del 11/05/2017, Papa, Rv. 270283).
Il venir meno dell’interesse alla decisione, sopraggiunto ·alla proposizione dell’impugnazione, dunque, determina l’inammissibilità della stessa (Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, COGNOME e altro, Rv. 208166).
4.2. La declaratoria di inammissibilità dell’appello per effetto della sopravvenuta assoluzione dell’imputato, peraltro, non preclude in alcun modo la liquidazione dei compensi al difensore dell’imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
L’art. 106, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», con riferimento alla liquidazione dei compensi per gli imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, sancisce, infatti, che «l compenso per le impugnazioni coltivate dalla parte non è liquidato se le stesse sono dichiarate inammissibili».
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 16 del 10 gennaio 2018, ha, tuttavia, dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art 106, d.P.R. n. 115 del 2002, sollevate, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, secondo e terzo comma, e 36 della Costituzione, nella parte in cui la disposizione censurata prevede che «il compenso al difensore di parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non viene liquidato qualora l’impugnazione venga dichiarata inammissibile, senza distinzione alcuna in merito alla causa d’inammissibilità».
In questa sentenza, la Corte costituzionale ha rilevato che la disposizione è diretta a impedire che vengano posti a carico della collettività i costi dei compensi per attività difensive superflue o irrilevanti e che, contrariamente all’assunto dal quale muoveva il giudice rimettente, «il tenore letterale dell’art. 106, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 non preclude affatto un’interpretazione che consenta di distinguere tra le cause che determinano l’inammissibilità dell’impugnazione, tenendo conto della ricordata ratio legis».
La Corte ha, dunque, rilevato, che «l’interpretazione basata sulla ratio legis conduce alla conclusione che l’art. 106, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 non ricomprende i casi in cui, come accade nel giudizio a quo, la ragione dell’inammissibilità risiede in una carenza d’interesse a ricorrere, sopravvenuta per ragioni del tutto imprevedibili al momento della proposizione del ricorso».
Sulla base di questa interpretazione teleologica, la Corte costituzionale ha, dunque, escluso l’incostituzionalità della disposizione censurata.
• La preclusione alla liquidazione censurata dal difensore è, dunque, insussistente nei casi in cui la dichiarazione di inammissibilità dell’appello cautelare
consegua alla sopravvenuta assoluzione dell’imputato.
5. Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, in conformità al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali.
Il ricorrente, tuttavia, in virtù delle statuizioni della sentenza della Cort costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, non deve essere condannato al
pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, in quanto non
«versa in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità».
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/06/2025.