Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38214 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38214 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a AVOLA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/02/2024 del TRIBUNALE di SIRACUSA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, in persona di NOME COGNOME, che ha chiesto una declaratoria d’inammissibilità;
RITENUTO IN FATTO
Con la pronuncia sopra indicata, il Tribunale di Siracusa, quale giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile la richiesta, presentata nell’interesse di NOME COGNOME, finalizzata – ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. – alla sospensione dell’esecutività della sentenza n. 447 del 13/02/2023 e contestuale restituzione nel termine al fine di proporre impugnazione per un’asserita nomina di un difensore di fiducia in sostituzione di quello d’ufficio già nominato che non sarebbe mai stata considerata nel corso del processo di cognizione per asserita non comunicazione da parte dell’Ufficio matricola dell’istituto carcerario ove il COGNOME era recluso.
In particolare, il Tribunale ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta poich reiterativa del medesimo motivo già presentato con istanza del 01 febbraio 2024 e decisa in data 15 febbraio 2024 per la tardività della richiesta rispetto al termine di dieci giorni dalla cessazione della causa di “forza maggiore o caso fortuito” che non avrebbe consentito al giudice del processo di venire a conoscenza dell’asserita nuova nomina del difensore di fiducia.
NOME COGNOME ricorre per cassazione, tramite rituale ministero difensivo, affidandosi a un unico motivo.
Con tale motivo, il difensore dell’interessato denuncia la violazione di legge in relazione agli artt. 666, comma 2, cod. proc. pen. per la mancata acquisizione del parere del pubblico ministero, ai fini della pronuncia del decreto di inammissibilità, citando il precedente di questa Corte rappresentato da Sez. 1, n. 42540 del 25/06/2018, Rv. 274025, secondo cui in tema di procedimento di esecuzione l’omessa acquisizione del parere del pubblico ministero nel caso di dichiarazione di inammissibilità “de plano” della richiesta, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., dà luogo a una nullità deducibile a iniziativa non soltanto del pubblico ministero, ma anche della parte privata. (In motivazione la Corte ha chiarito che l’acquisizione del parere, oltre a garantire il contraddittorio cartolare con l’organo titolare della potestà esecutiva, consente il confronto e il reciproco controllo ed è l’unico meccanismo attraverso il quale la parte privata può conoscere la posizione della controparte sul tema dedotto “in executivis” attraverso l’incidente proposto).
Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto una declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, quindi, meritevole di un rigetto.
Questo Collegio, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale rispetto al motivo dedotto, ritiene di dover dare continuità al filone contrari rispetto a quello rappresentato in ricorso il quale ha affermato che, in tema di procedimento di esecuzione, ove il decreto di inammissibilità della richiesta, di cui all’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., non sia stato preceduto dall’acquisizione del prescritto parere del pubblico ministero, sussiste una nullità a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., non deducibile dalla parte privata, ma solo da quella pubblica, posto che il pubblico ministero è l’unico ad avere un interesse concreto all’instaurazione del contraddittorio cartolare, alla cui realizzazione è finalizzata la sua audizione (in questo senso, Sez. 1, n. 34598 del 18/05/2023, Rv. 285242, e Sez. 3, n. 9167 del 19/11/2020, dep. 2021, Rv. 281595).
Questa Corte, infatti, su tale questione ha affermato che la mancata acquisizione del parere del pubblico ministero, prescritto dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., ai fini della pronuncia del decreto di inammissibilità in tema di incidente di esecuzione, determina una nullità a regime intermedio, a norma dell’art. 178, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per inosservanza delle norme concernenti la partecipazione dello stesso pubblico ministero al procedimento (già con Sez. 4, 29/111995, dep. 1996, Rv. 203574). Trattandosi proprio di una nullità a regime intermedio, tesa a garantire l’intervento della parte pubblica, la relativa eccezione deve provenire dalla stessa parte, difettando in capo alle altre l’interesse, e quindi la legittimazione (art. 182, comma 1, cod. proc. pen.), a dedurre il vizio di cui si tratta (in termini, Sez. 3, n. 9167 del 19/11/2020, de 2021, Rv. 281595-01; Sez. 1, n. 2420 del 03/04/2000, Rv. 216032); legittimazione che deve essere dunque negata in capo all’odierno ricorrente.
Diversamente, il filone giurisprudenziale opposto ha sostenuto che le conclusioni del pubblico ministero debbano essere comunque rese in funzione del corretto esercizio della giurisdizione esecutiva, e quindi anche nell’interesse del condannato, che sarebbe titolato a dolersi della loro assenza (Sez. 1, n. 22719 del 08/03/2023, Rv. 284550; Sez. 1, n. 42540 del 25/06/2018, Rv. 274025). Tale conclusione si fonda sul presupposto che la previa interlocuzione con il pubblico ministero rappresenti una garanzia necessaria del corretto esercizio della funzione giurisdizionale esecutiva. Tale presupposto non ha, tuttavia, un fondamento sistematico chiaramente riconoscibile come tale.
Secondo la linea ermeneutica ritenuta preferibile, infatti, nel procedimento penale il Pubblico ministero è l’organo titolare della potestà esecutiva e le sue determinazioni sono d’impulso rispetto al corso del procedimento stesso nonché, quanto alle richieste, deduzioni e contestazioni del condannato, egli deve essere sempre messo in condizioni di intervenire per contraddire e, se del caso, di
impugnare la decisione giudiziale ritenuta non condivisibile. Ciò non implica che l’eventuale lesione di tali prerogative debba essere tutelata in modo diverso rispetto ai fondamentali principi sistematico-processuali, che, ad eccezione dei casi di nullità assolute (come, ad esempio, ove fossero violate le norme in tema di iniziativa processuale), assoggetta a limiti più o meno ampi la deducibilità dei vizi processuali, rimettendo anzitutto alla stessa parte interessata, anche se trattasi della parte pubblica, la valutazione se farle rilevare o no. Un processo tipicamente di parti, quali quello attualmente vigente, non appare invero compatibile con la configurazione di un ruolo partecipativo del pubblico ministero, alla stregua di consulente pro ventate ac iustitia del giudice, di cui il sistema non possa tollerare in ogni caso l’assenza. La previa audizione del pubblico ministero, come previsto dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., stabilisce il contraddittorio cartolar sull’istanza della parte privata, sostituendo il contraddittorio orale tipico necessario dell’udienza camerale. Quest’ultima richiede, a pena di nullità, la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero, come stabilito dall’art. 666, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 12660 del 24/01/2019, Rv. 27499 01; Sez. 1, n. 35615 del 18/06/2013, Rv. 256799). Analogamente, in altri settori processuali dove il pubblico ministero ha un ruolo di iniziativa e partecipativo, come nel procedimento cautelare, la nullità dell’ordinanza ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen., adottata senza la preventiva richiesta del parere del pubblico ministero, può essere dedotta solo da quest’ultimo, essendo l’unico titolare dell’interesse protetto dalla norma (Sez. 1, n. 13408 del 08/01/2021, Rv. 281056; Sez. 6, n. 30422 del 22/06/2010, Rv. 248035).
In definitiva, solo il pubblico ministero ha un interesse concreto al rispetto delle norme che regolano la sua partecipazione al procedimento e all’instaurazione del contraddittorio cartolare, come previsto dall’art. 666, comma 2, cod, proc. pen.
Sulla base delle precedenti considerazioni deriva il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28/6/2024