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Ordine europeo di indagine: prova valida senza giudice?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33878/2024, ha respinto il ricorso di un indagato in custodia cautelare per reati di droga, le cui prove principali consistevano in messaggi da chat criptate. Tali prove erano state ottenute dalle autorità francesi e trasmesse all’Italia tramite un Ordine europeo di indagine. La Corte ha stabilito che per l’acquisizione di prove già in possesso di un’autorità giudiziaria di un altro Stato UE, non è necessaria una preventiva autorizzazione del giudice italiano. Si applica la disciplina sulla circolazione della prova e vige una presunzione di legittimità dell’operato dell’autorità straniera, salvo che la difesa fornisca prova concreta di una violazione dei diritti fondamentali.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordine Europeo di Indagine: La Prova da Chat Criptate Estere è Valida?

L’utilizzo di un Ordine europeo di indagine per acquisire prove digitali, come le conversazioni su chat criptate, è diventato un tema centrale nel diritto processuale penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 33878 del 2024) ha fornito chiarimenti fondamentali su questo strumento, stabilendo principi chiave sulla sua validità e sui limiti del controllo da parte del giudice italiano. Vediamo nel dettaglio il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una persona sottoposta a misura di custodia cautelare in carcere per gravi reati legati al traffico di stupefacenti. L’accusa si basava in larga parte su messaggi scambiati tramite un sistema di comunicazione criptato, i cui contenuti erano stati acquisiti e decifrati dalle autorità giudiziarie francesi nel corso di un’altra indagine. La Procura italiana, venuta a conoscenza di queste prove, ha emesso un Ordine europeo di indagine per ottenerne la trasmissione.

La difesa dell’indagato ha impugnato l’ordinanza cautelare, sollevando diverse questioni:
1. Inapplicabilità dell’art. 234-bis c.p.p., sostenendo che l’acquisizione di dati informatici all’estero avrebbe richiesto il consenso del titolare dei dati, non essendo avvenuta tramite rogatoria.
2. Inutilizzabilità della prova per l’impossibilità di verificare le modalità di acquisizione e decriptazione dei dati, violando il diritto di difesa.
3. Necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE per chiarire la conformità della prassi italiana con le direttive europee in materia di privacy e diritti fondamentali.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la piena legittimità dell’acquisizione probatoria e dell’ordinanza cautelare. La decisione si fonda sui principi stabiliti da due recenti e fondamentali sentenze delle Sezioni Unite (n. 23755 e 23756 del 2024), che hanno tracciato la linea guida in questa materia complessa.

Le Motivazioni: Regole Chiare per l’Ordine Europeo di Indagine

La sentenza analizza punto per punto le censure difensive, fornendo una motivazione articolata e di grande impatto pratico.

L’Ordine Europeo di Indagine non è l’Art. 234-bis c.p.p.

Il primo e fondamentale chiarimento della Corte è che l’Ordine europeo di indagine e l’acquisizione diretta di dati informatici all’estero (art. 234-bis c.p.p.) sono due istituti alternativi e incompatibili. L’art. 234-bis si applica quando l’autorità italiana acquisisce direttamente dati da un provider o un soggetto privato estero. L’OEI, invece, è uno strumento di cooperazione giudiziaria tra autorità statali.

Nel caso di specie, i dati non sono stati chiesti a un privato, ma a un’autorità giudiziaria (quella francese) che li aveva già legittimamente acquisiti. Pertanto, si applica la disciplina sulla “circolazione delle prove” (artt. 238 e 270 c.p.p.), non quella sull’acquisizione diretta.

Non Serve l’Autorizzazione Preventiva del Giudice

Una delle conclusioni più rilevanti è che il Pubblico Ministero italiano può emettere un OEI per ottenere prove già in possesso di un’altra autorità giudiziaria UE senza la preventiva autorizzazione di un giudice. Questo perché, in un caso puramente interno, il PM può chiedere la trasmissione di prove da un altro procedimento senza l’intervento del giudice. La Direttiva UE sull’OEI richiede che l’atto di indagine possa essere compiuto “alle stesse condizioni di un caso interno analogo”. Poiché la circolazione di prove già formate non richiede l’autorizzazione del giudice in Italia, non è richiesta neanche per ottenerle tramite OEI.

Il controllo del giudice avverrà in un momento successivo, quando il PM presenterà tali prove nel procedimento e ne chiederà l’utilizzo.

La Presunzione di Legittimità e l’Onere della Difesa

Tra gli Stati membri dell’UE vige un principio di reciproco affidamento. Si presume, fino a prova contraria, che l’attività investigativa svolta da un’autorità giudiziaria straniera sia avvenuta nel rispetto dei diritti fondamentali. Di conseguenza, non spetta al giudice italiano verificare d’ufficio la regolarità della procedura estera.

È onere della difesa, che eccepisce una violazione, allegare e provare in modo specifico e concreto i fatti da cui deriverebbe la lesione di un diritto fondamentale (ad esempio, che l’acquisizione originaria sia avvenuta senza alcun controllo giudiziario in Francia). Deduzioni generiche sulla presunta impossibilità di controllo non sono sufficienti a superare la presunzione di legittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza consolida un orientamento di fondamentale importanza per la lotta alla criminalità organizzata transnazionale. Le sue conclusioni pratiche sono chiare:

* L’Ordine europeo di indagine si conferma uno strumento agile ed efficace per l’acquisizione di prove digitali all’interno dell’UE, specialmente quando queste sono già state raccolte da un altro Stato membro.
* Viene rafforzato il ruolo del Pubblico Ministero, che può attivare questo strumento di cooperazione in autonomia, senza attendere un vaglio giudiziale preventivo, accelerando le indagini.
* Le difese che intendono contestare l’utilizzabilità di prove ottenute tramite OEI devono essere preparate a formulare censure precise, documentate e specifiche sulla violazione di diritti fondamentali avvenuta nello Stato di esecuzione, non potendosi limitare a contestazioni generiche sulla procedura.

È necessaria l’autorizzazione di un giudice italiano per acquisire, tramite Ordine Europeo di Indagine, prove già in possesso di un’autorità giudiziaria straniera?
No. Secondo la Corte, il Pubblico Ministero può emettere direttamente l’OEI senza autorizzazione preventiva del giudice, poiché si tratta di acquisire una prova già formata, applicando le regole sulla “circolazione delle prove”, che non prevedono tale autorizzazione in un caso analogo interno.

La normativa sull’acquisizione di dati informatici all’estero (art. 234-bis c.p.p.) si applica quando si utilizza un Ordine Europeo di Indagine?
No. La Corte ha chiarito che i due sistemi sono alternativi e incompatibili. L’art. 234-bis riguarda l’acquisizione diretta da soggetti privati all’estero, mentre l’OEI è uno strumento di cooperazione giudiziaria tra autorità statali per prove già in loro possesso.

La mancata disponibilità dell’algoritmo di decriptazione rende inutilizzabili le prove da chat criptate?
No, non automaticamente. La Corte, richiamando le Sezioni Unite, ha affermato che la non disponibilità dell’algoritmo non costituisce di per sé una violazione dei diritti fondamentali. Spetta alla difesa allegare e provare fatti specifici che indichino un’alterazione dei dati o una concreta lesione del diritto di difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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