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Ordine di esecuzione non tradotto: quando è valido?

La Corte di Cassazione ha stabilito che un ordine di esecuzione non tradotto notificato a un cittadino straniero è valido se dagli atti processuali pregressi risulta la sua capacità di comprendere la lingua italiana. Nel caso specifico, è stata respinta la richiesta di rescissione del giudicato presentata tardivamente, poiché la Corte ha ritenuto che il condannato fosse in grado di comprendere l’atto notificato e di agire tempestivamente, basandosi su verbali precedenti.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordine di Esecuzione Non Tradotto: La Cassazione Stabilisce i Limiti

La comprensione degli atti giudiziari è un pilastro fondamentale del diritto alla difesa. Ma cosa accade quando un ordine di esecuzione non tradotto viene notificato a un cittadino straniero? La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, n. 21146 del 2024, offre un chiarimento cruciale su questo tema, bilanciando il diritto alla comprensione linguistica con la valutazione concreta delle capacità del destinatario dell’atto.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’ordinanza della Corte di Appello di Milano, che aveva dichiarato inammissibile, perché presentata in ritardo, la domanda di rescissione del giudicato avanzata da un condannato. A quest’ultimo era stato notificato personalmente un ordine di esecuzione il 22 febbraio 2023. La domanda per impugnare il giudicato, tuttavia, veniva depositata solo il 6 giugno 2023, ben oltre i termini di legge.

La difesa del condannato sosteneva che il ritardo fosse giustificato dalla mancata traduzione dell’ordine di esecuzione. Essendo il proprio assistito un cittadino straniero, a dire della difesa, non avrebbe compreso il contenuto dell’atto e, di conseguenza, non sarebbe stato in grado di esercitare tempestivamente il suo diritto. La Corte di Appello, però, respingeva questa tesi, affermando che dagli atti del precedente giudizio di cognizione emergeva chiaramente che l’uomo comprendeva la lingua italiana.

L’obbligo di Traduzione e la Decisione della Cassazione sul caso di ordine di esecuzione non tradotto

La difesa ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge. Il punto centrale del ricorso era la contestazione della presunta “capacità” del condannato di comprendere l’italiano, ritenendo che la Corte d’Appello avesse preso una decisione senza effettuare una verifica concreta e attuale di tale conoscenza.

La Corte di Cassazione, pur riconoscendo il principio consolidato secondo cui l’ordine di esecuzione per un imputato alloglotta deve essere tradotto (pena la nullità dell’atto), ha dichiarato il ricorso infondato. La Suprema Corte ha specificato che la decisione impugnata non contraddiceva questo principio, ma si basava su una valutazione di fatto: la Corte di Appello aveva accertato, sulla base di prove documentali, la capacità effettiva del condannato di comprendere la lingua.

Le Motivazioni: La Prova della Conoscenza della Lingua

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nella validazione del metodo utilizzato dalla Corte territoriale per accertare la conoscenza della lingua italiana. I giudici di legittimità hanno chiarito che tale valutazione può legittimamente basarsi sugli atti già contenuti nel fascicolo processuale, come ad esempio il verbale di identificazione redatto durante la fase di cognizione.

Secondo la Corte, non è necessaria un’ulteriore e specifica verifica in contraddittorio se la difesa non fornisce elementi concreti per criticare o smentire quanto già risulta dai documenti processuali. In sostanza, se da atti precedenti emerge che l’imputato ha interagito con le autorità o ha reso dichiarazioni dimostrando di comprendere l’italiano, tale conoscenza si può presumere. Spetta quindi al ricorrente fornire prove contrarie e non limitarsi a una generica affermazione di incomprensione linguistica.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza traccia un confine importante per il diritto alla traduzione degli atti giudiziari. Se da un lato viene confermata la necessità di garantire la comprensione degli atti allo straniero alloglotta, dall’altro si stabilisce che tale diritto non può essere usato in modo pretestuoso. Le corti possono fare affidamento sulla documentazione pregressa per valutare la reale capacità linguistica del condannato. Per la difesa, ciò significa che non è sufficiente affermare la mancata conoscenza della lingua; è necessario contestare con elementi specifici le risultanze degli atti che indicano il contrario. La decisione, quindi, rafforza il principio di responsabilità processuale, richiedendo che le eccezioni sollevate siano supportate da argomentazioni concrete e non da mere asserzioni.

È sempre necessario tradurre un ordine di esecuzione per un condannato straniero?
No, non è sempre necessario. La traduzione non è richiesta se dagli atti del processo emerge che il condannato è in grado di comprendere la lingua italiana.

Come può un giudice stabilire se uno straniero comprende la lingua italiana?
Il giudice può basare la sua valutazione sugli atti già presenti nel fascicolo processuale, come i verbali di identificazione redatti durante il giudizio di cognizione, senza la necessità di una nuova e specifica verifica in contraddittorio.

Cosa succede se un ordine di esecuzione non viene tradotto quando dovrebbe esserlo?
La mancata traduzione di un ordine di esecuzione a uno straniero che non comprende la lingua italiana comporta la nullità dell’atto, il quale deve essere quindi rinnovato in modo conforme alla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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