Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13579 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13579 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Pozzuoli il 12/01/1963
avverso l’ordinanza emessa in data 22/10/2024 dalla Corte d’Appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22/10/2024, la Corte di Napoli ha rigettato l’incidente di esecuzione proposto, quale terzo interessato proprietario dell’immobile, da COGNOME NOMECOGNOME per la sospensione e la revoca dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo emesso nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME in esecuzione della sentenza di condanna di quest’ultimo, pronunciata della Corte d’Appello di Napoli in data 12/06/1998 (irrev. il 27/01/1999).
Ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione dell’art. 31, comma 9, T.U. Edil. Si deduce che il COGNOME aveva spontaneamente e completamente demolito il manufatto cui si riferiva la sentenza di condanna (capannone con struttura portante composta da pilastri in ferro con lamiere grecate, poggiante su una base anch’essa in ferro): sicché doveva escludersi che l’opera successivamente accertata, avente la medesima volumetria ma realizzata in muratura di cemento armato, potesse essere considerata – come ritenuto nell’ordinanza impugnata – quale “rifinitura, trasformazione, completamento della medesima opera abusiva accertata in sentenza”. Si evidenzia, in altri termini, che l’immobile accertato nel 1996 era diverso da quello ormai demolito, e non poteva quindi essere assoggettato alla sanzione conseguente alla condanna del CAPUANO. Si osserva inoltre che tali conclusioni non risultavano vulnerate dai precedenti giurisprudenziali evocati nel parere del P.G. e condivisi dalla Corte territoriale, dato che riguardavano i diversi casi di opere accessorie e complementari al manufatto originario, ovvero superfetazioni successive su cui si riversa il carattere abusivo della costruzione originaria. Tali riferimenti, in altri termini, non potevano attagliarsi all’ipote ricorrente nella fattispecie in esame, di entità materiale ormai non più esistente perché già demolita.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita il rigetto del ricorso, per l’infondatezza delle censure difensive avverso una motivazione che aveva correttamente richiamato i precedenti giurisprudenziali.
Con memoria del 25/02/2025, il difensore replica alle argomentazioni del P.G., escludendo che tra le opere accertate nel 1994 e nel 1996 potesse individuarsi una relazione sostanziale, e che si potesse quindi configurare una progressione criminosa idonea a rendere applicabile l’ordine di demolizione, a suo tempo emesso nei confronti del CAPUANO, anche al nuovo manufatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Con ampi riferimenti al parere espresso dal Procuratore Generale, e alla documentazione in quella sede allegata, la Corte d’Appello di Napoli ha ritenuto legittima l’applicazione, alla fattispecie in esame, del consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui «l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall’art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l’edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all’esercizio dell’azione penale e/o alla condanna, atteso che l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello
stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell’originaria costruzione» (Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268831 – 01, la quale, in applicazione del principio, ha ritenuto che correttamente la Corte territoriale, in funzione di giudice dell’esecuzione, avesse respinto la richiesta, formulata dal proprietario del piano primo di un edificio, di revoca o modifica dell’ordine di demolizione del piano terreno, disposto con sentenza nei confronti del responsabile dell’abuso).
Si tratta di una valutazione pienamente condivisibile, ove si consideri (pag. 2 del provvedimento) che il sequestro del manufatto originario era stato eseguito in data 23/08/1994, mentre con il secondo sequestro, avvenuto in data 25/03/1996 – ovvero sei mesi prima della sentenza di condanna del Pretore di Napoli-Pozzuoli, emessa nei confronti del proprietario dell’epoca COGNOME NOME, parzialmente riformata in appello con sentenza del 12/06/1998 – era stata accertata “la realizzazione di lavori di completamento di immobile della stessa volumetria realizzato in muratura di cemento armato, con ampliamenti in muratura ed altezza” (cfr. pag. 2 dell’ordinanza, con espressso richiamo alla consulenza tecnica in atti).
2.1. La tesi difensiva, volta a prospettare una totale eterogeneità dei lavori abusivi accertati nel 1996, rispetto a quelli che avevano dato causa al procedimento penale nei confronti del CAPUANO, alla sua condanna irrevocabile ed al conseguente ordine di demolizione, non può essere condivisa.
Questa Suprema Corte ha invero chiarito, anche di recente, che «l’ordine di demolizione conseguente alla sentenza di condanna, previsto dall’art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, pur se relativo ad interventi edilizi di prosecuzione e/o di completamento di un pregresso abuso dichiarato estinto per prescrizione e in relazione al quale il precedente ordine demolitorio era stato revocato, deve comunque essere eseguito sull’immobile considerato nella sua interezza» (Sez. 3, n. 869 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285733 – 01). Nella medesima prospettiva, si è da ultimo ribadito che «l’abuso prescritto non è parificato all’abuso sanato né l’intervenuta sentenza di prescrizione, con la relativa revoca dell’ordine giudiziale di demolizione, determina la formazione di un giudicato favorevole all’imputato e da questi utilmente spendibile. La realizzazione di ulteriori interventi abusivi costituisce la prosecuzione della originaria condotta abusiva commessa attraverso la sistematica violazione di sigilli. La stessa prospettazione difensiva del completamento (abusivo) delle opere è indicativa della prosecuzione dell’abuso» (Sez. 3, n. 37245 del 17/04/2024, Russo).
In buona sostanza, l’elaborazione giurisprudenziale è costante nel valutare unitariamente la condotta abusiva – ai fini specifici della necessaria demolizione in caso di condanna – anche quando una prima fase della stessa sia stata “coperta” dalla declaratoria di intervenuta prescrizione e dalla conseguente revoca, in quella sede, dell’ordine giudiziale. Appare evidente, ad avviso di questo Collegio, che tale prospettiva debba a fortiori essere tenuta ferma qualora, come nel caso di specie, gli ulteriori lavori siano stati eseguiti nel corso del giudizio di primo grado, e in violazione dei sigilli apposti dopo il primo accertamento della condotta abusiva.
Le considerazioni fin qui svolte impongono il rigetto del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 5 marzo 2025