Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28562 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28562 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MERCATO SAN SEVERINO il 16/02/1949
avverso l’ordinanza del 28/01/2025 del TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 28/1/2025, il Tribunale di Napoli ha rigettato l’istanza proposta d RAGIONE_SOCIALE per la revoca o sospensione dell’ordine di demolizione di cui alla R.E.S.A. 07/2016.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione Citro, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando, con il primo motivo, “la manifesta ed erronea applicazione della legge ed eccesso di potere”. Si deduce che:
prima dell’ordinanza impugnata, “RAGIONE_SOCIALE mai era stata informata che la Procura Napoletana aveva riunito le due RESA, la n. 82/09 a quella n. 7/2016″;
“la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha notificato alla sig.ra COGNOME NOME solo ed esclusivamente, l’ingiunzione a demolire delle fabbriche erette al INDIRIZZO
resa in forza del presunto ordine di demolizione contenuto nella sentenza del 24 Settembre 2009;
la predetta sentenza del 2009 fu riformata e la riforma ebbe ad investire proprio l’ordine d demolizione, avendo la Ecc.ma Corte di Appello di Napoli dichiarata la prescrizione delle contravvenzioni edilizie;
la Procura della Repubblica avrebbe dovuto indicare nell’ingiunzione quale sentenza stava portando in esecuzione e l’attività demolitoria non poteva colpire le opere per le quali l’ordin demolizione era stato revocato”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
L’ordinanza impugnata rileva che nei confronti di COGNOME per le opere realizzate in Napoli, a Traversa privata Viscari, sono stati promossi due procedimenti penali:
il primo, definito dalla sentenza 7432 del 19/10/2006, confermata dalla Corte d’appello in data 11/1/2008, da cui è scaturito il procedimento RRAGIONE_SOCIALE. 82/09, che aveva comportato la condanna di Citro per i reati di cui agli artt. 44 lett. b), 83 e 95 d.P.R. 380/01 e l’ad dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva per cui si era proceduto, rappresentata dall’organismo edilizio della superficie di mq. 100 realizzato sul lastrico solare di un preesist fabbricato;
il secondo aveva avuto a oggetto un ampliamento dell’organismo edilizio sopra indicato, avente la superficie dei mq 15, e la violazione dei sigilli ed era stato definito dalla sentenza Corte d’appello in data 20/11/2013 che aveva confermato la condanna per il delitto di cui all’ar 349 cod. pen. adottata dal Tribunale di Napoli il 24/9/2009 dichiarando prescritte l contravvenzioni di cui agli artt. 44, 83 e 95 del TU Edilizia e 1,2 e 20 I. 64/1974 rela all’intervento edilizio; da tale sentenza era scaturito il procedimento R.E.S.A. 7/16.
L’ordinanza impugnata, ancora, sottolinea come la sentenza del 20/11/2013 aveva ritenuto di non dover revocare l’ordine di demolizione delle opere abusive, affermando espressamente che “permane l’ordine di demolizione ed anche la pena sospesa subordinata alla demolizione delle opere abusive ed alla rimessione in pristino dei luoghi, essendo, tali disposizioni, contenu nella pronuncia definitiva emessa dalla Corte di Appello di Napoli dell11.1.2008, ritenuta continuazione con la sentenza appellata”.
Tali dati consentono già di disattendere l’argomento secondo il quale Citro ignorava, sino all’ordinanza impugnata, che l’ingiunzione a demolire era anche relativa alla sentenza di condanna del 2008.
La sentenza della Corte d’appello del 20/11/2013, infatti, richiamava espressamente l’ordine di demolizione adottato nell’altro procedimento e, rilevando che il Tribunale aveva proceduto all’unificazione, ex art. 81 cod. pen., dei reati oggetto dei due procedimenti, aveva ritenuto
non doverlo revocare. A ciò consegue che l’ingiunzione a demolire, indipendentemente dall’unificazione della procedura R.E.S.A. n. 7/16 con quella contraddistinta dal numero 82/09, già per effetto del richiamo alla sentenza del 20/11/2013 rendeva edotta la destinataria che s stava procedendo per l’esecuzione dell’ordine di demolizione adottato dal Tribunale di Napoli i 19/10/2006.
In ordine, poi, all’ambito dell’ordine di demolizione, va osservato che l’ampliament successivo, nella descrizione che si rinviene nelle sentenze, costituisce parte integrante d manufatto abusivo colpito dall’ordine di demolizione per cui non può che seguirne la sorte, risultando impossibile eseguire la demolizione del primo assicurando la conservazione del secondo.
Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato, come già ricordato nel provvedimento impugnato, il principio secondo cui ” l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previst dall’art. 31, comma 9, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l’edificio nel suo complesso comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all’esercizio dell’azione penale e/o alla condanna, atteso che l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari, nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell’originaria costruz (Sez. 3, Sentenza n. 21797 del 27/04/2011 Cc., dep. 31/05/2011, Rv. 250389; in senso analogo: Sez. 3, Ordinanza n. 38947 del 09/07/2013 Cc., dep. 20/09/2013, Rv. 256431; Sez. 3, n. 869 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285733 – 01; Sez. 3, n. 37245 del 17/04/2024, Russo, Rv. 286887 – 01). In altri termini, a seguito dell’irrevocabilità della sentenza di condan è consentita l’estensione dell’ordine di demolizione ad altri manufatti, a condizione che gli ste siano stati realizzati successivamente all’opera abusiva originaria e, per la loro accessoriet quest’ultima, rendano ineseguibile l’ordine medesimo (Sez. 3, Sentenza n. 2872 del 11/12/2008 Cc.,dep. 22/01/2009, Rv. 242163)” ( Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268831 – 01).
Alla manifesta infondatezza del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare olt massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricors considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 2/7/2025