Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32607 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32607 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME COGNOME, nata a Roma DATA_NASCITA NOME COGNOME, nato a Monteconnpatri (Roma) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/4/2025 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibili i ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15/4/2025, la Corte di appello di Roma rigettava l’istanza con la quale NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano chiesto la revoca dell’ingiunzione a demolire emessa con riguardo alla sentenza pronunciata dalla stessa Corte il 27/4/2012, irrevocabile il 1°/3/2013.
Propongono congiunto ricorso per cassazione i due istanti, deducendo con unico motivo – la mancanza, la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione. L’ordinanza sarebbe sostenuta da un argomento errato, qual è la
natura amministrativa dell’ordine di demolizione, in luogo di quella penale che, invece, risulterebbe evidente alla luce della portata sanzionatoria della misura, come peraltro già affermato dalla giurisprudenza della CEDU.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi risultano manifestamente infondati.
La giurisprudenza di questa Corte, ben consapevole di quella formulata dalla CEDU, ha ripetutamente affermato (tra le ultime, Sez. 3, n. 34415 del 28/6/2024, COGNOME), con indirizzo qui da ribadire, che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova i rapporto con il bene, anche se non è l’autore dell’abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di “pena” nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU (per tutte, Sez. 3, n. 3979 del 21/9/2018, Cerra, Rv. 275850).
4.1. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato una serie di principi che hanno costantemente ribadito la natura della demolizione, quale sanzione accessoria oggettivamente amministrativa, sebbene soggettivamente giurisdizionale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell’autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (ex multis, Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, COGNOME, Rv. 258518; Sez. 3, n. 37906 del 22/5/2012, COGNOME, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511; si vedano anche Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, RM. in proc. Monter); in tale quadro, coerentemente è stata negata l’estinzione della sanzione per il decorso del tempo, ai sensi dell’art. 173 cod. pen., in quanto tale norma si riferisce alle sole pene principali, e comunque non alle sanzioni amministrative (Sez. 3, n. 36387 del 7/7/2015, Formisano, Rv. 264736; Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, COGNOME Mela, Rv. 248670. Tra le molte non massimate, Sez. 3, n. 14651 del 21/3/2024, Cordiano); ed altresì è stata negata l’estinzione per la prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative, stabilita dall’art. 28, I. 24 novembre 1981, n. 689, in quanto riguardante le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (“il diritto a riscuotere le somme … si prescrive”), mentre l’ordine demolizione integra una sanzione ‘ ripristinatoria’, che configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio (Sez. 3, Sentenza n. 16537 del 18/02/2003, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
4.2. Ancora, deve essere ribadito che l’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001 disciplina l’ingiunzione alla demolizione delle opere abusive, adottata dall’autorità
amministrativa nel caso non venga disposta la demolizione d’ufficio; in caso di inottemperanza, è prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, e, comunque, l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio del Comune, finalizzata alla demolizione ‘in danno’, a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con specifica deliberazione consiliare non venga dichiarata l’esistenza di prevalenti interessi pubblici, e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali. Il comma 9 del medesimo art. 31, poi, prevede che la demolizione venga ordinata dal giudice con la sentenza di condanna, “se ancora non sia stata altrimenti eseguita”.
4.3. Una lettura sistematica, e non isolata, della disposizione, dunque, impone di ribadire la natura amministrativa, e la dimensione accessoria, ancillare, rispetto al procedimento penale, della demolizione, pur quando ordinata dal giudice penale; tant’è che, pur integrando un potere autonomo e non alternativo a quello dell’autorità amministrativa, nel senso che la demolizione deve essere ordinata dal giudice penale anche qualora sia stata già disposta dall’autorità amministrativa, l’ordine ‘giudiziale’ di demolizione coincide, nell’oggetto (l’opera abusiva) e nel contenuto (l’eliminazione dell’abuso), con l’ordine (o l’ingiunzione) ‘amministrativo’, ed è eseguibile soltanto “se ancora non sia stata altrimenti eseguita”. Pertanto, se la ‘demolizione d’ufficio’ e l’ingiunzione alla demolizione sono disposte dall’autorità amministrativa, senza che venga revocata in dubbio la natura amministrativa, e non penale, delle misure, e senza che ricorra la pertinenzialità ad un fatto-reato, in quanto, come si è visto, la demolizione può essere disposta immediatamente, senza neppure l’individuazione dei responsabili, non può affermarsi che la ‘demolizione giudiziale’ – identica nell’oggetto e nel contenuto – muti natura giuridica solo in ragione dell’organo che la dispone. Anche perché è pacifico che l’ordine ‘giudiziale’ di demolizione è suscettibile di revoca da parte del giudice penale allorquando divenga incompatibile con provvedimenti amministrativi di diverso tenore (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, COGNOME, Rv. 260972), in tal senso non mutuando il carattere tipico delle sanzioni penali, consistente nella irretrattabilità, ed è impermeabile a tutte le eventuali vicende estintive del reato e/o della pena (ad esso non sono applicabili l’amnistia e l’indulto, cfr. Sez. 3, n. 7228 del 2/12/2010, COGNOME, Rv. 249309; resta eseguibile, qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., cfr. Sez. 3, n. 18533 del 23/03/2011, Abbate, Rv. 250291; non è estinto dalla morte del reo sopravvenuta all’irrevocabilità della sentenza, cfr. Sez. 3, n. 3861 del 18/1/2011, COGNOME e altri, Rv. 249317). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.4. Si tratta, dunque, della medesima sanzione amministrativa, adottabile parallelamente al procedimento amministrativo, la cui emissione è demandata (anche) al giudice penale all’esito dell’affermazione di responsabilità penale, al fine di garantire un’esigenza di celerità ed effettività del procedimento di esecuzione della demolizione.
4.6. Infine, deve essere ribadito che la diversa natura e finalità delle pene principali, da un lato, e della demolizione, dall’altro, non consentono di individuare un elemento di identità tra i due “casi” che consenta un’applicazione analogica della norma sulla prescrizione: è stato già evidenziato che mentre le pene ‘principali’ hanno una natura lato sensu ‘repressiva’, ed una finalità rieducativa (risocializzante), ai sensi dell’art. 27, comma 3, Cost., la demolizione non ha una natura intrinsecamente ‘repressiva’, né persegue finalità risocializzanti, perseguendo invece una finalità ripristinatoria dell’assetto del territorio sulla quale le esigenze individuali legate all’oblio per il decorso del tempo risultano necessariamente soccombenti rispetto alla tutela collettiva di un bene pubblico
(Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, COGNOME Mela, Rv. 248670; Sez. 3, Sentenza n. 16537 del 18/02/2003, COGNOME, Rv. 227176).
5. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’11 settembre 2025
Il C2 jgliere estensore