Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30957 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30957 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato a Cagliari il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/2/2024 del Tribunale di Cagliari; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12/2/2024, il Tribunale di Cagliari, quale giudice dell’esecuzione, dichiarava estinti i reati di cui alla sentenza pronunciata dallo stesso Ufficio il 10/12/2007, irrevocabile il 6/2/2008, nei confronti di NOME COGNOME rigettando nel resto le istanze avanzate.
Propone ricorso per cassazione lo stesso COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., 6 CEDU. Risulterebbero evidentemente violati i diritti della difesa, in quanto, dopo la notifica dell’ingiunzione a demolire del 16/6/2008, il ricorrente non
avrebbe mai avuto conoscenza di attività svolta dalla Procura della Repubblica quanto alla demolizione. Lo stesso Ufficio, peraltro, si sarebbe attivato soltanto dopo 15 anni, in modo autonomo, conferendo incarico ad un consulente (i cui motivi sono richiamati alle pagg. 6-7) senza alcuna interlocuzione con la difesa;
violazione e falsa applicazione dell’art. 655, comma 2, cod. proc. pen. Per costante giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, l’organo promotore dell’esecuzione sarebbe il pubblico ministero, il quale, ove il condannato non ottemperi all’ingiunzione a demolire, sarebbe tenuto ad investire il giudice dell’esecuzione per la fissazione delle modalità. Nel caso di specie, invece, la Procura della Repubblica avrebbe agito in modo unilaterale, dopo 15 anni, senza alcun coinvolgimento del condannato;
violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 62, 63, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Richiamato sul punto il contenuto dell’ordinanza impugnata, si contesta che la Procura della Repubblica avrebbe conferito l’incarico per la demolizione ad una ditta individuale (COGNOME NOME) senza alcuna motivazione, senza la necessaria richiesta di 5 diversi preventivi e procedendo, dunque, con licitazione privata. L’esclusione dalla procedura di selezione della “RAGIONE_SOCIALE“, inoltre, avrebbe dovuto determinare una nuova e differente valutazione anche dell’offerta avanzata dal Genio militare, che infatti sarebbe risultata la seconda economicamente più vantaggiosa; nessun argomento, tuttavia, sarebbe stato speso al riguardo. Infine sul punto, si censura che il Tribunale avrebbe immotivatamente rigettato la richiesta subordinata di autodernolizione, così come quella di dichiarare nulla la consulenza dell’ingegner COGNOME, che avrebbe errato nel computo metrico determinando uno sproporzionato ed irragionevole aumento dei costi;
violazione degli artt. 3, 97, 111 Cost. per mancato rispetto del principio di proporzionalità, alla luce di tutte le considerazioni che precedono.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta infondato.
Con riguardo alla prima censura, con la quale si contesta al Pubblico Ministero di non avere comunicato al ricorrente alcunché quanto alla procedura di demolizione, successivamente alla notifica dell’ingiunzione a demolire del 16/6/2008, la stessa risulta del tutto generica. In particolare, l’NOME lamenta che l’assenza di contraddittorio avrebbe violato le prerogative difensive, ma non specifica in che termini questa violazione si sarebbe tradotta, con quali effetti e, infine, quali eventuali iniziative lo stesso avrebbe intrapreso qualora, se del caso,
avesse ricevuto comunicazione di (non è dato sapere quali) attività svolte dall’Ufficio nella procedura medesima.
Risulta del tutto infondato, di seguito’ anche il secondo motivo del ricorso, con il quale, in analogia alla prima censura, si contesta che la Procura della Repubblica – organo promotore dell’esecuzione – non avrebbe investito il giudice dell’esecuzione per fissare le modalità della demolizione, così agendo in modo unilaterale, dopo 15 anni, senza alcuna comunicazione al condannato.
5.1. Sul punto, occorre richiamare la stessa giurisprudenza citata dal ricorrente (Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, Monterisi, Rv. 205336), secondo cui, “essendo il titolo esecutivo costituito dalla sentenza irrevocabile, comprensiva dell’ordine di demolizione, l’organo promotore dell’esecuzione va identificato nel pubblico ministero, il quale, ove il condannato non ottemperi all’ingiunzione a demolire, non potrà che investire il giudice di esecuzione, al fine della fissazione delle modalità di esecuzione. Non resta quindi che applicare all’esecuzione dell’ordine di demolizione il procedimento attinente all’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali: il pubblico ministero “cura di ufficio l’esecuzione . (art. 665 cod. proc. pen. e 29 reg.): ove sorga una controversia concernente non solo il titolo ma le modalità esecutive viene instaurato dallo stesso pubblico ministero, dall’interessato o dal difensore procedimento innanzi al giudice dell’esecuzione (artt. 665 ss. cod. proc. pen.). Tali questioni possono riguardare anche i rapporti con i provvedimenti concorrenti della pubblica amministrazione, oppure le modalità della stessa esecuzione d’ufficio ove l’intimato non provveda direttamente alla demolizione”.
Da queste considerazioni del Supremo Collegio, poi costantemente ribadite in sede di legittimità, emerge, dunque, che l’investitura del giudice dell’esecuzione non costituisce una premessa indispensabile per la regolarità della procedura demolitoria, ma – sul presupposto che questa è curata d’ufficio dal pubblico ministero – rappresenta una necessaria fase di garanzia, anche nella citata ottica convenzionale, qualora intervenga una controversia sulla procedura medesima, come nel caso – proprio della vicenda in esame – in cui si contestino plurimi profili della stessa, come analiticamente richiamati alla pag. 2 dell’ordinanza impugnata (analogamente, tra le altre, Sez. 3, n. 40763 del 23/5/2013, COGNOME, Rv. 257524, che ha ribadito che compete al pubblico ministero, quale organo promotore dell’esecuzione ex art. 655 cod. proc. pen., determinare le modalità attuative della demolizione e, qualora sorga una controversia concernente non solo il titolo, ma anche le modalità esecutive, va instaurato dallo stesso Ufficio dall’interessato o dal difensore procedimento innanzi al giudice dell’esecuzione).
6.1. Correttamente, dunque, il Tribunale di Cagliari è stato investito dall’interessato, lamentando un vizio esecutivo della procedura, mentre nessun
intervento avrebbe dovuto essere prima richiesto dal Pubblico Ministero, chiamato ad operare d’ufficio.
Il ricorso, di seguito, risulta infondato anche quanto all’ampio terzo motivo, con il quale si censura la violazione degli artt’ 61, 62 e 63, d.P.R. n. 115 del 2002, sul presupposto che non sarebbe stato spiegato: a) il criterio in forza del quale il Pubblico Ministero avrebbe individuato una data ditta, e non un’altra, per la concreta esecuzione dell’intervento, con diretta incidenza sui costi; b) perché sarebbe stata rigettata la richiesta di autorizzazione alla autodemolizione; c) perché sarebbe stata rigettata l’istanza di nullità della consulenza a firma ingegner COGNOME, che – errando sul computo metrico – avrebbe determinato un’irragionevole e sproporzionato esborso economico.
7.1. Non è dato ravvisare, infatti, il vizio motivazionale dedotto dal ricorrente, riscontrandosi su tali punti una motivazione del tutto solida, fondata su elementi concreti ed affidabili, nonché priva di illogicità manifesta; un complesso argomentativo, dunque, non censurabile.
7.2. Il giudice dell’esecuzione, in particolare, dopo aver rilevato e ribadito che il ricorrente non aveva ottemperato all’ordine di demolizione per molti anni (sentenza pronunciata nel dicembre 2007; ingiunzione a demolire notificata nel giugno 2008), senza alcuna giustificazione, ha evidenziato che il Pubblico Ministero aveva conferito incarico ad un consulente tecnico (il citato ingegner COGNOME) affinché verificasse la consistenza attuale del manufatto abusivo, calcolasse i volumi da demolire, predisponesse un prospetto dei costi occorrenti, al riguardo verificando la miglior offerta tra Genio militare ed almeno cinque imprese specializzate. Ancora, e con adeguata valutazione di merito che questa Corte non può sindacare, l’ordinanza ha analizzato il lavoro del consulente stesso, sottolineando, tra l’altro, che questi aveva escluso l’affidamento al Genio militare, concludendo che l’offerta migliore era quella presentata dalla “RAGIONE_SOCIALE“; proprio a questo riguardo, il Giudice dell’esecuzione ha poi motivatamente spiegato le ragioni per le quali la Procura della Repubblica aveva, invece, optato per la ditta “RAGIONE_SOCIALE“, ossia evidenziando che questa era risultata in grado di svolgere il lavoro al prezzo più vantaggioso, offrendo al contempo le necessarie garanzie tecnico-professionali in ordine alla sua corretta esecuzione (a differenza dell’altra società e con implicito rigetto anche della richiesta di autorizzazione all’autodemolizione). L’Ufficio procedente, pertanto, aveva compiuto una valutazione più ampia rispetto a quella indicata nell’incidente d’esecuzione proposto dal ricorrente, cosicché anche sul punto la motivazione dell’ordinanza non appare meritevole di censura.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024
Il Ceigliere estensore
Il Presidente