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Opposizione del terzo alla confisca: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che il rimedio corretto per un terzo, estraneo al processo penale, per contestare la confisca dei propri beni è l’opposizione del terzo davanti al giudice dell’esecuzione e non il ricorso per cassazione. Nel caso di specie, la Corte ha riqualificato l’impugnazione errata e ha trasmesso gli atti alla Corte d’Appello competente. La decisione si fonda sul principio di conservazione degli atti processuali, quando sia chiara la volontà di contestare il provvedimento (voluntas impugnationis).

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca e Opposizione del Terzo: la Cassazione Indica la Strada Corretta

Quando i beni di una persona estranea a un reato vengono confiscati, è fondamentale conoscere il percorso legale corretto per chiederne la restituzione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che lo strumento giusto non è il ricorso diretto alla Corte Suprema, bensì l’opposizione del terzo dinanzi allo stesso giudice che si occupa dell’esecuzione della pena. Questa decisione sottolinea un importante principio di procedura penale a tutela dei diritti di chi, pur non essendo imputato, subisce le conseguenze di una condanna altrui.

I Fatti del Caso

La vicenda nasce dall’istanza di una donna, risultata intestataria di alcuni immobili confiscati a seguito di una sentenza di condanna definitiva emessa dalla Corte di Appello nei confronti di due imputati. La donna, ritenendosi terza estranea ai fatti e legittima proprietaria, si era rivolta alla stessa Corte di Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, per ottenere la revoca della confisca e la restituzione dei suoi beni.

La Corte di Appello, tuttavia, rigettava la sua richiesta. Contro questa decisione, la terza proprietaria proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un difetto di motivazione.

La Decisione della Corte: Riqualificazione in Opposizione del Terzo

La Corte di Cassazione, prima di entrare nel merito delle doglianze, ha affrontato una questione preliminare di carattere procedurale, rivelatasi decisiva. I giudici hanno stabilito che il ricorso per cassazione era uno strumento processuale errato.

La legge, infatti, prevede un rimedio specifico per situazioni di questo tipo: l’opposizione del terzo dinanzi al giudice dell’esecuzione, regolata dagli articoli 667, comma 4, e 676 del codice di procedura penale. Invece di dichiarare inammissibile il ricorso, la Corte ha applicato il principio di conservazione degli atti giuridici, sancito dall’articolo 568, comma 5, del codice di procedura penale. Ha quindi “riqualificato” il ricorso in opposizione e ha disposto la trasmissione di tutti gli atti alla Corte di Appello di origine, affinché fosse quest’ultima a decidere nel merito seguendo la procedura corretta.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Suprema Corte si basa su un orientamento giurisprudenziale consolidato. Il principio fondamentale è che, contro i provvedimenti del giudice dell’esecuzione, specialmente quelli che incidono sui diritti di terzi estranei al processo, il sistema processuale prevede un rimedio specifico, ossia l’opposizione. Questo strumento garantisce un esame approfondito nel merito da parte dello stesso giudice che ha emesso il provvedimento contestato.

La scelta di riqualificare il ricorso anziché rigettarlo si fonda su due presupposti:

1. L’oggettiva impugnabilità del provvedimento: la decisione del giudice dell’esecuzione era comunque un atto che poteva essere contestato.
2. La voluntas impugnationis: dall’atto presentato dalla ricorrente emergeva in modo chiaro e inequivocabile la sua volontà di contestare la decisione che le negava la restituzione dei beni.

In presenza di questi due elementi, il principio del favor impugnationis (favore per la conservazione dell’impugnazione) impone al giudice di correggere l’errore formale della parte e di incanalare l’atto nella procedura corretta, senza penalizzare il cittadino per una scelta processuale sbagliata.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: chi si trova a dover difendere i propri beni da una confisca disposta in un processo penale a cui è estraneo deve utilizzare lo strumento dell’opposizione al giudice dell’esecuzione. L’errore nella scelta del mezzo di impugnazione, pur non essendo in questo caso fatale grazie all’intervento correttivo della Cassazione, può comunque comportare ritardi e complicazioni. La decisione riafferma la centralità del giudice dell’esecuzione nelle controversie relative all’applicazione delle pene e delle misure di sicurezza patrimoniali e garantisce al terzo interessato un giudizio di merito completo prima di poter, eventualmente, adire i gradi di giudizio superiori.

Quale è il rimedio corretto per un terzo estraneo al processo che vuole contestare la confisca dei suoi beni disposta dal giudice dell’esecuzione?
L’unico rimedio esperibile è l’opposizione davanti allo stesso giudice dell’esecuzione, ai sensi degli artt. 667, comma 4, e 676 del codice di procedura penale.

Cosa succede se un terzo propone un ricorso per cassazione invece di un’opposizione?
Il ricorso viene riqualificato come opposizione e gli atti vengono trasmessi al giudice dell’esecuzione competente a decidere, in base al principio di conservazione degli atti processuali (art. 568, comma 5, c.p.p.), a condizione che sussista una chiara volontà di impugnare.

Su quali principi si basa la riqualificazione di un’impugnazione errata?
La riqualificazione si basa sul principio stabilito dall’art. 568, comma 5, c.p.p., che tiene conto dell’oggettiva impugnabilità del provvedimento e dell’esistenza di una chiara volontà di impugnare (voluntas impugnationis), a prescindere dal nome dato all’atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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