Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19972 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19972 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/12/2023 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, la quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
ce.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Milano confermava la pronuncia di condanna di primo grado del ricorrente per il delitto di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, I.fall., per avere, nella veste di amministrator della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata in stato di insolvenza con sentenza del 28 settembre 2017, cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose, il dissesto della società, omettendo sistematicamente, almeno dall’anno 2009, il versamento degli oneri previdenziali e tributari fino ad accumulare un debito erariale di oltre 200.000 euro.
Avverso la richiamata sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato affidandosi, mediante il difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, ad un unico motivo con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., travisamento delle prove emerse nel corso del giudizio e conseguente illogicità, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordin all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato.
A fondamento della censura, essenzialmente, il COGNOME deduce che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto integrato l’elemento soggettivo del reato assumendo, così come la decisione di primo grado, che non avrebbe avuto rilievo ai fini dell’applicazione del metodo c.d. per cassa rispetto al versamento dell’IVA il credito vantato nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE per la somma di euro 400.000,00 dovendosi avere riguardo all’importo riconosciuto, a fronte della controversia civile che si era poi incardinata, dal Tribunale per il minore importo di euro 22.304,18.
In sostanza, il ricorrente denuncia che, per tutte queste ragioni, nel momento di cessazione della carica formale, oltre sei anni prima della dichiarazione di insolvenza, non avrebbe potuto prevedere in concreto il dissesto per effetto dell’omesso pagamento delle imposte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.All’esame del ricorso occorre premettere che la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati n valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze, integrando una c.d. doppia conforme, possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv.
277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595 – 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Rv. 252615 – 01).
2. Su un piano generale, è poi opportuno ricordare che le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, I. fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali (ex ceteris, Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, COGNOME e altri, Rv. 273337 – 01; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046 – 01).
Invero, le operazioni dolose integranti la fattispecie di cui all’art. 22 secondo comma, n. 2, I. fall., possono anche essere tali da non determinare un immediato depauperamento della società, qualora la realizzazione delle operazioni stesse si accompagni alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa, nel «prevedibile caso di accertamento dei reati» (Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, COGNOME, Rv. 265510 – 01; Sez. 5, n. 41055 del 04/07/2014, COGNOME).
Orbene, la sentenza impugnata, in coerenza con i richiamati principi interpretativi, ha congruamente posto in rilievo che il ricorrente, nella sua veste di amministratore della società, sottoscrivendo le dichiarazioni fiscali, aveva piena consapevolezza della rilevante esposizione debitoria della società formatasi a partire dall’anno 2007 e giunta, comunque, quando egli aveva lasciato l’incarico, al già rilevantissimo importo di circa 200.000 euro, con conseguente concreta possibilità per l’imputato di prevedere che questo sistematico inadempimento alle obbligazioni tributarie e previdenziali avrebbe esposto la società alla riscossione erariale con significativo aggravio di interessi e sanzioni (pag. 7).
Inoltre, argomentando in modo altrettanto adeguato, la stessa decisione impugnata ha ritenuto che non potesse assumere rilievo l’accantonamento del fondo rischi di circa 180.000 euro per omessi versamenti di imposta, non essendo stato utilizzato dall’imputato per il pagamento dei debiti e, quanto alla situazione del credito verso la RAGIONE_SOCIALE che, al di là delle difficoltà che esso ha determinato per la gestione della società, in ogni caso, esse sono state aggravante soprattutto dal sistematico adempimento delle obbligazioni previdenziali e tributarie (pag. 7).
Talché, vale anche sottolineare che, a fronte della ripercorsa motivazione non manifestamente illogica della Corte d’appello, è precluso ogni sindacato in sede di legittimità poiché l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo del
decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944-01).
Pertanto il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma 1’8 aprile 2024 Il Consigliere Estensore COGNOME
Il Presidente