Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29024 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29024 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a POZZUOLI il 04/04/1973
avverso la sentenza del 09/12/2024 della CORTE D’APPELLO DI ROMA
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, che ha riformato quanto alla pena quella del giudice di prime cure, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile dei delitti cui all’art. 223, comma 2 n. 2 I. fa Il.;
Considerato che il primo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione – è manifestamente infondato. Difatti, la circostanza che la società fallita abbia continuato ad operare dopo la cessazione dalla carica dell’imputato – il che avrebbe nella sostanza dimostrato che il dissesto non fosse prevedibile e voluto, essendo divenuta insostenibile la gestione societaria solo dopo l’uscita del Verdeoliva dalla compagine sociale – non si confronta con la sentenza impugnata che ha rilevato l’enorme debito erariale di 1.500.000,00 euro che si era formato proprio nel periodo di amministrazione del Verdolino e del Simeoli, così come anche i debiti con i fornitori. A ben vedere, come rileva la Corte territoriale, il dolo richiesto è quello relativo alle operazioni dolose – nel caso di specie la sistematica evasione tributaria – mentre non è richiesta la volontà del dissesto: le ‘operazioni dolose’ ben possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, COGNOME, Rv.
273337 – 01; conf. n. 12426 del 2014 Rv. 259997 – 01, n. 29586 del 2014 Rv. 260492 – 01, n. 47621 del 2014 Rv. 261684 – 01, n. 15281 del 2017 Rv. 270046 01; nello stesso senso Sez. 5,. n. 22765 del 18/02/2021, Rossin, n.m.). Prevedibilità riscontrata senza manifeste illogicità dalla Corte territoriale, dato con il quale non si confronta adeguatamente il motivo di ricorso. Anche il riferimento alla discrasia temporale fra il periodo di gestione da parte dell’imputato e il verificarsi del dissesto, risulta censura manifestamente infondata, in quanto la fattispecie incriminatrice si realizza non solo quando la situazione di dissesto trovi la sua causa nelle condotte o operazioni dolose, ma anche quando esse abbiano solo aggravato la situazione di dissesto che costituisce il presupposto oggettivo della dichiarazione di fallimento (in tal senso, Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv.262188, secondo cui sussiste il delitto di bancarotta fraudolenta previsto dall’art. 223, comma secondo n. 2, I. fall. anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società non comportano una diminuzione algebrica dell’attivo patrimoniale, ma determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l’impresa). Ne consegue la aspecificità, ma anche la manifesta infondatezza del motivo di ricorso;
Rilevato che il secondo motivo di ricorso – che lamenta il diniego della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla aggravante – in vero è inedito, perché la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello, secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata, che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto: difatti, nel riepilogo si dava atto che la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che riguardava solo Simeoli e non Verdolino (fol. 4 della sentenza); ad ogni buon conto, la motivazione offerta dalla Corte di appello comunque risulta giustificare l’equivalenza per la sussistenza della aggravante del danno di rilevante entità, cosicché certamente non si verte in tema di motivazione apparente, non dovendo la Corte valutare tutti gli elementi, anche addotti con l’appello. Da ciò ne consegue che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. Un., n. 10713 del 25 febbraio 2010, COGNOME, Rv. 245931), nel caso di specie individuata nel minimo edittale;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 2 luglio 2025
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Il consiglie e estensore
Il Presidente