Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25944 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25944 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/10/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 ottobre 2023 la Corte di appello di Brescia ha rigettato l’istanza, avanzata da NOME e NOME COGNOME, di restituzione nel termine per impugnare la sentenza emessa nei loro confronti da quell’ufficio giudiziario I’l aprile 2022, divenuta irrevocabile il 17 giugno 2022.
Ha, a tal fine, rilevato che gli istanti, nel dedurre di non aver potuto proporre ricorso per cassazione nei termini previsti in ragione del negligente contegno del loro difensore di fiducia, hanno omesso di illustrare le modalità con le quali hanno adempiuto all’onere di vigilanza, su di loro gravante, in ordine all’esatta osservanza, da parte del legale, dell’incarico conferitogli, ciò che preclude in radice l’apprezzamento, nella fattispecie, di una causa di forza maggiore rilevante ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen..
NOME e NOME COGNOME propongono, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO e con unico atto, ricorsi per cassazione affidati a due motivi, con il primo dei quali lamentano violazione della legge processuale sul rilievo che la Corte di appello ha emesso il provvedimento impugnato de plano, senza fissare udienza nel contraddittorio né, tantomeno, effettuare l’attività istruttoria, espressamente sollecitata con l’istanza di restituzione nel termine, che avrebbe consentito di verificare il rispetto, da parte loro, di canoni di massima diligenza nel controllare l’espletamento dell’incarico affidato al difensore di fiducia e, specificamente, le cause dell’inerzia del legale, che, almeno ipoteticamente, avrebbe potuto discendere da caso fortuito o forza maggiore.
Con il secondo motivo, deducono violazione di legge e vizio di motivazione ascrivendo al giudice dell’esecuzione di avere indebitamente trascurato l’interlocuzione da loro costantemente mantenuta con il difensore, presso il cui studio avevano eletto domicilio.
Rappresentano, al riguardo, che il professionista, più volte contattato da NOME COGNOME, anche nell’interesse della moglie, lo ha rassicurato, persino dopo l’emissione della sentenza di appello (con la quale l’uomo ha riportato la pena di quattro anni e tre mesi di reclusione, mentre la consorte è stata condannata alla pena di due anni di reclusione) e la scadenza del termine per proporre impugnazione in sede di legittimità, circa il positivo andamento del processo e la concreta possibilità che esso si concludesse con una pronunzia assolutoria.
Eccepiscono, di conseguenza, che l’omessa, tempestiva presentazione del ricorso va ascritta ad esclusiva responsabilità dell’avvocato, non potendo, invece, muoversi loro rimprovero di sorta.
Specificano che il legale – al quale hanno puntualmente corrisposto i compensi richiesti per l’attività svolta – ha loro comunicato la definitività della decisione solo nel luglio del 2023, omettendo, tuttavia, di indicare le ragioni sottese alla ritardata comunicazione ed all’omessa impugnazione; aggiungono che, dai controlli successivamente eseguiti, grazie all’ausilio del difensore nominato in sostituzione di quello inadempiente, è emerso che questi non ha partecipato all’udienza conclusiva del giudizio di appello né rassegnato conclusioni scritte.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi , con requisitoria scritta, cui i ricorrenti hanno replicato con memoria del 22 febbraio 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, di ordine procedurale, è infondato, giacché il giudice dell’esecuzione, nel provvedere de plano sull’istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza di appello, presentata da NOME e NOME COGNOME, si è determinato in coerenza con la previsione di legge e, in specie, con l’art. 175, comma 4, cod. proc. pen. che non opera alcun richiamo alla disciplina prevista dall’art. 127 cod. proc. pen..
In questa direzione è, del resto, unanimemente attestata la giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 4660 del 16/01/2015, COGNOME Musso, Rv. 262035 – 01; Sez. 3, n. 5930 del 17/12/2014, dep. 2015, Currò, Rv. 263176 01), che ha, altresì, disatteso (il riferimento è a Sez. 6, n. 2028 del 25/10/2018, dep. 2019, Mejia, Rv. 274925 – 01) l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata in proposito, avuto riguardo alla possibilità di impugnare la decisione resa in assenza di contraddittorio mediante la proposizione di ricorso per cassazione.
Anche il residuo motivo di ricorso è privo di pregio.
È pacifico, in giurisprudenza, che la condotta negligente del difensore, il quale ometta di presentare, nei termini previsti, impugnazione avverso la sentenza di condanna emessa nei confronti dell’imputato, così venendo meno ai doveri connessi ai compiti assegnatigli, non è, di per sé, idonea a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che legittimano la restituzione nel termine, dovendosi valutare, caso per caso, le modalità di controllo dell’assistito sull’esatta osservanza dell’incarico difensivo ed il quadro normativo in cui si inserisce la vicenda oggetto del procedimento (così, tra le altre, Sez. 6, n. 2112
del 16/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282667 – 01; Sez. 6, n. 3631 del 20/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269738 – 01; Sez. 2, n. 48737 del 21/07/2016, COGNOME, Rv. 268438 – 01).
Qualora, poi, come nella fattispecie in esame, il difensore di fiducia sia anche domiciliatario, l’imputato, per essere restituito nel termine, deve dimostrare di avere svolto, a fronte della perdurante negligenza del professionista, una periodica attività di ricerca di informazioni presso di lui (Sez. 2, n. 3911 del 20/12/2022, dep. 2023, Janu, Rv. 284215 – 01; Sez. 3, n. 8860 del 25/05/2016, dep. 2017, Adinolfi, Rv. 269341 – 01).
Nel caso in esame, gli imputati non hanno adempiuto, con l’istanza ex art. 175 cod. proc. pen., al descritto onere probatorio.
Nell’occasione, NOME e NOME COGNOME si sono, invero, limitati a sostenere che il difensore non li aveva messi a parte dell’emissione, all’esito di udienza cui il legale era risultato assente, della sentenza di appello e della scadenza del termine per impugnarla – informazioni che, dopo molte insistenze, aveva loro fornito solo 11 luglio 2023, cioè a distanza di oltre un anno dalla definizione del giudizio e di quasi sei anni dalla pronunzia di primo grado, risalente al 31 ottobre 2017 – ed a sollecitare, in modo del tutto generico e senza indicare le circostanze specificamente oggetto di prova, la loro audizione e quelle del figlio e del professionista inadempiente.
La richiesta di restituzione nel termine non è stata, invece, corredata da specifiche indicazioni in ordine all’epoca, alla frequenza ed alle modalità dei contatti che i due COGNOME avrebbero tenuto – in un arco temporale assai ampio, perché complessivamente superiore al lustro – con il legale, che ben avrebbero potuto più puntualmente e concretamente documentare, in primis attraverso il riferimento all’attività svolta dal professionista, agli incontri intercorsi, a sollecitazioni rivoltegli, ai pagamenti effettuati.
Ineccepibile si palesa, pertanto, la decisione del giudice dell’esecuzione che, determinandosi in armonia con la cornice ermeneutica sopra descritta, ha respinto l’istanza degli imputati in ragione della carente prospettazione in ordine alle modalità di espletamento della vigilanza che avrebbe dovuto essere esercitata sull’operato del difensore, ovvero sulla scorta di argomentazioni la cui pregnanza non è intaccata dal ricorso, imperniato, in buona sostanza, sulla potenziale attitudine degli approfondimenti istruttori genericamente invocati a supportare una ricostruzione della vicenda tale da convincere del fatto che i due COGNOME hanno diligentemente fatto quanto nelle loro possibilità per assicurarsi che il legale di loro fiducia portasse a compimento il mandato affidatogli.
Le precedenti considerazioni impongono, in conclusione, il rigetto dei ricorsi, da cui discende la condanna di NOME e NOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 05/03/2024.