L’Onere di Allegazione nel Processo Penale: La Parola dell’Avvocato non Basta
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un principio fondamentale della procedura penale: l’onere di allegazione. Quando la difesa si basa su fatti specifici e non noti, non è sufficiente che l’avvocato li esponga; è necessario che sia l’imputato stesso a farsene carico personalmente nel processo. Vediamo insieme il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.
Il Fatto: Un Campanello Rotto e una Difesa Inascoltata
Il caso nasce da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello. La difesa dell’imputato si fondava su un’argomentazione precisa: l’imputato non avrebbe potuto rispondere alla porta perché il campanello della sua abitazione era malfunzionante. Tale circostanza, secondo il legale, avrebbe dovuto scagionare il suo assistito.
Tuttavia, sia la Corte d’Appello prima, sia la Corte di Cassazione poi, hanno ritenuto questa linea difensiva infondata. La motivazione non risiede tanto nel merito della questione (il campanello era rotto o no?), quanto in un aspetto procedurale cruciale.
La Decisione della Corte: l’Importanza dell’Onere di Allegazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nel principio dell’onere di allegazione. I giudici hanno spiegato che, nel nostro ordinamento processuale, l’imputato ha il dovere di fornire gli elementi necessari per accertare fatti a lui favorevoli, specialmente se questi sono ignoti al procedimento.
Questo onere, sottolinea la Corte, è strettamente personale. Non può essere assolto semplicemente tramite le argomentazioni del difensore o la produzione di memorie scritte, anche se provenienti dall’imputato stesso. Deve essere esercitato nel vivo del processo, in contraddittorio tra le parti.
Le Motivazioni: Perché la Difesa del Legale non Sostituisce l’Imputato
La Corte ha qualificato la versione difensiva come ‘ipotetica’ proprio perché l’imputato non ha mai prospettato personalmente tale circostanza. Egli, infatti, ha scelto di non sottoporsi a esame e di non rendere dichiarazioni spontanee in aula. Di conseguenza, la sua tesi (non aver sentito bussare) è rimasta una mera affermazione del suo avvocato, priva di un riscontro diretto da parte dell’interessato nel dibattimento.
I giudici hanno ribadito che il ruolo del difensore è tecnico-giuridico, ma non può sostituirsi alla parte nel dovere di ‘allegare’, cioè di introdurre nel processo, i fatti storici che costituiscono il fondamento della sua difesa. In assenza di un’assunzione di responsabilità diretta da parte dell’imputato, la Corte non ha potuto far altro che considerare la censura come manifestamente infondata, confermando la decisione precedente.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche per l’Imputato e la Difesa
Questa ordinanza offre una lezione fondamentale: la strategia difensiva deve essere costruita con attenzione non solo agli argomenti giuridici, ma anche alle modalità con cui i fatti vengono presentati al giudice. L’imputato non è un soggetto passivo; è il protagonista della sua difesa e, quando questa si basa su circostanze di fatto personali, la sua partecipazione attiva diventa indispensabile. Scegliere di non parlare in aula è un diritto, ma questa scelta può avere conseguenze decisive sull’esito del giudizio, specialmente quando l’onere di allegazione richiede un suo intervento diretto per dare concretezza e credibilità alla linea difensiva.
Chi ha l’obbligo di provare i fatti a sostegno della propria difesa nel processo penale?
L’ordinanza chiarisce che sull’imputato grava un onere di allegazione, ovvero il dovere di fornire gli elementi necessari all’accertamento di fatti a lui favorevoli che siano ignoti, onere che incombe personalmente su di lui.
È sufficiente che l’avvocato difensore esponga una circostanza a favore del suo assistito?
No, non è sufficiente. La Corte ha stabilito che la prospettazione dei fatti da parte del difensore o la produzione di memorie non possono sostituire l’onere personale dell’imputato di allegare i fatti in contraddittorio, ad esempio sottoponendosi a esame o rendendo dichiarazioni spontanee.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se non vi sono cause di esonero, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6690 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6690 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CORIGLIANO CALABRO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/04/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Rilevato che sono inammissibili le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole del vizio di motivazione in riferimento agli artt. 75 d Igs. 159/2011 e 533 cod. proc. pen. e della violazione di legge in relazione all’art. 533 cod. proc. pen. – perché manifestamente infondate. E ciò, a fronte della motivazione della sentenza impugnata, scevra da vizi logici e giuridici, che, sulla base delle dichiarazioni rese dal teste NOME COGNOME, agente di P.g., considera infondata la censura relativa al malfunzionamento del campanello dell’abitazione. La Corte di appello di Catanzaro evidenzia come nell’ordinamento processuale penale sia prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l’imputato è tenuto a fornire gli elementi necessari all’accertamento di fatti ignoti che siano idonei, se riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore, onere non assolto dal ricorrente; onere che incombe sull’imputato personalmente e va assolto in contraddittorio tra le parti, non potendo essere sostituito né dalla prospettazione dei fatti fornita dal difensore né dalla produzione di memorie, anche se provenienti dallo stesso imputato. E sottolinea come la versione difensiva secondo cui l’imputato non avrebbe sentito bussare alla porta risulta dunque ipotetica, non avendo COGNOME personalmente prospettato tale circostanza perché, non si è sottoposto ad esame ne ha reso spontanee dichiarazioni.
Rilevato, pertanto, che il ricorso – nel quale ci si duole della mancata valutazione delle deduzioni difensive e si insiste su un insussistente travisamento delle prove deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.N11.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.