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Onere della prova invio PEC: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un soggetto destinatario di un provvedimento Daspo. Il ricorrente lamentava la mancata valutazione di una memoria difensiva inviata via PEC. La Corte ha stabilito che l’onere della prova della ricezione dell’atto spetta al difensore, il quale non solo non ha dimostrato l’avvenuta consegna, ma ha anche inviato l’atto prima di essere formalmente nominato, rendendo l’invio stesso illegittimo.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Onere della prova e invio PEC: chi è responsabile della ricezione?

In un’era di digitalizzazione crescente dei processi giudiziari, la trasmissione telematica degli atti assume un ruolo centrale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione penale (Sentenza n. 11185/2025) ha ribadito un principio fondamentale: l’onere della prova relativo alla corretta ricezione di una memoria difensiva inviata via Posta Elettronica Certificata (PEC) grava interamente sul difensore. Questo caso offre spunti cruciali sulla diligenza richiesta agli avvocati nelle comunicazioni con gli uffici giudiziari.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un provvedimento Daspo emesso dal Questore di Roma nei confronti di un individuo per la sua presunta partecipazione a disordini avvenuti durante un incontro di calcio internazionale. Il provvedimento, della durata di cinque anni, includeva il divieto di accesso a tutte le manifestazioni sportive e l’obbligo di presentazione presso gli uffici di Polizia.

Il Gip presso il Tribunale di Roma convalidava il provvedimento. Avverso tale ordinanza, il difensore proponeva ricorso per cassazione, lamentando un vizio di violazione di legge e di motivazione. Il motivo principale del ricorso era l’omessa valutazione, da parte del giudice, di una memoria difensiva che il legale asseriva di aver inviato tramite PEC all’ufficio del Gip. L’ordinanza impugnata, infatti, attestava esplicitamente il “mancato deposito di memorie dell’interessato”.

L’onere della prova nell’invio telematico

Il cuore della questione giuridica sottoposta alla Corte di Cassazione riguardava l’individuazione del soggetto responsabile in caso di mancata ricezione di un atto processuale inviato telematicamente. Il ricorrente sosteneva che il semplice invio della PEC fosse sufficiente a dimostrare l’adempimento, ma la Corte ha seguito un orientamento consolidato e più rigoroso.

La Suprema Corte ha chiarito che non è sufficiente limitarsi a “dedurre di aver effettuato regolarmente l’invio”. Al contrario, è preciso dovere del difensore assicurarsi dell’avvenuta ricezione e, quindi, dimostrare la messa a conoscenza dell’atto al giudice competente. L’onere della prova del buon esito della comunicazione ricade, senza eccezioni, sul mittente.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso basandosi su due argomentazioni dirimenti.

In primo luogo, ha sottolineato come il ricorrente non avesse fornito alcun elemento a supporto del buon esito dell’invio, disattendendo così l’onere a suo carico. La difesa, pur essendo consentito l’uso di modalità diverse dal deposito cartaceo, ha il dovere di assicurarsi della “tempestiva sottoposizione dell’atto al giudice che procedeva”. La semplice affermazione di aver inviato una PEC, a fronte della constatazione del giudice (a seguito di “verifiche sul portale e delle pec effettuate dalla cancelleria”) di non aver ricevuto nulla, è risultata insufficiente.

In secondo luogo, e in modo ancora più decisivo, la Corte ha rilevato una circostanza processuale fatale. Dalla lettura degli atti, è emerso che l’invio della PEC risaliva a una data in cui il difensore non era ancora formalmente legittimato a rappresentare il suo assistito, poiché la nomina a suo favore era stata depositata solo in una data successiva. Questo vizio originario rendeva l’invio della memoria, a prescindere dalla sua ricezione, del tutto illegittimo e processualmente irrilevante.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio cardine per la pratica forense nell’ambito del processo telematico: la responsabilità del difensore non si esaurisce con il click di “invio”. È necessario un comportamento diligente che includa la verifica della ricezione e la certezza della propria legittimazione ad agire. Questo pronunciamento serve da monito: l’affidamento acritico alla tecnologia, senza un’adeguata verifica del buon esito delle comunicazioni e del rispetto dei presupposti processuali, può portare a conseguenze pregiudizievoli per l’assistito, come la mancata valutazione di argomentazioni difensive potenzialmente decisive.

Chi ha l’onere di provare che una memoria inviata via PEC è stata ricevuta dal giudice?
Secondo la sentenza, l’onere della prova della corretta ricezione dell’atto ricade interamente sul difensore che effettua l’invio. Non è sufficiente dimostrare di aver spedito la PEC, ma è necessario assicurarsi che sia stata effettivamente consegnata e portata a conoscenza del giudice.

È valido l’invio di un atto processuale da parte di un avvocato prima della sua nomina formale?
No. La Corte ha stabilito che l’invio è illegittimo se la data della trasmissione è anteriore a quella della nomina ufficiale del difensore registrata agli atti. In quel momento, il legale non è ancora legittimato a compiere atti in nome e per conto del suo assistito.

Cosa succede se il giudice dichiara di non aver ricevuto una memoria che il difensore sostiene di aver inviato?
Se il difensore si limita ad affermare di aver inviato l’atto senza fornire prove concrete della ricezione (come le ricevute di avvenuta consegna della PEC), e il giudice, dopo opportune verifiche, attesta la mancata ricezione, la memoria si considera come non depositata. Il ricorso basato sulla sua mancata valutazione verrà rigettato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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