Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3312 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3312 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NOCERA INFERIORE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/03/2023 del TRIBUNALE di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
ASSUNTA COCOMELLO,
che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore della ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 marzo 2023, il Tribunale di Salerno ha dichiarato NOME COGNOME responsabile della contravvenzione di omissione di lavori in edifici e costruzioni che minacciano rovina e la ha condannata alla pena, ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato e condizionalmente sospesa (all’ulteriore condizione dell’eliminazione, entro uno specifico termine, delle conseguenze dannose del reato), di seicento euro di ammenda, oltre che al pagamento delle spese processuali.
NOME COGNOME, proprietaria di un immobile sito in Montecorvino Rovella, è stata raggiunta, il 28 giugno 2019, da un’ordinanza sindacale contingibile ed urgente con la quale, dato atto dell’incombente situazione di pericolo, le è stato ingiunto di non utilizzare il bene sino a quando esso non fosse stato posto in sicurezza e di provvedere, entro trenta giorni, a quanto necessario per mettere il sito in sicurezza.
Dai sopralluoghi eseguiti il 5 novembre 2019 e, poscia, il 28 luglio 2020 è risultato che la COGNOME non ha ottemperato alle prescrizioni impartitele.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato a tre motivi, con i quali deduce, costantemente, violazione di legge e vizio di motivazione.
Con il primo motivo, lamenta che il Tribunale ha affermato la sua penale responsabilità senza accertare se, come previsto dalla norma incriminatrice, la condotta omissiva oggetto di addebito, riferita ad un edificio da lunga pezza disabitato, abbia determinato o meno pericolo per l’incolumità delle persone.
Con il secondo motivo, eccepisce la carenza, nel contegno da lei tenuto, dell’elemento soggettivo, segnalando che la riscontrata situazione di pericolo è derivata esclusivamente dall’iniziativa di altro soggetto che, avendo acquistato, nel 2007, una porzione dello stabile, ha eseguito lavori di ristrutturazione che hanno danneggiato le unità immobiliari a lei intestate.
Aggiunge, al riguardo, di non disporre delle risorse finanziarie necessarie per mettere il fabbricato in sicurezza e di avere promosso, nei confronti del responsabile, un’azione civile, all’esito della quale le è stato riconosciuto un ristoro economico, per il cui recupero ella ha dovuto agire coattivamente, onde è palese, a suo modo di vedere, che l’omessa esecuzione dei lavori non è ascrivibile a suo dolo o colpa, avendo ella, anzi, diligentemente profuso ogni sforzo al fine di eliminare il rischio di rovina dell’edificio.
Con il terzo motivo, si duole dell’omessa applicazione della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., che sarebbe stata
imposta dalla peculiarità della vicenda, che la ha vista costretta, per ragioni a lei del tutto estranee, ad abbandonare, suo malgrado, l’immobile ed a patire ingente pregiudizio sul piano economico.
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, il 14 settembre 2023, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, mentre la ricorrente, con atto del 9 ottobre 2023, ha insistito per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
NOME COGNOME risponde della contravvenzione prevista dall’art. 677, terzo comma, cod. pen., fattispecie connotata dal concreto pericolo per l’incolumità delle persone, che, come sottolineato dalla ricorrente, deve essere oggetto, per giurisprudenza consolidata e condivisa (cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 6596 del 17/01/2008, COGNOME, Rv. 239127 – 01; Sez. 1, n. 16285 del 03/05/2006, Vestuto, Rv. 234435 – 01) di apposito accertamento.
Sul punto, la COGNOME articola una censura che, però, trova smentita nel tenore dell’ordinanza sindacale contenente le prescrizioni che ella non ha rispettato, che, nel descrivere i presupposti per l’esercizio del potere sindacale, precisa, tra l’altro, che sul balcone del primo piano è stata realizzata una pensilina in legno poggiata su pilastri che non risultano ancorati al pavimento e, a sua volta, non ancorata alla parete, con alto rischio di collasso che andrebbe ad interessare la sottostante strada comunale pubblica, e che l’inosservanza delle norme in materia di sicurezza, salubrità ed igiene determina pericolo sia per gli eventuali utilizzatori dell’immobile che per l’incolumità dei passanti.
Tanto basta a dimostrare che la sentenza impugnata è stata emessa al cospetto di una situazione di pericolo la cui concretezza è stato oggetto, a dispetto di quanto obiettato dall’interessata, di precipuo apprezzamento.
Parimenti privo di pregio è il secondo motivo, con il quale si fanno valere circostanze di fatto non idonee ad escludere la responsabilità, quantomeno a titolo di colpa, dell’imputata la quale, resa edotta dell’obbligo di provvedere, entro il termine indicato, alla messa in sicurezza dell’immobile, è rimasta del tutto inerte.
Ineccepibili si palesano, al riguardo, le considerazioni svolte dal Tribunale, con il conforto di pertinenti riferimenti giurisprudenziali, in relazione:
all’irrilevanza, a questi fini, dell’origine del pericolo e della sua attribuibil all’imputato; al carattere permanente della contravvenzione; all’esclusione dell’addebito nei soli casi in cui il soggetto tenuto ad intervenire dimostri di essere stato nell’oggettiva impossibilità di adempiere.
Prova, quest’ultima, che la COGNOME – costantemente inottemperante, è bene ribadire, per ben tredici mesi – ha vanamente tentato di fornire in dibattimento, ove ha allegato un impedimento, di natura essenzialmente economica, che ella avrebbe dovuto far valere, a riprova della propria diligenza, nel termine assegnatole o, comunque, prima dell’avvio del presente procedimento penale.
Il terzo motivo di ricorso, vertente sul rigetto della richiesta, formulata dall’imputata nelle conclusioni, di declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è, pure, infondato.
Il Tribunale ha, invero, ritenuto che la vicenda si connoti per un significativo coefficiente di disvalore fattuale e giuridico, desunto dal protrarsi dell’omissione e dell’assenza di successive condotte dell’imputata volte al contenimento del rischio di rovina dell’immobile che ella ha abbandonato in forza di quanto previsto da precedente ordinanza.
La ricorrente, per contro, svolge contestazioni di tangibile fragilità, che attengono all’astratta riconoscibilità del beneficio e formula obiezioni che – nel riproporre il tema dell’assenza di lucro e dell’estraneità agli eventi, per lei altamente pregiudizievoli, che hanno generato il dissesto – non tengono conto delle caratteristiche dell’istituto evocato e, precipuamente, dell’interpretazione che ne ha fornito la giurisprudenza di legittimità, rispetto alla quale la decisione impugnata si pone in linea di coerente continuità.
Pertinente si palesa, in proposito, il richiamo all’indirizzo ermeneutico secondo cui nell’interpretazione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto il giudice di merito, chiamato a pronunziarsi sulla relativa richiesta, è tenuto a fornire adeguata motivazione del suo convincimento, frutto della valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, compiuta utilizzando quali parametri di riferimento i criteri previsti dall’art. 133, comma 1, cod. pen. – modalità della condotta, grado di colpevolezza da esse desumibile ed entità del danno o del pericolo – e, specificamente, indicando quelli ritenuti all’uopo rilevanti (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590; Sez. 2, n. 37834 del 02/12/2020, Mifsud, Rv. 280466 – 01; Sez. 6, n. 5107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647).
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spes processuali.
Così deciso il 25/10/2023.