Omissione Contributiva e Crisi di Liquidità: Quando il Reato Non Ammette Scuse
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per molti imprenditori: la responsabilità penale per l’omissione contributiva in un contesto di grave crisi finanziaria. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: le difficoltà economiche non costituiscono una giustificazione valida per il mancato versamento dei contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.
Il Caso: L’Imprenditore e i Contributi Non Versati
Un imprenditore veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 2, comma 1 bis, del D.L. 463/1983. L’accusa era di aver omesso di versare all’INPS le somme trattenute sulle retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti, per un ammontare superiore a 210.000 euro.
L’imprenditore ha presentato ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali:
1. A causa di una grave crisi di liquidità, non era stata integralmente corrisposta la retribuzione ai dipendenti. Secondo il ricorrente, ciò faceva venir meno l’elemento oggettivo del reato di omissione contributiva.
2. In subordine, chiedeva il riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis del codice penale.
Le Decisioni dei Giudici di Merito
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le tesi difensive, confermando la condanna dell’imprenditore. I giudici di merito hanno ritenuto che la crisi finanziaria non potesse scagionare l’imputato, in quanto l’obbligo di accantonare e versare le ritenute previdenziali sorge contestualmente al pagamento della retribuzione, anche se solo in parte.
L’Omissione Contributiva Secondo la Cassazione: Le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti essenziali sulla natura e sui presupposti del reato di omissione contributiva.
La Crisi Finanziaria Non è una Giustificazione Valida
Il cuore della decisione risiede nell’affermazione che le censure del ricorrente non rientrano nei motivi consentiti in sede di legittimità (il cosiddetto numerus clausus), in quanto mirano a una nuova valutazione dei fatti, compito esclusivo dei giudici di merito. La Suprema Corte ha evidenziato come la motivazione della Corte d’Appello fosse completa, logica e ben argomentata. In particolare, è stata sottolineata l’irrilevanza della crisi economica e finanziaria. Secondo i giudici, l’importo da corrispondere all’INPS avrebbe dovuto essere accantonato immediatamente al momento del pagamento delle retribuzioni. L’imprenditore, in qualità di sostituto d’imposta, ha l’obbligo di separare le somme destinate all’ente previdenziale dal proprio patrimonio, indipendentemente dalle difficoltà economiche.
L’Irrilevanza del Pagamento Parziale delle Retribuzioni
La Cassazione ha inoltre respinto l’argomento secondo cui il mancato pagamento integrale delle retribuzioni escluderebbe il reato. L’obbligo di versare le ritenute sorge nel momento in cui viene corrisposta una qualsiasi parte della retribuzione. L’imprenditore non può scegliere di utilizzare quei fondi per altre spese, anche se urgenti, perché si tratta di somme di cui ha la mera detenzione per conto di un ente terzo (l’INPS).
Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto
Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito di escludere l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. La motivazione è stata giudicata congrua e priva di vizi logici, tenendo anche conto della circostanza che l’imprenditore non aveva provveduto, neanche successivamente, al pagamento del debito previdenziale.
Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza
Questa ordinanza della Cassazione rappresenta un monito importante per tutti i datori di lavoro. L’obbligo di versare i contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti è assoluto e non ammette deroghe, neppure di fronte a comprovate difficoltà finanziarie. Il datore di lavoro agisce come un custode di somme non sue, che devono essere versate all’ente previdenziale senza eccezioni. La sentenza chiarisce che la crisi di liquidità è un rischio d’impresa che non può essere scaricato né sui lavoratori né sulla collettività attraverso il mancato adempimento degli obblighi contributivi. La condanna penale per l’omissione contributiva, quindi, rimane una conseguenza concreta e difficilmente evitabile per chi non rispetta tali doveri.
La crisi di liquidità dell’azienda può giustificare l’omissione contributiva?
No, secondo la Corte di Cassazione la crisi economica e finanziaria non è una giustificazione valida. L’obbligo di accantonare le somme da versare all’INPS sorge al momento della corresponsione della retribuzione e l’importo dovuto avrebbe dovuto essere messo da parte immediatamente.
Il reato di omissione contributiva sussiste anche se la retribuzione non è stata pagata per intero ai dipendenti?
Sì. La Corte ha chiarito che l’obbligo di versare le trattenute previdenziali sorge con la corresponsione della retribuzione, anche se parziale. Non è necessario che la retribuzione sia stata pagata integralmente.
Perché è stata esclusa la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.)?
La Corte territoriale ha escluso la particolare tenuità del fatto con una motivazione ritenuta congrua e logica dalla Cassazione. Un fattore rilevante in questa decisione è stata l’assenza del successivo pagamento del debito previdenziale da parte dell’imprenditore.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37542 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37542 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 21/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/02/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, quale la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza con la quale, il prece giugno 2023, il Tribunale di Messina lo aveva condannato alla pena ritenuta di gi avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 2, comma 1 bis, DIvo 683/1 aver omesso di versare all’INPS le somme trattenute sulle retribuzioni corrisposte ai di ammontanti a oltre euro 210.000. Il ricorrente deduce, con Il primo motivo di ricorso, vi di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità per contestazione, rappresentando che, a causa della grave crisi di liquidita, non integralmente corrisposta la retribuzione ai dipendenti che, peraltro, prestavano la lo presso punti vendita gestiti autonomamente, e quindi l’insussistenza dell’elemento ogget reato; con il secondo motivo, deduce mancato riconoscimento della causa di non punibil cui all’art. 131 bis cod. pen.
Considerato che la doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducib sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzio riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono i in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una ricostruzione precisa e circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le d difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni, in punto di responsabilità, attr disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censur sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificab di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, come dalle considerazioni formulate dal giudice a quo, laddove ha affermato la irrilevanza della crisi economica e finanziaria tale da impedire, a detta del ricorrente, l’adempimento dell’obbl posto che l’importo da corrispondere all’INPS avrebbe dovuto essere accant immediatamente. Peraltro, neppure rileva il fatto che gli incassi degli esercizi commer fossero immediatamente disponibili attesa l’esistenza di rapporti di affitto di ramo sorgendo l’obbligo di accantonamento delle somme da versare all’INPS con la correspons della retribuzione. Nè risulta che sia stato specificatamente dedotta dal ricorrente c d’appello la questione inerente alla mancata corresponsione delle retribuzioni ai lavor esclusivamente il profilo inerente alla sussistenza di una crisi liquidità, fronteggiat di lavoro con il pagamento delle sole spese più urgenti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In ordine la seconda doglianza, la Corte territoriale, con motivazione congrua ed es vizi logico giuridici, ha escluso la particolare tenuità del fatto, anche in assenza de pagamento del debito previdenziale.
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricor pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese proc e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Il Consigliere estensore
Così deciso in Roma, il 21/06/2024
Il Presidente