Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20369 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20369 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a MERANO il 27/07/1999
avverso la sentenza del 11/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME con cui ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza, ex art. 442 cod. proc. pen., del Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Novara di condanna di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 589 bis, commi 4 e 8, cod. pen., ritenuto in esso assorbito quello di cui all’art. 186, commi 1 e 2 lett. c) , 2 bis e 2 sexies, GLYPH d.lgs 30 aprile 1992 n. 285 (commesso in Bellinzago Novarese 1’8 ottobre 2022) alla pena di anni 7 di reclusione.
I fatti nelle conformi sentenze di merito sono stati ricostruiti nel modo seguente. Nella prima mattina dell’8 ottobre 2022, verso le ore 06:00, NOME COGNOME alla guida della autovettura Renault Megane, percorrendo alla velocità di 100 km/h (superiore ai limiti previsti in loco di 50 km/h) la strada SP4 in direzione di marcia Cameri-Bellinzago Novarese, all’altezza della chilometrica 5+600, aveva perso il controllo del veicolo, fuoriuscendo dalla sede stradale e terminando la corsa contro il cordolo di cemento armato posizionato come protezione sul ponte del canale irriguo “Est Sesia”; in conseguenza dell’urto contro la barriera, il veicolo era stato sbalzato nel senso opposto di marcia e aveva terminato il suo moto contro la barriera di cemento posizionata sul lato opposto del ponte; i passeggeri dell’autovettura condotta da COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano deceduti a seguito delle gravi lesioni subite, la prima immediatamente e il secondo poco dopo essere giunto presso il pronto soccorso dell’ospedale di Novara.
NOME era stato sottoposto all’alcoltest da cui era emerso un tasso alcolemico di 1,36 g/1 alla prima prova e di 1,27 g/I alla seconda prova; da ulteriori esami effettuati presso l’ospedale era emersa anche la pregressa assunzione di sostanze stupefacenti del tipo cocaina.
Nei confronti dell’imputato, quali addebiti di colpa, sono stati individuati la negligenza l’imprudenza e l’imperizia e la violazione degli artt. 141 e 186 CdS.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo di difensore, formulando tre motivi.
2.1 Con il primo,. ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla configurazione della circostanza aggravante di cui all’art. 589 bis, comma 4, cod. pen.. Secondo il difensore la Corte si sarebbe “accontentata” della prova dell’alterazione alcolica di Suppa, senza vagliarne il nesso eziologico con l’evento incidente. Al fine di valorizzare il principio di colpevolezza -argomenta il difensore- occorre che fra lo stato di ubriachezza e la causazione dell’evento vi sia un nesso di derivazione causale e l’accertamento della colpa in concreto come coefficiente minimo di responsabilità: laddove non sia accertato il nesso di
causalità tra l’ubriachezza e l’evento lesivo, si dovrebbe contestare l’art. 186 CdS in concorso con l’omicidio stradale e non le fattispecie aggravate di cui ai commi 2 e 4 dell’art. 589 bis cod. pen., in quanto l’assorbimento della fattispecie di cui all’art. 186 CdS nel reato di omicidio colposo è giustificato solo se il fatto dell’alterazione alcolica abbia contribuito a cagionare l’evento infausto. La Corte, in proposito, si era limitata a rilevare che COGNOME aveva condotto l’autovettura a velocità sostenuta e si era posto alla guida nonostante la stanchezza e, in tal modo, aveva valorizzato indicatori che nulla avevano a che vedere con lo stato di ebbrezza.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione per avere la Corte di appello escluso la configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 589 bis, comma 7, cod. pen.. Il difensore osserva che l’impostazione della Corte, per cui il concorso di colpa può sussistere solo in un caso di cooperazione attiva alla creazione del fatto colposo del danneggiante non sarebbe condivisibile, in quanto in contrasto con l’interpretazione data dalla giurisprudenza civile del concetto di concorso di colpa che sussiste pacificamente nell’ipotesi di soggetto che accetti di farsi trasportare dal conducente sotto l’effetto dell’alterazione alcolica (Cass Civ. n. 24920/24). Nel caso in esame è evidente che le parti civili avevano contezza dell’assunzione di sostanze alcoliche da parte di COGNOME, avendo trascorso l’intera serata a bere insieme prima in un locale ad Arona e poi presso l’abitazione di COGNOME Syria.
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il difensore rileva che dette circostanze possono essere riconosciute anche a fronte di una condotta molto grave, in ragione della valorizzazione di altri elementi, quali, nel caso di specie, la giovane età dell’imputato, il percorso riabilitativo intrapreso, inspiegabilmente ritenuto tardivo dalla Corte, il pentimento espresso nel corso del processo, senza che possa avere invece rilievo il mancato risarcimento del danno, stante la situazione di indigenza.
2.4 Con il quarto motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione per avere la Corte di appello determinato il trattamento sanzionatorio, senza tenere conto della pena naturale patita dall’imputato derivante dall’avere perso persone a lui care e senza esplicitare le ragioni della entità della pena base, individuata in misura nettamente superiore al minimo edittale.
Il Procuratore generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Le parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato memoria con cui hanno chiesto rigettarsi il ricorso e condannare l’imputato alla refusione delle spese sostenute.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Il primo motivo, incentrato sulla configurabilità dell’ipotesi di cui all’ar 589 bis, comma 2, cod. pen., è infondato.
2.1.11 primo comma dell’art. 589 bis cod pen. sanziona, in via autonoma, la condotta di “chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale”, prevedendone la punizione con la reclusione da due a sette anni. Nei commi successivi è invece disciplinata una serie di ipotesi aggravate caratterizzate dalla peculiare rilevanza delle norme cautelari violate. In particolare, viene prevista un’articolata disciplina per colui che ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, causi l’evento mortale. La pena è, infatti, da cinque a dieci anni per il caso di ubriachezza c.d. intermedia, cioè nelle ipotesi di tasso alcolennico superiore ad 0,8 e non superiore a 1,5 g/I (comma 4) e da otto a dodici anni quando tale tasso oltrepassi 1,5 g/I (ubriachezza c.d. grave) o vi sia stata assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope (comma 2). La stessa pena si applica a chi esercita professionalmente l’attività di trasporto di persone e al momento dell’incidente sia in stato in stato di ebbrezza alcolica c.d. intermedia (comma 3).
La giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che in tali casi la fattispecie contravvenzionale di guida in stato di ebbrezza, astrattamente prevista come reato autonomo, è elemento circostanziale di altro reato e risulta così in esso assorbita, secondo lo schema del reato complesso disciplinato dall’art. 84 cod. pen. (Sez. 4, n. 50325 del 10/10/2018, K., Rv. 274050 – 01 Sez., n. 26857 del 29/05/2018, Vercesi, Rv. 273730) superando l’orientamento diffuso prima della entrata in vigore della fattispecie di omicidio stradale, secondo cui si ha concorso di reati, e non un reato complesso, in caso di omicidio colposo qualificato dalla circostanza aggravante della violazione di norme sulla circolazione stradale, quando detta violazione dia, di per sé, luogo ad un illecito contravvenzionale (cfr. Sez. 4, n. 1880 del 19/11/2015, dep. 2016, P.G. in proc, Greco, Rv. 265430; Sez. 4, n. 3559 del 29/10/2009, dep. 2010, Corridori, Rv. 246300; Sez. 5, n. 2608 del 15/01/1997, COGNOME, Rv. 141422). Si è a tale fine sottolineato che, a seguito dell’entrata in vigore della L. 23 marzo 2016, n. 41, e quindi a decorrere dal 25
marzo 2016, l’art. 589 bis cod. pen. tratteggia una chiara sovrapposizione soggettiva e spazio-temporale delle condotte punite, con la conseguenza che il disvalore del fatto stigmatizzato dalla contravvenzione non potrà non ritenersi assorbito dall’apposita circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio “stradale”, in quanto il fatto di stare guidando in stato di ebbrezza, autonomamente punito dal codice della strada, è espressamente considerato requisito modale della condotta di omicidio “stradale” aggravato ex art. 589 bis cod. pen.
Quanto al rapporto che deve sussistere fra lo stato di ebbrezza e l’incidente stradale, il collegio intende dare continuità all’indirizzo già espresso da questa corte di legittimità nella sentenza Sez 4 n. 4882 del 21/11/2019, COGNOME, non mass. secondo cui “Il testo dell’art. 589 bis, co. 2, c.p., invero, non riconduce la fattispecie aggravata all’ipotesi in cui lo stato di ebbrezza sia la causa del sinistro mortale, ma indica nello stato di ebbrezza il presupposto di applicazione dell’aggravante”.
Il legislatore, infatti, stabilisce l’aggravamento per l’ipotesi in cui conducente, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, cagioni, per la violazione delle norme sulla circolazione stradale, la morte di una persona. E ciò in quanto il sinistro provocato dal conducente che si trovi in siffatte condizioni realizza quel pericolo che le disposizioni di cui all’art. 186 (e 187) CdS, mirano ad evitare.
Nel senso che, ai fini della configurabilità della fattispecie aggravata, non occorre provare che lo stato di ebbrezza sia causa del sinistro militano anche i seguenti argomenti:
la scelta legislativa di introdurre con la fattispecie autonoma dell’omicidio stradale un reato complesso in cui la contravvenzione di cui all’art. 186 CdS. perde la propria autonomia;
-la formulazione letterale della fattispecie complessa che antepone la condotta di cui all’art. 186, comma 2, lett. c) (secondo comma) o lett. b) (quarto comma), alla condotta colposa del cagionare la morte di una persona, dimostrando la scelta legislativa di punire più gravemente l’omicidio colposo del conducente ebbro, ancorché lo stato di ebbrezza sia ininfluente sulla causazione del sinistro. La guida in stato di ebbrezza è concepita come presupposto (“ponendosi alla guida”) di altra condotta colposa casuale rispetto all’evento (“cagiona per colpa”) e la previsione per cui la condotta causale deve essere colposa sta a significare che la colpa che viene in rilievo è autonoma e ulteriore rispetto a quella della violazione dell’art. 186 CdS.
2.2.Ciò premesso, nel caso in esame, a proposito della configurazione della circostanza aggravante di cui all’art. 589 bis, comma 4, cod. peri., la Corte di appello ha premesso che lo stato di ebbrezza costituisce il presupposto di detta aggravante, ancorché non incidente sulla causazione del sinistro, in conformità ai principi su indicati.
In ogni caso la Corte ha, anche, spiegato come, nel caso concreto, lo stato di ebbrezza avesse inciso nel decorso causale che aveva condotto alla morte dei passeggeri trasportati sull’auto del ricorrente, evidenziando che, per sua stessa ammissione (nel corso dell’interrogatorio di garanzia), NOME si era posto alla guida dopo aver consumato, in maniera significativa, sostanze alcoliche e, procedendo ad una velocità di gran lunga superiore a quella consentita, si era all’improvviso addormentato. Da tali elementi, la Corte ha desunto, in maniera non illogica, che lo stato di ebbrezza avesse influito sui riflessi del conducente e sulla sua condotta di guida, determinando la perdita di controllo del veicolo, uscito dalla sede stradale.
Il terzo motivo, incentrato sulla configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 589 bis, comma 7, cod. pen., è infondato.
3.1.Secondo il ricorrente il comportamento delle vittime, consistito nel farsi trasportare in auto da un soggetto nella consapevolezza del suo stato di ebbrezza, sarebbe colposo e avrebbe inciso causalmente nella determinazione dell’evento.
La Corte di appello ha escluso la configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 589 bis, comma 7, cod. peri., rilevando che può ravvisarsi il concorso di colpa solo in caso di “cooperazione attiva nella creazione del fatto colposo del danneggiante” e che “accettare il rischio di salire in macchina con un conducente che abbia il tasso alcolemico eccessivo, ammesso e non concesso che i passeggeri ne fossero consapevoli, circostanza del tutto indimostrata, non è comportamento materiale di cooperazione incidente nella determinazione dell’evento dannoso”.
Il collegio ritiene che debba essere confermata la decisione in ordine alla non configurabilità della circostanza attenuante in esame, pur dovendosi rettificare il percorso argomentativo adottato dalla sentenza impugnata.
3.2 Secondo la norma in esame, “qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà”. Analoga previsione si rinviene nell’art. 590 bis, comma 6, cod. pen. con riferimento al reato di lesioni personali stradali (o nautiche) gravi o gravissime.
Tale disposizione deve essere letta in maniera coordinata con la fattispecie incriminatrice base, descritta nell’art. 589 bis, comma 1, cod. pen. che punisce chiunque cagiona per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla circolazione stradale (o della navigazione marittima o interna).
Nella originaria formulazione, la disposizione in questione (così come quella omologa di cui all’art. 590 bis, comma 6, cod. pen.) faceva riferimento al solo contributo colposo della vittima. Nella versione definitivamente approvata individua, quale fattore di mitigazione del trattamento sanzionatorio, l’essere stato l’evento determinato da concause ulteriori rispetto all’azione o omissione del colpevole: la ratio sembra, dunque, da individuarsi nella minore gravità dell’ipotesi in cui l’evento sia riconducile a più fattori eziologici.
Occorre chiedersi, dunque, quando e a quali condizioni l’evento del reato di cui all’art. 589 bis cod. pen. sia riconducibile a più fattori eziologici.
Nella giurisprudenza di legittimità, pacificamente sono stati ritenuti fattori eziologici rilevanti, la condotta colposa della vittima o di terzi concausali rispetto all’evento. Si è, dunque, ritenuta ravvisabile tale circostanza attenuante nel caso della vittima che a bordo della bicicletta, viaggiando in prossimità del centro della carreggiata e non già del margine destro, era stata investita dal conducente di un’autovettura che, procedendo nello stesso senso di marcia, stava rientrando da un sorpasso effettuato in un tratto di strada curvilineo di (Sez. 4, n. 20091 del 19/01/2021, COGNOME, Rv. 281173 con cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva escluso la circostanza attenuante in questione); nel caso della violazione dell’art. 190 CdS da parte del pedone che, nel percorrere una strada a doppio senso di circolazione priva di marciapiedi, non aveva camminato sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli, (Sez. 4 n. 46668 del 08/11/2022, Sola, Rv. 283766).
Tuttavia, muovendo dal dato letterale che fa riferimento, appunto, al concorso di cause, la stessa giurisprudenza di legittimità ha ritenuto ravvisabile la circostanza in esame non solo nel caso del contributo concorrente colposo fornito dalla vittima o da terzi nella determinazione dell’evento, ma anche nel caso di contributo rappresentato da fattori esterni e accadimenti naturali.
In tal senso Sez. 4, n. 54576 del 07/11/2018, COGNOME Rv. 274504 – 01 ha affermato che “la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589-bis, comma settimo, cod. pen., che fa riferimento all’ipotesi in cui l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione od omissione del colpevole, ricorre nel caso in cui sia stato accertato un comportamento colposo, anche di minima rilevanza, della vittima o di terzi, o qualunque concorrente causa esterna, anche non costituita da condotta umana, al di fuori delle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore”: il caso affrontato nella pronuncia era quello di un incidente stradale
al quale aveva concorso anche l’attraversamento della carreggiata da parte di animali selvatici.
Analogamente secondo Sez. 4, n. 13103 del 21/12/2018, dep. 2019, Stauber, Rv. 276254 – 01 “la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589-bis, comma settimo, cod. pen., che fa riferimento all’ipotesi in cui l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione od omissione del colpevole, ricorre non solo nelle ipotesi costituite dal contributo concorrente fornito dalla vittima nella determinazione dell’evento, ma anche in ogni altra ipotesi che sia dipesa dalla condotta di altri conducenti e da altri fattori esterni da individuarsi di volta in volta”. Con tale sentenza si è sostenuto che “per l’ampiezza della sua formulazione, l’attenuante in esame, attingendo a qualunque interferenza sul piano causale – che non siano quelle idonee ad escludere la responsabilità ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. pen.- si presta a legittimare la sua applicazione in presenza di qualsivoglia fattore eziologico (anche concause di tipo oggettivo, frequentemente ricorrenti nell’ambito di sinistri stradale.
In Sez. 4, n. 24910 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281559 – 01 si è dato rilievo alle condizioni atmosferiche e si è affermato che “la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589-bis, comma settimo, cod. pen., che fa riferimento all’ipotesi in cui l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione od omissione del colpevole, ricorre nel caso in cui sia stata accertata qualunque concorrente causa esterna, anche non costituita da condotta umana, al di fuori delle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore. (Fattispecie relativa all’investimento di un pedone da parte del conducente di un’autovettura, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che non aveva riconosciuto l’attenuante omettendo di valutare l’incidenza, sulla visibilità dello stato dei luoghi, della forte precipitazione in corso al momento del fatto).”
3.3.11 collegio ritiene che GLYPH l’interpretazione fondata unicamente sulla lettera della disposizione in parola, per cui ai fini della configurazione della circostanza attenuante in esame, può rilevare qualsiasi fattore esterno, concausale in termini naturalistici rispetto all’evento, determini un allargamento del suo ambito applicativo, in contrasto con la ratio ad essa sottesa, da rinvenirsi in un minore coefficiente di responsabilità dell’autore del reato di omicidio stradale.
Tale interpretazione, infatti, finisce per riconnprendere antecedenti di fatto anche remoti e/o “neutri”, risultando, pertanto, di nessuna attitudine selettiva. Tuttavia, la necessità di individuare un criterio di selezione discende, in primo luogo, dalla riconosciuta incapacità della condicio sine qua non di evitare il c.d. regresso all’infinito (cfr. Sez. 4, n. 33393 del 3/06/2021, non mass.). Tanto ciò è vero che questa Corte, pur avendo, come detto, adottato una interpretazione molto ampia, fino a dare rilievo ad accadimenti riturali e comportamenti di
animali, tuttavia, ha precisato che “la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589-bis, comma settimo, cod. pen., non ricorre nel caso in cui sia stato accertato un comportamento della vittima perfettamente lecito e completamente estraneo al decorso causale dell’evento colposo. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza che aveva escluso l’attenuante in relazione ad un tamponamento violento che aveva causato la morte di una persona che, munita di cintura di sicurezza, si trovava alla guida di un’autovettura ferma al semaforo rosso, escludendo che potesse considerarsi fattore concausale, cui rapportare la minore gravità della condotta, il tipo di autovettura della vittima – d’epoca e priva di “air bag”, con telaio leggero e assetto estremamente basso – dotata, comunque, dei requisiti di sicurezza previsti dalla legge per circolare)”(Sez. 4 , n. 13587 del 26/02/2019, Mendoza, Rv. 275873 – 01).
Le sentenze su indicate, nell’affermare il principio per cui la circostanza attenuante in esame è configurabile anche nel caso di concause rappresentate da fattori esterni e accadimenti naturali, valorizzano il dato letterale, ma non esplicitano argomenti a sostegno di tale assunto, né affrontano in maniera compiuta il tema dell’inquadramento della norma nell’ambito della disciplina del nesso di causa.
3.4. In proposito si è sostenuto in dottrina come susciti perplessità il riferimento “a un evento che non sia conseguenza esclusiva della condotta del colpevole”, in quanto lo schema giuridico della condicio sine qua non muove proprio dal presupposto per cui la causa penalmente rilevante sia costituita da una pluralità di condizioni: il fatto che la condotta umana risulti necessaria, ma non sufficiente nella spiegazione causale dell’evento rappresenta, dunque, la fisiologica premessa dell’accertamento eziologico. Si è messo in evidenza che la formulazione della norma contempla in astratto anche contributi della vittima o di terzi né dolosi, né colposi, con una possibile estensione applicativa molto ampia, tale da operare quale regime derogatorio rispetto all’art. 41 cod. pen.: ciò determinerebbe effetti di possibile incoerenza rispetto all’intento repressivo cui è ispirata la riforma e riflessi di dubbia ragionevolezza per la scelta di intervenire solo con riferimento allo specifico settore dei reati stradali, anziché attraverso norme di carattere generale.
3.5. Nella individuazione dei confini applicativi della disposizione in esame, si deve muovere dalla premessa che la norma, nel riferirsi alle ipotesi in cui l’evento non sia conseguenza esclusiva della azione o omissione, rimanda alla disciplina della causalità delineata dagli artt. 40 e 41 cod. pen. In forza di tale impianto normativo, perché un soggetto possa essere chiamato a rispondere di un fatto preveduto dalla legge come reato, è necessario che l’evento dannoso o pericoloso sia conseguenza della sua azione o omissione; il concorso di cause preesistenti,
simultanee o sopravvenute non esclude il rapporto di causalità fra l’azione o l’omissione e l’evento, a meno che non si tratti di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento. Il successivo art. 45 cod. pen. stabilisce che non è punibile chi abbia commesso il fatto per (caso fortuito) o forza maggiore.
Può, dunque, in primo luogo affermarsi che la concausa che vale a configurare l’attenuante, non può essere né il fattore che integra la forza maggiore, ex art. 45 cod. pen., né il fattore che determina la interruzione del nesso causale ex art. 41, comma 2, cod. pen.
Concausa, ai fini della attenuante in esame, non può essere neppure il fattore determinante la colpa del soggetto agente, perché tale fattore è niente altro che la causa messa in atto da tale soggetto e, in tale ipotesi, l’evento rimane conseguenza esclusiva della sua azione od omissione. La fattispecie incriminatrice, infatti, punisce la condotta di chi cagiona la morte con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. Ne consegue che i fattori che, concorrendo alla causazione dell’evento per essersi inseriti nel decorso causale innescato dalla condotta colposa del soggetto agente, comportano, secondo l’intenzione del legislatore, la mitigazione del trattamento sanzionatorio, non possono coincidere con quelli già ricompresi nell’area di rischio demandata al governo del soggetto agente. In altri termini, colui che circola è tenuto alla osservanza delle norme che regolano la circolazione ed è tenuto, dunque, a gestire i relativi rischi nel rispetto di dette norme. Nell’area di rischio governata dal conducente, possono rientrare anche i c.d. fattori esterni, quali gli accadimenti della natura, ovvero il comportamento degli animali, in presenza dei quali il soggetto agente è tenuto ad osservare le regole di condotta dettate dal codice della strada. Così, per esemplificare, in presenza di condizioni climatiche avverse, il conducente di un mezzo è tenuto, ai sensi dell’art. 141 CdS, a regolare la velocità anche in relazione alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, in modo che sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose e ogni altra causa di disordine per la circolazione. Nel caso si verifichi un incidente mortale (o da cui derivino lesioni gravi o gravissime) per non essere stato il conducente in grado di conservare il controllo del mezzo, se le condizioni atmosferiche assumono il carattere della forza maggiore, ex art. 45 cod. pen., il soggetto agente andrà esente da responsabilità; in caso contrario le condizioni atmosferiche avverse non potranno avere efficacia, sul piano penale, concausale rispetto all’evento, in quanto sono “accadimenti” che rientrano nell’area di rischio che il conducente è tenuto a governare e di cui deve tenere conto nella condotta di guida. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
O ancora si pensi al caso dell’incidente determinato dall’attraversamento di un animale per la strada: anche in questo caso, se la presenza dell’animale era
prevedibile, l’evento morte (o lesioni) del passeggero o di altro utente della strada dovrà essere imputato alla condotta esclusiva del conducente del mezzo, tenuto, appunto, ad osservare le regole di condotta di guida dettate anche per l’ipotesi in cui si verifichi tale eventualità; al contrario, se la presenza dell’animale non era prevedibile (in ragione del tipo di strada e del difetto di segnalazione), l’evento non potrà essere imputato alla condotta del conducente, ma semmai dovrà trovare applicazione l’art. 41, comma 2, cod. pen.
Ai fini, dunque, della integrazione della circostanza attenuante in esame, non possono essere prese in considerazione concause apparenti, che, in realtà, sono meri fattori ricompresi nell’area di rischio demandata dal legislatore, attraverso la previsione di specifiche regole di condotta, al governo del conducente del mezzo. La diversa interpretazione, delineatasi, come visto, GLYPH in qualche pronuncia di legittimità, GLYPH è intrinsecamente incoerente con l’addebito colposo mosso all’autore del reato: la stessa situazione (quale, per tornare ad una delle possibili esemplificazioni, quella che si determina per effetto di condizioni climatiche avverse) non può, infatti, essere il presupposto su cui si innestano le regole cautelari violate e, nello stesso tempo, fattore concausale dell’evento morte (o lesioni) cagionato con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.
Deve, dunque, GLYPH affermarsi che, in tema di circostanza attenuante di cui all’art.589 bis, comma 7, cod. pen., l’evento non è conseguenza esclusiva dell’azione o omissione del colpevole, quando alla sua verificazione abbiano concorso fattori diversi da quelli ricompresi nell’area di rischio demandata dal legislatore, attraverso la previsione di specifiche regole di condotta, al governo del conducente del mezzo.
Conclusivamente, nel perimetro delle concause rilevanti ai fini GLYPH della circostanza attenuante in esame, potranno essere ricompresi solo i fattori, diversi da quelli di per sé soli sufficienti a determinare l’evento e dalla forza maggiore, che concorrono con la condotta colposa del soggetto agente alla verificazione dell’evento, rimanendo ad essa estranea.
Venendo al tema oggetto del ricorso, nel caso di specie, il ricorrente lamenta che non sia stato dato rilievo alla condotta delle vittime che, imprudentemente, erano salite sull’autovettura di Suppa, pur consapevoli del fatto che questi avesse bevuto.
In proposito si deve premettere che, avendo la Corte di Appello ritenuto che lo stato di ebbrezza avesse inciso causalmente sul sinistro, la questione ha rilevanza.
Tuttavia, sulla base dei principi sopra enucleati, si deve concludere che tale condotta non può essere considerata concausale, in quanto il divieto di porsi alla guida in stato di ebbrezza alcolica (art. 186 CdS) è previsto a salvaguardia anche dei soggetti trasportati, sicché è responsabilità del conducente non mettere a rischio la loro incolumità, guidando in tale stato. Quello che nella prospettiva del ricorrente è fattore concausale autonomo è, in realtà, il “contenuto” della regola cautelare violata dal soggetto agente-conducente dell’autovettura, il quale, proprio perché in stato di ebrezza, avrebbe dovuto astenersi dalla guida e dal trasporto di altre persone, consapevoli o meno che fossero di tale stato. Ancora una volta soccorre la nozione di area di rischio governata dal soggetto agente: la “colpa” del passeggero, consistita nel salire sul mezzo, pur conoscendo lo stato di ebbrezza del conducente, non può ritenersi concausale, in quanto la regola cautelare violata dal conducente stesso è volta a scongiurare l’evento correlato a tale trasporto.
Il richiamo contenuto nel ricorso alla ordinanza n. 24920 del 17/09/2024, Rv. 672441 non è pertinente. Invero essa afferma che: arl’art. 1227, comma primo, c.c., interpretato in senso coerente con la Direttiva 2009/103, non consente di ritenere, in via generale ed astratta, che sia sempre e necessariamente in colpa la persona la quale, dopo aver accettato di essere trasportata a bordo d’un veicolo a motore condotto da persona in stato di ebbrezza, rimanga coinvolta in un sinistro stradale ascrivibile a responsabilità del conducente. Una simile interpretazione infatti contrasterebbe con l’art. 13, § 3, della Direttiva 2009/103, nella parte in cui vieta agli Stati membri di considerare “senza effetto”, rispetto all’azione risarcitoria spettante al trasportato, “qualsiasi disposizione di legge (…) che escluda un passeggero dalla copertura assicurativa in base alla circostanza che sapeva o avrebbe dovuto sapere che il conducente del veicolo era sotto gli effetti dell’alcol”. Spetterà dunque al giudice di merito valutare in concreto, secondo tutte le circostanze del caso, se ed in che misura la condotta della vittima possa dirsi concausa del sinistro, fermo restando il divieto di valutazioni che escludano interamente il diritto al risarcimento spettante al trasportato nei confronti dell’assicuratore del vettore”; (b) “l’accertamento della esistenza e del grado della colpa della persona che, accettando di farsi trasportare da un conducente in stato di ebbrezza, patisca danno in conseguenza d’un sinistro stradale, è apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se rispettoso dei parametri dettati dal primo comma dell’art. 1227 c.c.”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A prescindere dal rilievo che l’ordinanza, fedelmente riportata nel ricorso, contiene un refuso, in quanto l’art. 13 § 3 prevede non già che gli stati membri debbano vietare, bensì al contrario, che debbano adottare “le misure necessarie affinché qualsiasi disposizione di legge o clausola contrattuale contenuta in una
polizza di assicurazione che escluda un passeggero dalla copertura assicurativa in base alla circostanza che sapeva o avrebbe dovuto sapere che il conducente del veicolo era sotto gli effetti dell’alcol o di altre sostanze eccitanti al momento del sinistro sia considerata senza effetto per quanto riguarda l’azione di tale passeggero”, quel che rileva è che il principio è stato affermato in relazione al concorso di colpa del creditore nei confronti del debitore società assicuratrice e non può essere trasposto nell’ambito della responsabilità penale.
5.11 terzo motivo GLYPH e il quarto motivo, GLYPH incentrati sul GLYPH trattamento sanzionatorio, sono manifestamente infondati. Si ricorda che il giudice del merito, nella valutazione in ordine al trattamento sanzionatorio e in ordine alla riconoscibilità delle circostanze di cui all’art. 62 bis cod. pen. esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269). Nel caso in esame, la Corte di appello ha rilevato che lo stato di afflizione dell’imputato conseguente al trauma per la perdita della sua compagna di vita, invocato nei motivi di appello ai fini della mitigazione del trattamento sanzionatorio, non poteva valere ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e che la determinazione della pena era giustificata in ragione della gravità complessiva dei reati posti in essere. A fronte di tale argomentazione, la censura del ricorrente è generica e fa leva sulla mancata valorizzazione delle condizioni soggettive del soggetto agente, che, al contrario, in maniera non illogica, sono state ritenute dai giudici di merito determinanti nella causazione dei reati.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non si ritiene di dover procedere alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti civili. Le conclusioni, infatti, si limitano alla richiesta di rigetto del rico di condanna alle spese senza confrontarsi con i motivi di ricorso, sicché non può dirsi che sia stata esplicata, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta contrastare la pretesa del ricorrente (sull’argomento, con riferimento alle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886; Sez. U., n. 5466, del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713).
P.Q.M.
Rigetta GLYPH
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese di questo giudizio di legittimità alle parti civili.
Deciso in Roma il 15 gennaio 2025.
Il Consiglie ore
Il Pr sidente
Salv re Dovere